L’ora di opporsi all’oppressione

di Egidio Cardini

Essere di sinistra è stare dalla parte degli oppressi

“Essere di sinistra significa stare dalla parte degli oppressi e dare armi all’Ucraina per difendersi”.
(Carola Rackete, deputata europea della Sinistra).

In questa semplicissima considerazione di Carola Rackete, a noi italiani donna nota per il suo lavoro di accoglienza marittima dei migranti naufraghi nel Mediterraneo e quindi odiatissima dall’estrema destra che governa la nostra Repubblica, si svela una contraddizione storica che dev’essere finalmente smantellata.
La sinistra non può confondere sé stessa e tantomeno la sua gente con il disgustoso teatrino che recita da tempo non soltanto sulla guerra russo-ucraina, ma sugli sviluppi del conflitto mondiale tra i sistemi sociali e politici tirannici da un lato e le democrazie radicate nel mondo occidentale, prevalentemente in Europa, dall’altro.
Non a caso ogni forma di conflittualità contemporanea passa attraverso canoni che hanno paradossalmente rovesciato antiche contrapposizioni ideologiche per affermare oggi soltanto una sola verità: gli autoritarismi sono all’attacco delle democrazie, ritenute a torto obsolete e in fase di decomposizione, così da proporre modelli istituzionali dittatoriali o comunque oligarchici e modelli economici paleocapitalisti come ideali per il futuro dell’umanità.
Altrettanto non a caso l’alleanza planetaria tra sistemi già profondamente diversi lo dichiara. Il nazionalismo panslavo del sanguinario regime russo, il falso comunismo cinese, la tragica parodia del comunismo nordcoreano, il fondamentalismo islamico sciita dell’Iran, il nazifascismo militante occidentale ingrassato da Mosca e adesso il paleocapitalismo totalitario del trumpismo hanno trovato ragioni per un matrimonio collettivo contro la fragilità apparente della civiltà democratica.
Non dimentichiamo che ottant’anni di democrazia post-bellica ci hanno lasciato in eredità valori praticati quotidianamente quali la libertà, la giustizia sociale, la pace, il rispetto dei diritti umani (a partire dal diritto alla vita e a una vita dignitosa), l’uguaglianza e i diritti civili e politici per tutti.
Di questo tesoro non possiamo sprecare nulla, al di là delle comprensibili critiche che possono essere rivolte a chiunque.

Svelare quella grande contraddizione

Esiste anzitutto una differenza sostanziale tra l’autoritarismo della destra nazifascista e la nostalgia collettivista della sinistra novecentesca.
Nel primo caso tutto quanto appartiene all’universo dell’oppressione e dell’aggressione è pane quotidiano di facile conquista. Dai nazifascisti non possiamo certo aspettarci la difesa del popolo ucraino né tantomeno dei popoli che subiscono dinamiche violente.
Nel secondo caso l’ottusità, qualche volta nascosta dietro patetiche e vetuste elucubrazioni ideologiche, ha giocato un ruolo devastante, senza comprendere che le critiche consuete, ripetitive e noiose all’Occidente e l’individuazione di sue presunte colpe eterne ha di fatto generato un’alleanza più o meno volontaria con ogni forma di oppressione.
C’é ancora chi pateticamente e tragicamente sta dalla parte di Putin perché quest’ultimo è visto quale erede del comunismo sovietico. Si osservi, a titolo di puro esempio, l’involuzione dolorosa dell’ANPI, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (con i veri partigiani ormai quasi tutti defunti e certamente rigirati nelle tombe).
La critica più assurda, sovente ascoltata, è senz’altro quella rivolta alla NATO per il suo allargamento a Est negli anni scorsi. In questi giorni leggevo farneticanti osservazioni di chi sottolineava che questo allargamento sarebbe stato voluto da fantomatici “neocon” statunitensi, dai Britannici (!) e dalla finanza internazionale.
La verità è molto più semplice. Dopo la caduta del sistema comunista in Europa gli Stati liberati da questa tirannia, con i loro Governi e i loro popoli, hanno liberamente (e sfido chiunque a dimostrare che non ci sia stata una libera decisione) scelto di tutelarsi da aggressioni eventuali provenienti dall’ex-Unione Sovietica. Pertanto la guerra russo-ucraina dimostra non tanto l’eventuale responsabilità di avere suscitato, senza riguardi peraltro incomprensibili, paure e timori in Russia (e non si capisce perché mai si siano dovuti spaventare i russi), ma il contrario. Chi non stava sotto l’ombrello protettivo della NATO è finito miseramente in condizione di servitù come la Bielorussia o è finito aggredito in guerra come l’Ucraina.
Forse c’é qualcosa che non funziona non tanto nel sistema politico, economico, sociale, culturale e di difesa dell’Europa, ma della Russia, che dev’essere educata ancora alla democrazia e allo Stato di diritto. È l’ora di dirlo.

I frutti della guerra ibrida

Altro elemento determinante è stata la paziente, lunghissima e insinuante guerra ibrida promossa dal putinismo contro l’Occidente, a partire dalla stessa Europa.
Parliamoci chiaro. Come in ogni angolo della Terra, anche in Europa le contraddizioni culturali e sociali non sono mai mancate. Il putinismo ha giocato un ruolo a tutto campo, a 360 gradi, invadendo ogni spazio che potesse provocare una mutazione del pensiero comune davanti a qualsiasi problema ed è stato per questo motivo che l’ideologia disgregante della destra ha invaso il nostro continente. Problemi quali l’immigrazione, le crisi economiche periodiche, la complessità sempre maggiore nella strutturazione del lavoro, la burocrazia dell’Unione Europea, il rallentamento sui diritti personali e sociali e la complessità nella gestione dei flussi interni a seguito degli allargamenti sono stati tutti indirizzati verso l’alimentazione di un odio sociale inaccettabile per il tramite della rete informatica. Le destre sono cresciute a dismisura in sistemi politici comunque elettoralmente trasparenti, pur senza avere in mano ricette risolutive né progetti di riforme, ma soltanto pericolose parole d’ordine.
Oggi la Russia raccoglie i frutti di questa infamia sottile, ma ben congegnata.
La timida difesa europea dell’Ucraina, nonostante tutto timida davvero, ha prodotto una situazione che poteva essere evitata.
Detto in termini militari, alcuni eventi passati hanno detto che l’Occidente aveva la vittoria in pugno. Pensiamo alla surreale marcia senza resistenze di Prigozhin verso Mosca o all’incagliamento delle prime offensive su Kiev. Sarebbe bastato qualche atto di coraggio in più, con un riarmo vero ed efficace dell’Ucraina e possibilmente con un impegno parziale degli europei sul campo.
Oggi le condizioni sono profondamente diverse anche e soprattutto per la bomba nucleare esplosa nell’intero mondo politico: il trumpismo.

I volti multiformi dell’oppressione odierna

Gli Stati Uniti d’America per me restano un mistero. Non li conosco e ho sempre ignorato le dinamiche profonde che sottostanno a quella società, verso la quale sono sempre stato critico e che, a pelle, non ho mai amato.
Nel 2002 avevo partecipato, addirittura con l’incarico pomposo di “capodelegazione” dell’Associazione Macondo, al II° Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, in Brasile, intitolato “Un altro mondo è possibile”, con decine di migliaia di delegati attivi.
In quel periodo contestare il sistema capitalista a traino statunitense aveva un senso e soprattutto faceva i conti con un problema quasi assoluto, peraltro mai risolto davvero, vale a dire la distribuzione iniqua della ricchezza mondiale e il privilegio accordato a un Nord sfruttatore di un Sud vittima perenne di un’ingiustizia planetaria.
Ricordo gli incontri con Noah Chomsky, Rigoberta Menchù, Frei Betto, un più giovane Lula, tante esperienze e tanti testimoni della sete di giustizia dilagante ovunque.
Allora davvero la battaglia si combatteva su un fronte chiaro, limpido, univoco, dove individuare il “Nemico” dei poveri e degli oppressi era semplice. La possibilità di un mondo diverso, fondato su relazioni eque e su istituzioni di pace, pareva a portata di mano.
Oggi quel tempo è stato non tanto superato, ma ulteriormente complicato, da un attacco che allora non avremmo mai immaginato.
Resta sì l’ingiustizia profonda di un mondo ancora diviso tra oppressori e oppressi, ma si è aggiunta una categoria di nuova oppressione, proposta con il metodo classico della guerra, su basi antiche di conquista territoriale, di annichilimento culturale e linguistico, di distruzione dell’indipendenza repubblicana di alcuni soggetti statuali, di creazione di dominazioni politiche.
Oggi l’oppressione ha volti multiformi e ripristinare il diritto dei popoli e degli Stati equivale a ripristinare la giustizia nella distribuzione delle ricchezze. Non c’é giustizia senza ripristino del diritto.
Molti nella sinistra storica continuano a non capirlo, finendo sopraffatti dalla contraddizione del secolo, che risiede in Donald Trump. Sono intimamente antiamericani, ma solidarizzano con Trump perché il soggetto solidarizza con Putin.
È una pura follia, lo so, ma è anche una realtà dolorosa.

Dunque, Trump

Dunque, Trump.
Gli Stati Uniti d’America si trovano a un bivio che può essere paragonato soltanto a quello del tempo della Guerra civile (1861-1865).
E’ in gioco la democrazia in una Repubblica estremamente complessa e attraversata da contraddizioni che potrebbero rovesciarla. Il futuro degli States non mi pare così promettente. Donald Trump è un affarista senza scrupoli, un immorale seriale e un brutale fascista nei rapporti politici.
In realtà opera una commistione impropria tra il metodo politico e l’affarismo economico, utilizzando la politica per ottenere risultati economici, ma in funzione di un’accumulazione sfrenata per le classi socialmente più elevate.
Dentro questo equivoco, ingigantito da un popolo scarsamente consapevole di sé stesso e del mondo, Trump arraffa e ruba il consenso, tra milioni di bugie ed effetti via via sempre più dannosi per il mondo.
La sua velocissima alleanza con il putinismo e con i totalitarismi ha isolato l’Europa, chiamandola a una responsabilità storica straordinaria, dove paradossalmente il dolore per un’apparente nostra sconfitta su tutta la linea può tradursi in un riscatto inatteso e clamoroso.

Gli Stati Uniti d’Europa

Ormai all’Europa non resta che l’unità politica non soltanto come mezzo di sopravvivenza, ma come testimonianza esemplare di crescita antropologica e civile per l’umanità intera.
Gli Stati Uniti d’Europa sono ormai l’unica soluzione a questo disastro incombente, che potrebbe anche sfociare in una guerra continentale, ma che, alla fine di questo trauma, deve assolutamente produrre questo salto di qualità del tutto inedito: uno Stato federale unitario, indipendente e sovrano, plurinazionale e democratico, oltre che economicamente solido ed eticamente centrale per i destini dell’umanità.
Probabilmente io non avrò la fortuna di vederlo, ma ci credo sinceramente.
Dobbiamo avere il coraggio di frantumare ipocrisie, ignoranze, debolezze collettive, fragilità intellettuali e culturali.
Alla fine resta il vero obiettivo per la crescita autentica di una società degna della persona umana: la difesa degli oppressi, di qualsiasi natura essi siano, e il ripristino della giustizia.
E’ l’ora di opporsi all’oppressione, si chiami essa difesa dell’Ucraina o della causa palestinese o del diritto a esistere per l’Israele laico e tollerante o del diritto di interi popoli a non emigrare più per la fame e la miseria o di tutti i perseguitati politici ed etnici.
L’Europa è il cuore di questa tensione e resta, al di là dei confini nazionali ormai obsoleti (questi sì che lo sono davvero), l’elemento trainante di questo “altro mondo possibile”.

“Le libertà mettono paura, consentono uguaglianza, giustizia, trasparenza, opportunità, pace e, se sono possibili in Europa, sono possibili ovunque”.
(David Sassoli, 1956-2022, Presidente del Parlamento Europeo).

Nessuno si sottragga.

foto di Savannah B. scaricata da Unsplash.com

Egidio Cardini

Insegnante