La dittatura dell’asterisco

di Monini Francesco

30 luglio 2022, Civitanova Marche
Sotto gli sguardi immobili

  • ma no, non è razzismo
    Sotto gli sguardi immobili
  • aveva importunato la fidanzata
    Sotto gli sguardi immobili
  • io non sono razzista ma non vado a mettermi in mezzo
    Sotto gli sguardi immobili
  • io sono arrivato dopo
    Sotto gli sguardi immobili
  • ero con mio figlio piccolo e son scappato via
    Sotto gli sguardi immobili
  • oh, mica credevo che l’ammazzava
    Sotto gli sguardi immobili
  • io quello non lo conoscevo neanche
    Sotto gli sguardi immobili
  • io lo conoscevo, non parlava neppure in italiano
    Sotto gli sguardi immobili
  • ho sentito che oggi ne sono arrivati mille
    Sotto gli sguardi immobili
  • il problema è che sono troppi!
    Sotto gli sguardi immobili
    Sotto gli sguardi immobili
    Sotto gli sguardi immobili…

La compagnia delle parole

Abbiamo capito ancora poco sull’origine e lo sviluppo del linguaggio umano, sappiamo però che da decine di migliaia di anni le parole ci accompagnano. Senza di loro non sapremmo vivere. Ognuno, ogni giorno, parla, ascolta, legge, scrive. E ognuno ha il suo zaino di parole, piccolo o grande, che ha incominciato a riempire da quando ha imparato a dire mamma. Il mondo delle parole assomiglia al mondo fisico: meraviglioso e tutto da scoprire, un mondo in continua evoluzione; ogni giorno nasce una nuova parola, mentre una parola vecchia va nel dimenticatoio. Chi utilizza oggi la parola “gaglioffo” o si rivolge a un bambino chiamandolo “fanciullo”? Le parole sono importanti e più parole conosciamo, più riusciamo a stare al mondo: a capire e a farci capire. Più piccolo è il nostro vocabolario e più saremo vittime degli azzeccagarbugli, di chi vuol venderci un pezzo di cielo, di chi ci chiede il voto promettendoci meno tasse e benzina gratis.
Da dove ci arrivano le parole? Dalla famiglia, dalla scuola, dai libri, ma anche – e sempre di più – dalla televisione, dalla rete e dai social media. Sarebbe bello se fossimo liberi di “pescare” liberamente le parole che ci piacciono di più o di cui abbiamo bisogno. Purtroppo non è così. Anche il nostro vocabolario è condizionato e spesso, senza che ce ne accorgiamo, qualcuno ci mette in bocca le parole.

La dittatura dell’asterisco
Esiste (anche) una dittatura delle parole. Parole, espressioni, intercalari che piovono dall’alto e si impongono nel linguaggio comune.
Non lo arricchiscono, al contrario, lo impoveriscono, lo appiattiscono, gli tolgono profumi e colori. Naturalmente, è sempre il potere ubiquo dei media a diffondere e imporre il nuovo dizionario comune.
Sorvoliamo sui termini stranieri tradotti malamente – storytelling che diventa quella narrazione da usare come il sale in cucina – o sull’abuso di anglicismi di cui non ci sarebbe alcun bisogno, esistendo da sempre un vocabolo corrispondente in lingua italiana: ecco allora che ogni riassunto viene sostituito con abstract.
E pazienza per il vizio comune di sostituire una semplice congiunzione avversativa – o, oppure – con un brutto e stupidissimo piuttosto che. Per fortuna, le nuove e brutte abitudini lessicali hanno spesso vita breve: ricordo la mania tardonovecentesca di infarcire ogni discorso con quell’insopportabile nella misura in cui.
Ma il danno più grave alla nostra lingua, alla nostra identità culturale, ma soprattutto alla nostra libertà di esprimerci, è costituito dallo strapotere del politicamente corretto. Un fenomeno che nasce nelle ultime due decadi del Novecento e che nel nuovo millennio si impone in tutto il mondo.
Il politicamente corretto si esercita su molti campi, penso ad esempio a quello della disabilità, ma è diventato imperante soprattutto su due di questi: la differenza di genere sessuale e la differenza di colore (della pelle). E se è vero che il movimento femminista e gender, come il movimento antirazzista, sono stati i primi a lottare contro le parole della tradizione e dell’oppressione proponendo soluzioni lessicali rispettose delle differenze, è il grande sistema mediatico americano (perché anche il politically correct è made in Usa) che lo ha adottato, portandolo all’estremo e imponendolo a tutto il mondo.
Così, anche in Italia, sono sempre di più le parole vietate: non si può dire negro, non si può dire di colore, non si può dire finocchio… o le parole colte al femminile: avvocatessa, architetta, ingegnera… Ma l’assalto al vocabolario e al buonsenso trova il suo apice nell’ultima moda, l’asterisco al posto della vocale finale. Visto che l’italiano non è il latino e non si può inventare il genere neutro in una lingua che non lo prevede, allora si ricorre all’asterisco. Non si può più scrivere Cari amici (intendendo maschi, femmine, omosessuali, trans, eccetera) e neppure Cari amici e Care amiche (perché comunque qualcuno si sentirebbe escluso). Ed ecco la geniale soluzione: Car* amic*.
Per fortuna c’è qualcuno, soprattutto qualche donna, rischiando l’impopolarità, che incomincia a non poterne più e protesta contro la dittatura delle parole e l’idiozia dell’asterisco. Anche Natalia Aspesi, la grande giornalista ormai 92enne, scende in campo, lanciando contro i distruttori di parole un tremendo insulto: Americanate! Lo stesso che usava suo nonno (e anche mio nonno).

Attenti alla statista
Giorgia Meloni e il suo partito sono in questo momento sugli scudi. Fratelli d’Italia (nascosta la fiamma e adottato l’inno nazionale) è stimato attorno al 25%, quattro punti sopra il PD di Letta e quasi dieci punti sopra la Lega di Salvini, in caduta libera da più di un anno.
Mentre scrivo, le elezioni di fine settembre sono ancora lontane, la maggioranza degli italiani non sa ancora chi voterà – e se andrà a votare – ma si tratta comunque di un dato storico: per la prima volta in 75 anni di storia repubblicana, il partito di estrema destra è diventato il primo partito. Alcuni minimizzano, lo ritengono un fenomeno passeggero, perché l’Italia è come il Grand Hotel, entra uno ed esce un altro: Berlusconi, Monti, Renzi, Conte… verrà il turno anche della Meloni.
Ma Giorgia è cambiata, non urla più come una borgatara della Garbatella, ha scritto (o si è fatta scrivere) una bella biografia. Ed è una donna, finalmente una donna, la prima, l’unica donna in una balbettante politica da sempre appannaggio dei maschi. La metamorfosi sembra compiuta, Giorgia adesso è diventata una statista: ha smorzato i toni, si muove con prudenza, senza rinunciare ai suoi “sacri valori”. Sembra la carta carbone (la carta carbone è nera) della sua grande amica Marine Le Pen. Con la differenza che in Francia c’è il presidenzialismo e Marine arriva prima al primo turno e perde regolarmente al secondo, mentre in Italia, se come probabile a settembre vincerà il centrodestra, Giorgia può diventare presidente del Consiglio.
Sulla fiamma sono sempre diffidente, ma a sentirla parlare la “nuova” Giorgia sembrava convinta e convincente. Poi ho letto – e vi invito a leggere – il suo programma elettorale, Il movimento dei patrioti in 15 priorità, e già il titolo mi ha subito catapultato dentro una macchina del tempo. E dopo i patrioti, tra una promessa e l’altra, ecco una sfilza di parole ammuffite e puzzolenti, la gloriosa fiamma, la gioventù italiana, l’obbligo di sermoni in italiano, la cura dei più bisognosi con pasto caldo… tutto il vecchio repertorio fascista e neofascista.
Lo sapevo io, la vecchia bestia non muore mai.


Francesco Monini

direttore responsabile di madrugada