Al centro di un mondo che corre il rischio estinzione
Alcuni diranno che le decisioni sul presente e per il futuro immediato del nostro pianeta si trovano a Kiev, oppure a Gerusalemme e Gaza, ma il momento finale del pianeta dipende da come noi tutti, Europa, Russia, Cina e paesi del sud del mondo affronteremo il caos che oggi avviene da ogni parte. Siccità violente sui fiumi dell’Amazzonia, cicloni nel sud del Brasile, guerre in tutte le regioni del pianeta, il massacro dei palestinesi, sono i segnali che il pianeta sta vivendo gli ultimi minuti della seconda era glaciale; dal momento che la prima ha eliminato i dinosauri e l’attuale cancellerà tutta la nostra cosiddetta civiltà. Non sarà la fine del mondo, ma lo sterminio delle nostre vite, provocato da noi stessi.
Già nel 1972 gli scienziati avevano avvisato che il nostro pianeta era a rischio, dovuto al come noi umani stiamo usando e abusando di Madre Natura. Nacquero i dipartimenti delle politiche europee, gli accordi di Kyoto, di Parigi, di Glasgow e nulla fu fatto per salvare il pianeta, poiché il sistema capitalista non può fermarsi né modificarsi; al contrario il neoliberismo si è intensificato, attraverso la moltiplicazione del capitale finanziario.
Tutto ciò ricade sul bioma amazzonico, tramite l’estrazione predatoria dei minerali. L’Amazzonia, la maggiore foresta tropicale del pianeta, viene sempre più distrutta per alimentare il capitale internazionale, soprattutto per alimentare il bestiame e i maiali in Europa, particolarmente dopo la malattia della mucca pazza all’inizio del secolo presente. E anche per alimentare i maiali e le mucche in Cina, compresa la sua numerosa popolazione. Alcuni affermano che il 35% di tutte le esportazioni brasiliane parte per la Cina, che acquista soia, mais, carne e i minerali del ferro e dell’oro.
Attraverso la distruzione dell’Amazzonia, il Brasile diviene oggi il maggior esportatore di cereali. Per costruire questo tipo di economia nel paese, a partire dal 2003 fino al 2022, sono stati distrutti 180 mila chilometri quadrati di foresta, che corrispondono al 19% della foresta amazzonica. Per vendere oro all’Europa e alla Cina sono stati distrutti i grandi fiumi dell’Amazzonia, a causa dell’inquinamento dovuto al mercurio usato per l’estrazione dell’oro dalle miniere.
In questo confronto sui territori e sulla vita dell’Amazzonia, da una parte troviamo gli uomini d’affari che cercano il guadagno a ogni costo, dall’altra parte le organizzazioni civili, i popoli indigeni, i movimenti popolari, come il Movimento Tapajós Vivo e la rete di Notizie dall’Amazzonia, le pastorali della Chiesa cattolica, come la Pastorale della Terra (CPT), la Pastorale dei Pescatori (CPP), il Consiglio indigeno missionario (CIMI). È una lotta impari, ma attiva.
Nel mezzo c’è lo Stato brasiliano (a livello federale, regionale e comunale), che appoggia gli interessi degli uomini d’affari. Purtroppo, anche il governo di Luiz Inácio Lula da Silva, che ha un impegno politico con i poveri, ciononostante è soggetto al capitale degli uomini d’affari, oltre ad aver ereditato un paese semidistrutto dal governo fascista di Bolsonaro (precedente presidente del Brasile).
La nostra militanza ha una sua strategia di lotta, abbiamo una forma di solidarietà (companheirismo) che sostiene la lotta, ma non abbiamo gli aiuti finanziari necessari per i progetti di difesa del buon vivere. Perciò, dipendiamo totalmente dall’appoggio di alleati nazionali e internazionali. Anche se con poco sostegno finanziario, continuiamo la lotta per la difesa del buon vivere di tutti.
Anche se combattiamo una lotta impari, restiamo attivi e tentiamo di salvare la nostra casa comune che è l’Amazzonia. Cerchiamo nuove strategie per ampliare i gruppi che come noi sentono che non possiamo abbandonare l’Amazzonia nelle mani dei distruttori. Ispirandoci tra gli altri a Nelson Mandela, a Fidel Castro, portiamo avanti la lotta fino a quando, con l’appoggio di alleanze interne ed esterne, raggiungeremo l’obiettivo di fermare la distruzione, prima che sia troppo tardi.
Edilberto Sena
educatore popolare e attivista ambientale