Secondo lei, c’è tanta roba da cambiare?
Sono stati a far merenda all’Udi di Ferrara, gli studenti del professor Pier Paolo Scaramuzza, che a Ferrara insegna lettere nella scuola secondaria di primo grado “Torquato Tasso”.
Prima di questa occasione, per loro l’Unione Donne Italiane era un soggetto misterioso.
Per questo motivo, prima di incontrare la presidente e alcune attiviste che con lei collaborano, l’insegnante ha preparato la classe e ha stimolato a scrivere le proprie curiosità. Il nucleo centrale è diventato il testo di un piccolo opuscolo intitolato «20 domande + 1 all’avvocata Stefania Guglielmi sul patriarcato», pubblicato dalla casa editrice La Carmelina di Ferrara.
La prima domanda – «Che cos’è l’Udi?» – è dovuta per comprendere il contesto. In questa sola può stare dentro tutto: l’evoluzione dell’associazione, le battaglie storiche e quelle attuali, l’approccio alle relazioni tra i generi, le sfide di oggi. Argomenti su cui i ragazzi non pongono domande precise, probabilmente perché non hanno neppure le premesse per immaginarle, ma che possono essere toccati nella conversazione.
Le prime richieste espresse non riguardano ancora la presidente e neppure l’avvocata.
Sono per Stefania. Testimoniano la ricerca di una conoscenza personale («Come si sente a essere femmina?», «Ha mai subito episodi di violenza verbale?») e il desiderio di confrontarsi con lei, per somiglianza o per differenza («Quando lei andava a scuola, parlavate di patriarcato?»).
L’argomento più attraente è il lavoro di difesa legale, un ruolo ben presente in questa fascia di età perché continuamente rappresentato, sia nella cronaca sia nei programmi televisivi o al cinema.
I preadolescenti hanno una loro idea di che cosa sia il mestiere dell’avvocato. L’occasione è propizia per capire meglio.
Gran parte delle domande infatti rientra in quest’ambito. «Da quanto fa questo lavoro?», «Ha avuto problemi a diventare avvocata?», «Se potesse tornare indietro nel tempo, cambierebbe lavoro?».
Fin qui, tutte questioni che potrebbero essere affrontate allo stesso modo con un collega maschio. Poi però gli studenti sembrano confrontarsi con il pregiudizio che una donna non sia adatta a indossare la toga. Non si spiegherebbe altrimenti perché chiedano «Come si sente a essere una donna avvocata?», e anche «Ha mai subito una discriminazione nel suo lavoro in quanto donna?».
L’attenzione passa al linguaggio («Come si sente a essere chiamata “avvocato” invece di “avvocata” e quando accade di solito?») e da qui alle discriminazioni e alle violenze di genere che, ragazzi e ragazze lo sanno bene, sono all’attenzione della giustizia.
«Quanti casi inerenti alla questione di genere ha seguito?». O più precisamente: «Ha mai seguito dei casi di molestie e violenze in tribunale?». Probabilmente sanno già che la risposta è sì. È solo un piccolo stratagemma per aprire il discorso.
«Qual è l’età media delle ragazze vittime di violenza?», domandano, e poi: «In quali luoghi avvengono principalmente gli atti di violenza su donne e ragazze?», e ancora: «Quali sono le pene che un aggressore contro una donna deve scontare?». L’età di chi subisce violenza, i luoghi, le pene. Elementi strutturali che aiutano a introdurre argomenti più profondi.
«Come si sente come donna a difendere ragazze molestate e vittime di violenza?», s’interessano, presentendo un’identificazione di cui possono rendersi bene conto, e d’altra parte: «Ha mai difeso un uomo accusato di molestia o violenza verso le donne?», giusto per capire se all’interlocutrice è accaduto di assumere professionalmente anche il punto di vista opposto. Inoltre, poiché evidentemente sanno che l’avvocata Guglielmi esercita la sua professione da tempo, sono interessati a conoscere «Come affronta la questione di genere rispetto ad anni fa?».
C’è poi una domanda che sembrerebbe fuori tema. «Com’è lavorare con la gente straniera?» riporta al tema della convivenza interetnica, e non è chiaro se l’argomento sia interessante a prescindere o se questa formulazione voglia verificare l’esistenza di relazioni tra forme di violenza familiare e culture di appartenenza.
Ecco un riferimento che forse accomuna chi pone le domande e chi le accoglie. «Lei ha visto il film Barbie? Le è piaciuto?», leggiamo nell’opuscolo.
L’ultima domanda, quella che dà il titolo a questa breve rassegna, guarda al futuro, sembra quasi la richiesta di un testimone da raccogliere nel passaggio generazionale: «Secondo lei, c’è tanta roba da cambiare?».
Elena Buccoliero
sociologa, componente la redazione di madrugada.