Un altro modo di possedere
Il Consorzio degli Uomini di Massenzatica
Il Consorzio degli Uomini di Massenzatica (CUM) è una proprietà collettiva di circa 353 ettari nel Delta del Po (Mesola, Ferrara), che ha vinto in Italia il primo premio per il paesaggio nel 2018-19 e nel 2020 il premio speciale europeo. Primi in Europa! Ma la sua importanza non è dovuta al “paesaggio”, quanto invece alla straordinaria sperimentazione sociale che è in atto dal 1994.
Siamo in presenza di una terza forma di proprietà “collettiva” (né privata, né pubblica), dovuta a un lascito del vescovo di Pomposa di mille anni fa a poveri contadini di una terra allora inospitale e acquitrinosa. Potevano rimanerne proprietari solo però se lì abitavano. Nel Novecento i soci rimasti vivevano una fase sempre più difficile, i terreni erano mal coltivati, le zone marginali e la povertà cresceva. Negli ultimi trent’anni si andava poi estendendo il latifondo e sempre più contadini hanno venduto alle grandi imprese. Il timore era che anche questa terra venisse gradualmente affittata a esterni, com’è avvenuto in Italia sia per i piccoli contadini, sia per beni collettivi.
Ridare corpo alla comunità
Nel 1994 avviene però una svolta. Il ventinovenne presidente Carlo Ragazzi scommette su un rilancio della comunità, nella speranza di rinverdire gli antichi valori di fratellanza e bene comune. Si tratta di dare priorità al “noi” (comunità) sull’“io” dei singoli soci. Un primo passo è dare ruolo alle donne, che possono finalmente ereditare la proprietà dei padri e avere voto sia attivo che passivo ogni quattro anni. Ragazzi poi scommette sul fatto che, oltre agli ettari assegnati a una ventina di soci, il Consorzio dispone di nuove terre per finita locazione che può gestire nel modo migliore a favore di una comunità formata da 600 famiglie (oltre duemila persone). Che fare? La scelta non sarà economica ma di valori: come ritornare a dare importanza al “noi” (comunità)? Una prima scelta è quella di negoziare con una grande azienda privata (Mazzoni) non solo l’ammontare dell’affitto di una parte di queste terre, ma il dare priorità nell’assunzione del lavoro (stagionale e non) alle donne disoccupate della comunità, in modo da favorire le famiglie più povere. Una sorta di “imponibile di manodopera” a favore della comunità locale (e delle donne) che produce una maggiore uguaglianza e favorisce le famiglie più povere. Un secondo effetto è dare ai propri soci una sorta di benchmark (di confronto, di come coltiva il privato) per far capire ai soci che queste terre sabbiose possono avere un’alta resa e che sarà favorito nell’assegnazione delle nuove terre non chi (tra i soci) offre di più come prezzo (secondo un vecchio sistema delle aste) ma ha poi una gestione da rendita (non investe, non assume), ma chi, per esempio pur essendo giovane o donna ha idee, intrapresa e sa come far fiorire le terre con un’agricoltura non tanto estensiva, a basso rischio (900 euro di investimento per ettaro) con colture tradizionali (cereali), ma con colture intensive, ad alto investimento (7mila euro per ettaro), che generano maggiore occupazione, con due cicli di orticole all’anno, fino a 11mila euro nel caso del radicchio primaverile.
In sostanza il Consorzio assegna le terre che si liberano a chi è disposto a questo percorso di qualità. In cambio pagherà un affitto minore (40% rispetto al sistema delle aste) e potrà anche contare su investimenti del Consorzio per le reti comuni dell’acqua, la cura e fertilità del suoli ma anche su investimenti sociali a favore della comunità. Della serie se investi tu, investo anch’io nella comunità1.
Infine, poiché si tratta di aree marginali a forte declino demografico che necessitano di manodopera, vengono favorite i lavoratori/trici (spesso immigrate), che si impegnano ad abitarvi per almeno dieci anni, con aiuti nell’affitto e/o nell’acquisto della casa.
Curare il territorio, rendere ospitale il futuro
Questa trasformazione dall’“io” al “noi”, come piace dire a Carlo Ragazzi, è avvenuta sia per la forza di volontà e di pensiero del presidente, ma anche per la scoperta negli anni ’90 di terre che si consideravano marginali (in quanto sabbiose) e che in realtà, se ben coltivate (radicchio, zucca violina…) diventavano molto fertili o adatte a una coltivazione di qualità e identitaria del luogo.
Insomma, le “innovazioni” si fanno più facilmente se siamo in presenza di una fase di sviluppo economico, ma anche se rispettiamo la vocazione del nostro territorio (genius loci).
Il premio europeo è venuto poi anche per la qualità del paesaggio creato e degli investimenti nella rete idrica ed ecologica. L’obiettivo è creare una campagna che sia sempre più anche un giardino dove sia piacevole lavorare e vivere e una comunità multietnica aperta al mondo e non chiusa.
Stiamo parlando di un’area periferica alla città, che dista 50 km da Ferrara, ma che può essere un luogo bello e accogliente dove vivere e dove non domina la logica finanziaria e individualista così diffusa oggi nelle nostre società malate. Qui si lavora insieme per un futuro comune e si discute su chi, cosa e dove investire come comunità agricola, anziché farla lentamente morire com’è avvenuto quasi ovunque anche nei piccoli paesi, dove la globalizzazione e la finanziarizzazione hanno distrutto le comunità locali per favorire singoli individui consumatori, piccole élite o le nuove comunità nomadi in cui siamo finiti, con l’online e il digitale.
La prospettiva della comunità è sviluppare ora accordi con una ventina di grandi aziende agricole limitrofe (1.500 ettari) per migliorare il paesaggio dell’intero Delta del Po, mantenendo quel ruolo attivo di contadini custodi della terra e rendere attrattivo questo mestiere per le nuove generazioni, in un mondo che tende a trasformare le ragioni dei piccoli in “piccole ragioni”, mentre noi sappiamo bene che oggi la cura del territorio, della montagna, degli Appennini e della campagna sono tra le professioni non solo più antiche ma anche più importanti per il futuro dell’umanità. Lavorando per un cibo sano, con sempre meno pesticidi (se ne prevede una drastica riduzione, -50%, da parte della stessa Europa entro il 2030), per difendere e proteggere il territorio dai cambiamenti climatici, renderlo ospitale e vivibile e non quella desertificazione produttiva che oggi sono le colture industriali estensive.
Molte altre proprietà collettive (come la partecipanza agraria del ricco comune di Cento nell’alto ferrarese), hanno invece seguito la più “comoda” logica del profitto individuale, affittando il proprio terreno a un esterno, senza costruire alcuna logica di comunità e tantomeno una cultura rispettosa del paesaggio, della terra e della biodiversità.
Capitalismo sociale ed esseri umani evoluti
Questa pratica si inserisce in quel filone del capitalismo sociale, social oriented – contrapposto a quello più tradizionale profit oriented – che si richiama a molte teorie e pratiche, tra cui in Italia la più famosa è quella di Adriano Olivetti e all’estero quella dell’economista bengalese Yunus2 .
Questi approcci socio-economici si fondano su una concezione dell’antropologia umana che nega che l’appagamento di un “essere umano evoluto” sia prodotto dalla massimizzazione della sua soddisfazione economica, dei suoi consumi e dal senso di proprietà e che siano questi i moventi più profondi del suo agire. L’essere umano evoluto raggiunge la propria felicità se vive di buone relazioni, di amore e sentimenti che danno felicità. In ogni caso, noi esseri umani siamo “multidimensionali” e accresciamo il nostro benessere quando con pensieri e azioni procuriamo vantaggi e benefici non solo per noi, ma per gli altri.
Questo approccio agricolo è in netto contrasto con l’approccio iper-produttivista e speculativo di molta agricoltura convenzionale, specie delle grandi aziende che non concepiscono un sistema rigenerativo e organico ma sfruttano la fertilità del suolo e l’acqua (risorse scarse) e inquinano. Il CUM rappresenta bene queste nuove comunità di agricoltori che stanno crescendo in Italia e che si prendono cura della terra, dei valori del mondo rurale, di una cultura ecologica, con processi sostenibili volti alla rinascita del paesaggio, del territorio e dell’occupazione con produzioni alimentari sane a favore dei cittadini (spesso inconsapevoli).
E mentre fanno questo, tutelano non solo la bellezza del paesaggio ma la manutenzione delle aree marginali (sempre più in via di spopolamento), rendendo il lavoro e la vita più meritevoli di essere vissuti in comunità operose. Anche se sono “piccoli” e a volte sporchi, con le mani nella terra, sanno innalzare il cuore e la testa verso quel cielo (spirituale) e a quelle stelle a cui noi cittadini non guardiamo più. Questi sono i veri eroi del nostro tempo, non i vip o gli influencer.
1 Dal 2000 il CUM ha sempre aumentato gli investimenti, a dimostrazione di una sempre maggiore efficacia nel rispondere ai bisogni sociali esterni, della collettività e dei suoi soci e dal 2000 in poi l’utile aziendale viene letteralmente “ribaltato” sulla comunità, con investimenti per l’intera comunità e i soci più poveri (contributi per difficoltà familiari e con un banco alimentare; sostegno del reddito e dell’occupazione bracciantile con la messa a dimora di colture ortive (asparago, cocomero, cavoli, radicchio, zucche, ecc.), che, pur causando perdite economiche al Consorzio, potevano assicurare redditività, protezione assicurativa e previdenziale a molti consorziati; acquisto dal Comune di Mesola e ristrutturazione della nuova sede del Consorzio; riqualificazione dei locali adiacenti per consentire che le Poste rimangano nella frazione di Massenzatica; contributi di sostegno per attività sportive, culturali, folcloristiche, ecc.; sostegno all’attività didattica della locale scuola elementare, con il finanziamento di visite di istruzione; finanziamento delle vacanze marine (durante il periodo estivo) per i ragazzi della comunità; sostegno alla Comunità amministrata attraverso l’erogazione di contributi economici alle varie associazioni culturali, sportive, dilettantistiche; realizzazione di un bosco permanente come opera di risanamento di un’area che presenta criticità ambientali ai fini della rinaturalizzazione per la conservazione della biodiversità, rifugio per la fauna selvatica, riduzione degli impatti ambientali e visivi; sostegno economico alla locale scuola materna; attività culturali, di ricerca e formazione.
2 Muhammad Yunus, autore di Un mondo senza povertà (Feltrinelli, 2008), ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2006. Nel 1977 ha fondato la Grameen Bank, istituto bancario che ha avuto un enorme successo in molti paesi poveri perché pratica il microcredito a bassissimi tassi di interesse e senza richiedere beni in garanzia ai propri clienti.
Per saperne di più: www.uominidimassenzatica.it
Andrea Gandini
Economista