Ecovillaggi, comunità, immaginazione
Circa vent’anni fa, girovagando per la Liguria in estate, mi sono imbattuto nel borgo di Torri Superiore. Siamo nell’estremo ponente ligure, verso il confine francese, dove l’entroterra è punteggiato di borghi affascinanti: Dolceacqua, Triora, Apricale, Pietrabruna… La particolarità di Torri era data dal fatto che ferveva di lavori. Si capiva che c’era movimento.
Si stava dando vita in quegli anni a uno dei primi ecovillaggi italiani.
Dar vita a un altro mondo
Che cos’è un ecovillaggio? È una comunità intenzionale, creata con lo scopo di ridare vita a un borgo abbandonato, talvolta totalmente abbandonato. Un ecovillaggio comprende diverse famiglie, segue obiettivi di sostenibilità ambientale e di autosufficienza alimentare.
Tendenzialmente, per prendere decisioni i suoi membri utilizzano il metodo del consenso.
Quando negli anni Cinquanta il sociologo Henri Desroche iniziò a studiare le comunità messianiche e millenariste dal XVII al XIX secolo basandosi sugli studi precedenti di Friedrich Engels, si accorse che il loro potere trasformativo era l’utopia praticata. Certo, altri elementi come le forme di governo adottate e la zona scelta per l’insediamento ne avrebbero decretato maggiore o minore fortuna, ma non è su questo che si poteva basare l’impatto in termini di innovazione sociale.
Alla base di tutto c’era il tentativo di salvaguardare o rifondare il legame sociale, altrove compromesso. Quando, qualche anno dopo, lo stesso sociologo studierà i falansteri francesi, le comunità di lavoro, le cooperative di produzione e consumo, si renderà conto che alla base vi era il medesimo bisogno di legame sociale, benché fossero mutate le forme esterne di gestione. Arrivò a ipotizzare che una cooperativa altro non fosse che una forma secolarizzata di comunità millenarista, perché entrambe si fondano sulla consapevolezza che un altro modo di vivere insieme è possibile. Oggi, forse, in alcuni ecovillaggi si è reintegrata anche la dimensione spirituale, in forme inedite.
Innovazione e reminiscenza
Le comunità studiate da Desroche erano per lo più situate nel Nuovo Mondo, cioè in Nordamerica, perché non sempre il potere politico-religioso nell’Europa del XVIII secolo tollerava tali sperimentazioni. È il caso degli Shakers, comunità sorta nelle campagne dell’attuale Stato di New York su impulso della mistica Ann Lee.
Nata a Manchester e operaia bambina negli opifici della città, la sua è una traiettoria comune a tanti bambini dell’epoca, costretti a turni massacranti, in ambienti malsani e in contesti abitativi promiscui, spesso vittime di abusi sul lavoro o fuori. Negli Stati Uniti, Ann Lee contribuirà a dare struttura a una comunità quacchera radicale, incentrata sulla sussistenza alimentare, sul pacifismo, sul rifiuto del matrimonio e sulla costruzione di edifici spaziosi e luminosi.
La varietà delle esperienze attuali degli ecovillaggi rende forse sciocco creare parallelismi diretti con le esperienze dei secoli passati. E tuttavia, molti temi sono ricorrenti: dignità abitativa, sussistenza alimentare, intento apertamente trasformativo, vita comune, rapporto non predatorio con l’ambiente, sperimentazione di nuove possibilità di legami affettivi, cesura netta con esperienze precedenti considerate non più tollerabili.
Forse non aveva tutti i torti il filosofo utopista Henri de Saint-Simon, quando sosteneva che noi pensiamo di avere immaginazione, ma in realtà non abbiamo che reminiscenza. Anche lui, del resto, ha modificato la direzione della sua vita quando ha sperimentato che tecnica e industria non creano la felicità delle persone, perché molte ne sono escluse e molte altre ne vengono addirittura schiacciate.
Gli ecovillaggi in Italia
Oggi gli ecovillaggi in Italia sono alcune decine e il loro numero continua a crescere. Sorti per lo più in ambiente rurale ma non solo, si differenziano tra loro per statuto scelto, dimensioni, visione di fondo. La rete Rive (Rete italiana villaggi ecologici) alcuni anni fa ha redatto un abbecedario molto utile per comprenderne la specificità.
Partiamo innanzitutto dai luoghi fisici. La zona scelta per l’insediamento o la fondazione di una nuova comunità prevede spesso che si possa fare agricoltura in vista della sussistenza, con un occhio di riguardo al trattamento delle acque. Per quanto riguarda l’edilizia, si preferisce autocostruire o restaurare con materiali tradizionali e naturali, come mattoni, pietra, legno, paglia, argilla. A livello energetico, si punta su fonti di energia che si rigenerano, quindi idroelettrico, solare, eolico, marino e geotermico.
Consideriamo in secondo luogo gli spazi della relazione. Gli ecovillaggi tendono a favorire pratiche di decisione partecipata, di ascolto, di gestione dei conflitti, curando l’uguaglianza sostanziale tra uomo e donna e occupandosi di tutte le generazioni: bambini, adolescenti, adulti, anziani. Anche il lavoro deve tener conto delle inclinazioni di ciascuno e deve garantire un buon livello di tempo libero da dedicare alle relazioni.
Per quanto riguarda il modello economico adottato, gli ecovillaggi si diversificano molto. Ci sono esperienze di economia collettiva, in cui tutti i beni mobili e immobili sono di proprietà della comune e anche le proprietà private dei singoli vengono intestate all’associazione. In questo caso, il singolo viene preso in carico dalla comunità in tutte le sue necessità. Ci sono casi di parziale condivisione dei beni, per cui i proventi delle attività svolte nell’ecovillaggio vengono suddivisi tra i membri a seconda del lavoro svolto. E vi sono casi di economia privata in cui ognuno rimane titolare del proprio reddito ma versa delle quote nella cassa comune che finanzia i pasti, le utenze e gli ammortamenti.
Quest’ultima opzione rende più semplice per la persona uscire da una comunità.
Sul piano degli statuti scelti, troviamo l’associazione di promozione sociale, la onlus, l’organizzazione di volontariato, oppure la cooperativa nelle sue diverse accezioni. In alcune realtà, la cooperativa di comunità sta rispondendo a nuovi bisogni, legati ad esempio a tenere unite comunità ampie, non necessariamente intenzionali.
Diversi sono anche i modi per acquisire una proprietà. Si va dall’occupazione di terreni abbandonati utilizzando gli usi civici al comodato gratuito, dall’enfiteusi all’affitto, dall’acquisto collettivo intestato a un’associazione all’acquisto da parte dei singoli di diverse particelle di proprietà.
Saggezza e genio
Il sociologo urbano Giampaolo Nuvolati, nel suo saggio Interstizi della città. Rifugio del vivere quotidiano (Bergamo, 2019) ci ricorda che gli spazi, anche quelli interstiziali, sono costituiti da saggezza e genio. La saggezza «costituisce un patrimonio della comunità, si trasmette da generazione a generazione, è inoltre iscritta nel tessuto di associazioni, istituzioni, gruppi sociali che da tempo si avvicendano sul territorio nella gestione delle relazioni, dei beni pubblici, delle identità locali». Il genio si configura invece come innovazione, creatività, estemporaneità, ricombinando spazi e attori e tracciando nuovi scenari. Se ripetute, le azioni geniali vanno a integrare la saggezza stessa. «Nei luoghi interstiziali saggezza e genialità si misurano con il consolidarsi o lo smarrirsi di abitudini.
In essi si perpetuano routines e si determinano improvvisazioni, si ribadiscono tradizioni e affiorano novità. Sono spazi del ricordo ma anche del divenire».
Sperando di non stravolgere troppo il pensiero di Nuvolati, per estensione macroscopica anche molti luoghi in cui sorgono ecovillaggi sono in qualche modo spazi interstiziali. Parlano alle persone e sono parte del paesaggio quotidiano, ma al tempo stesso sono spazi da ripensare e riabitare. Spazi nei quali saggezza e genio possono dar vita ai paesi di domani.
Davide Lago
docente di pedagogia generale, formatore in percorsi autobiografici, componente la redazione di madrugada