Intelligenza
«Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono strasicuri,
mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi».
Bertrand Russell
Cogliere, raccogliere, scegliere, distinguere e leggere.
L’intelligenza è l’insieme delle facoltà che permettono di pensare, imparare, comprendere o spiegare i fatti, elaborare modelli, trovare soluzioni, farsi intendere dagli altri, essere in grado di valutare o giudicare quanto accade, adattarsi o modificare situazioni nuove, capire con prontezza e facilità o anche l’ingegnosità con cui si svolge un compito o si fa un lavoro.
Carlo Caltagirone, neurologo, a questo proposito sottolinea che «l’intelligenza è uno dei costrutti psicologici più ardui da definire e sintetizzare. Una definizione operativamente valida la descrive come un set di processi cognitivi, schemi logici e schemi comportamentali atti a cogliere gli aspetti rilevanti dei fenomeni e a elaborarli per il conseguimento di un fine specifico, come l’adattamento all’ambiente o la soluzione creativa dei problemi».
Se andiamo a recuperare l’etimologia della parola intelligenza troviamo che è una voce dotta recuperata dal latino intelligentia che deriva dal latino intellectus, participio passato del verbo intelligere, a sua volta formato da inter (tra, fra) e lègere, verbo la cui matrice ha prodotto una feconda schiera di derivazioni che vanno dal leggere tra, all’eleggere, dall’eleganza alla negligenza, dai legumi al prediligere, compreso allegati, collezioni, selezioni… Ha come significato originario il cogliere, raccogliere (all’inizio, probabilmente, i frutti da una pianta), che presuppone la capacità di scegliere, distinguere, e infine leggere (ovvero raccogliere con gli occhi le lettere dell’alfabeto). L’intelligenza, dunque, è anzitutto capacità di cogliere i dati, operare analisi, correlazioni, selezioni e distinzioni. Inter- lègere sottolinea la capacità di scoprire relazioni e inter-connessioni tra i vari aspetti della realtà per giungere a una comprensione più ampia e completa di essa.
Ma il verbo intelligere è composto non solo da inter-lègere, cioè leggere tra, ma anche da intus + lègere, ovvero leggere dentro.
E allora l’intelligenza si appropria della facoltà di comprendere la realtà non in maniera superficiale, solo di ciò che appare ai nostri sensi, ma andando oltre, andando dentro, in profondità, per coglierne aspetti nascosti e non immediatamente evidenti.
Un’intelligenza unica…
In grossolana sintesi l’intelligenza è la capacità di capire, di comprendere la realtà attorno a noi, di conoscerla, di discernere in concetti le linee di forza delle cause e degli effetti, di scegliere tra le diverse possibilità, o di saper leggere dentro, in profondità, all’interno delle esperienze e dei fenomeni che accadono e quindi saper formulare giudizi accorti, saggi, logici e aderenti al vero. È già evidente la sua complessità e articolazione, intuita da artisti e filosofi, un po’ meno dagli scienziati! Una importante pro-vocazione ci fu nel secolo scorso quando si cercò di superare la teoria dell’intelligenza unica, ridotta quasi esclusivamente alle capacità logico-razionali dell’essere umano, visione sicuramente limitata perché trascura altre capacità fondamentali. Si andò progressivamente a ridiscutere la convinzione, di buona parte della comunità scientifica, che sosteneva l’esistenza di un’unica intelligenza, arrivando ad affermare non solo che ciascun individuo usa il proprio cervello allo stesso modo, e ha un certo livello di intelligenza che può sfruttare finché non raggiunge il suo limite, ma anche che il livello di intelligenza può essere quantificabile, quindi misurabile. Nei primi del Novecento, infatti, Binet e Simon misero a punto un test, più volte rimaneggiato, in base al quale si pensava di poter misurare in modo soddisfacente il quoziente intellettivo (QI), test che ben presto si rivelò insufficiente e parziale proprio perché rigido e schematico, incapace di valutare l’aspetto creativo ed emotivo della mente umana, oggi decisamente superato da strumenti di valutazione dell’intelligenza sempre più complessi e sofisticati sebbene parziali…
…o una pluralità di intelligenze?
A contribuire a scardinare questa visione monoculare fu un saggio sulle intelligenze multiple di Howard Gardner che, oltre a segnare un punto di frattura con quanto fino ad allora affermato, contestò l’idea che l’intelligenza umana possa essere ricondotta unicamente a facoltà di tipo cognitivo, affermando così che la visione razionalistica dell’uomo non tiene conto di tutte le potenzialità e sfumature dell’intelligenza umana.
Con il suo saggio del 1983, intitolato “Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences” (in Italia pubblicato con il titolo Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza), elaborò la descrizione di diversi tipi di intelligenza, dedotta inizialmente osservando bambini dotati da diverse capacità intellettive che lo portarono a definire la Teoria delle Intelligenze Multiple.
Il professore di Harvard contestò la concezione di intelligenza come fattore unitario e misurabile e propose una definizione più dinamica e articolata in sottofattori differenziati.
Nel primo modello proposto da Gardner, che poi sarà sviluppato e integrato nel secolo precedente e presente in modo sempre più compiuto grazie anche allo sviluppo delle neuroscienze e del neuroimaging, l’intelligenza umana si divide inizialmente in sette tipi principali: l’intelligenza logico-matematica che è la capacità di pensare con i numeri e riflettere sulle loro relazioni; l’intelligenza linguistica, legata principalmente all’utilizzo di un vocabolario ampio e flessibile e a una capacità retorica; quella musicale, con un primato di tipo uditivo-vocale, che permette di comporre armonie, melodie, riconoscere l’altezza dei suoni, le costruzioni armoniche e contrappuntistiche; l’intelligenza visivo-spaziale di chi percepisce il mondo visivo con precisione, sa trasformare e modificare le proprie percezioni iniziali creando, per esempio, opere d’arte, oppure sa orientarsi in luoghi intricati, non ha difficoltà nella realizzazione di mappe o a leggere carte geografiche come gli esploratori. L’intelligenza corporeo-cinestetica è invece di chi ha una particolare padronanza del proprio corpo che gli permette di coordinare bene i movimenti; sa sviluppare attività attraverso esperienze concrete che interessano tutto il corpo, ha un’elevata sensibilità tattile e anche una spiccata sensibilità istintiva, una importante coordinazione e armonia motoria, è tipica di ballerini, artigiani, sportivi.
L’intelligenza interpersonale è invece, per Gardner, rappresentata dall’abilità di identificare i propri sentimenti e i propri pensieri per avere il controllo su sé stessi, disciplina e maturità, riguarda dunque la capacità di conoscere e comprendere la propria individualità, le proprie pulsioni interne e le proprie emozioni sapendole governare, privilegiando il rapporto con gli altri, avendo successo nelle relazioni sociali.
Quella intrapersonale rivolge, invece, verso di sé, e non verso gli altri, queste capacità che orienta in modo personalistico e solitario, sapendo riflettere in modo approfondito sui propri sentimenti, umori e stati mentali optando per attività di tipo individualistico, prediligendo lavori indipendenti dagli altri, capaci di solitudine, meditazione.
Successivamente Gardner integrò la sua classificazione con due nuove intelligenze: 1) l’intelligenza naturalistica che permette di pensare e indagare la natura e il mondo che ci circonda come sanno fare biologi, astronomi, antropologi, medici; 2) l’intelligenza esistenziale che si manifesta nella scienza, nella mitologia, nella religione, nell’elaborazione di sistemi filosofici e nelle varie forme d’arte che riflettono consapevolmente sui grandi temi dell’esistenza, sapendo operare sofisticati processi di astrazione delle categorie concettuali per essere valide universalmente.
Gardner, affermando che ognuno di noi esprime diverse intelligenze, articolate in diversi modi, livelli e tempi di elaborazione, afferma l’unicità e la particolarità di ogni uomo e della sua storia che può vivere e interpretare il mondo che lo circonda in modo diverso, proprio in virtù di queste intelligenze multiple, inaugurando così una visione più ampia delle potenzialità cognitive di ogni essere umano. Le intelligenze non sono statiche, fisse, immutabili, predestinate, ereditate, rigidamente misurabili e valutabili, ma si possono sviluppare, arricchire, accrescere all’interno del proprio contesto di vita. Più povero è l’ambiente, minori saranno le opportunità, gli stimoli, la cura, più alta la discriminazione e la mancanza di crescita e consapevolezza. Ciascuno di noi può dunque migliorare, espandere la propria visione grazie al riconoscimento e allo sviluppo delle sue facoltà, inclinazioni, doni, cui la scuola e la comunità educante dovrebbero dare un contributo fondamentale, uscendo definitivamente dall’egemonia dell’intelligenza logico-razionale, per accogliere e valorizzare le infinite possibilità di ognuno.
Monica Lazzaretto
presidente di Macondo, vive a Tramonte (Pd), lavora a Mira (Ve), come responsabile del centro studi della Cooperativa Olivotti scs