L’Europa che è in gioco nel dopoguerra
Gli esperti e la storia ci insegnano che durante le guerre molte informazioni sono propaganda (in Russia è totale, ma anche da noi non si scherza). Ci auguriamo che la guerra sia breve e si raggiunga un compromesso. In ogni caso (sperando che non ci sia la guerra nucleare) ci sarà un dopoguerra e non si devono fare gli errori del 1920 o del 1991, quando anziché la mano tesa ai perdenti si usò la vendetta. L’Europa dovrà aiutare non solo l’Ucraina a ricostruirsi ma la stessa Russia, nel momento in cui si capisce che un dopo Putin è possibile. Là dove passano le merci non passano gli eserciti e ancor più se passano l’arte, la cultura e un aiuto fraterno. Questo è l’unico modo per far crescere la democrazia tra i popoli (non solo in Europa), creando sviluppo umano e diritti. Ecco perché la logica del riarmo è sbagliata. C’è già la deterrenza Usa-Russia (e Cina) perché l’Europa rincorra anche lei questo modello sbagliato. L’Europa ha un altro compito “spirituale”, quello di diventare un polo mondiale di sviluppo umano e armonia, indipendente sia dal “polo americano” consumista e affaristico, sia dal dispotismo e dall’orda del “polo cinese”, entrambi tesi a sopprimere la spiritualità e l’individuo pensante. Aiutare Ucraina e Russia significa portare la pace anche nel Mediterraneo e nel Medio Oriente e favorire il popolo russo e la sua classe media che non vuole finire nell’inferno in cui la sta portando Putin.
Seguiremo una logica di potenza?
L’alternativa è un’Europa subordinata agli Usa che vogliono continuare a fare il gendarme del mondo con una logica di potenza e che ci porterà a nuove guerre, ad armarci anche noi europei sempre di più e a un crescente impoverimento (specie noi italiani), a spostare il baricentro dell’originaria Europa dal Sud (noi) verso i paesi dell’Est Europa che hanno aderito alla Nato più che all’Unione europea.
Putin con la scellerata invasione dell’Ucraina spinge, indirettamente, verso un’Europa succube degli Usa (che a settembre 2021 ha fatto un patto con l’Ucraina), che piace alla finanza, alle multinazionali, alle lobby delle armi e a molti ingenui atlantisti, che non si rendono conto che la nuova sfida mondiale del XXI secolo non sarà in base alla potenza militare ma a quella economica e finanziaria che si sta spostando verso la Cina e, pertanto, solo un mondo meno armato e multipolare può aiutare tutti i popoli a vivere meglio.
Ruolo dell’Italia
L’Italia si è guadagnata una speciale competenza nell’aiutare le popolazioni nelle missioni militari all’estero, riconosciutaci da tutti e dovrebbe continuare su questa via, essere un mediatore (spingere l’Europa a farlo) anziché fare il lacchè degli Usa… che svende una tradizione italiana di 70 anni nel mondo. Un accordo che veda la neutralità dell’Ucraina (suggerito dallo stesso Zelensky), la Crimea alla Russia, le repubbliche russofone del Donbass indipendenti, sul modello del Südtirol, un esempio studiato nel mondo.
Una soluzione che si sarebbe dovuta ricercare, peraltro, anche prima.
Senza tale compromesso il dopoguerra che ci aspetta è una nuova divisione mondiale e una de-globalizzazione in cui c’è un polo formato da Usa/Europa/Giappone/Australia e un altro polo formato da Cina/Russia/India/Pakistan/ Africa/Medio Oriente che si rafforzerà sempre più anche per l’impoverimento che produce.
Tutte le catene di fornitura italiane (e non solo) saranno ridisegnate, diventando più locali ma anche più costose; noi ricchi mangeremo ancora il pane, ma non più altri 100 milioni di poveri.
Si rovesciano le parti: un nuovo bipolarismo
Si indeboliranno i poteri multipolari esistenti oggi nel mondo e la stessa supremazia Usa. La Cina diventerà il nuovo leader mondiale non solo economico ma anche militare (alleata con la Russia), ridimensionando il ruolo dominante Usa degli ultimi 110 anni. La Cina, in fortissima crescita, sviluppava nel 2000 il 5,5% del commercio mondiale dei beni manifatturieri (oggi ha il 16,2%), il resto dell’Asia è stabile al 22%, gli Usa sono scesi dal 23,2% al 15,7% e l’Europa dal 45 al 41,3%. In 20 anni il polo “occidentale” è sceso dal 68% al 57%, tra 10 anni sarà sceso sotto il 50%. La Cina ha attuato un crescente controllo delle materie prime, dell’energia, del cibo e delle terre rare (di cui sono ricche Russia e Africa), essenziali in ogni snodo critico della manifattura e delle tecnologie e la sua supremazia sarà rafforzata dall’alleanza con la Russia, da noi spinta tra le braccia della Cina. Nel nuovo mondo diviso, le stesse sanzioni commerciali per violazioni su guerre e diritti umani non avranno più efficacia.
I danni per l’Europa
Il nuovo bipolarismo sarà particolarmente dannoso per l’Europa e soprattutto per l’Italia, perché la Russia è un naturale partner per l’Europa, sia in termini economici (materie prime, cibo, energia, terre rare, manodopera) che culturali e spirituali. Compreremo di più da Usa e Canada, a prezzi maggiori, merci e alimenti più inquinati.
La Russia non era per noi europei solo materie prime e gas ma anche Dostoevskij, Tolstòj, Solov’ëv… una forza ardente della cultura dell’anima di cui ha un particolare bisogno un’Europa secolarizzata dal consumismo e inaridita dal materialismo. Non si trascuri l’importanza di questa cultura, della sua spiritualità e della sua sofferenza (che oggi ancora vive, sia con opposizioni che silente per l’invasione attuale, nel popolo russo).
E non sottovalutiamo la difficoltà di opporsi e manifestare oggi in presenza di un potere feroce.
Dostoevskij indicò tre tentazioni con cui l’umanità ha da confrontarsi: la tentazione del pane, quella dell’autorità e quella della potenza.
Gli interessi di una minoranza
Se queste relazioni commerciali e culturali con la Russia fossero troncate nel dopoguerra, subiremmo come europei e russi (e ancor più ucraini) un forte impoverimento, in particolare noi italiani e le nostre piccole imprese. Si salveranno invece le élite, la finanza, banche, grandi imprese, multinazionali che hanno sedi e presenza in Cina, India e che potranno, attraverso le loro consociate in Cina e India, continuare a commerciare (come hanno fatto in questi anni di embargo) con la Russia, oltre che con la Cina. Dobbiamo discernere ed evitare di essere travolti (ad arte come si è fatto anche in passato) da propaganda e isterismo contro singoli popoli che nulla hanno a che fare coi loro spietati duce, zar e governanti (anche i nostri, sedicenti democratici). E tantomeno armarsi come sciaguratamente stanno facendo i governi europei (e chi non lo fa è pro-Putin).
La difesa dell’Europa autonoma dagli Usa si può fare spendendo tutti meno come Stati (e non di più come ci chiedono gli Usa).
L’Europa davanti a una scelta forse irreversibile
Qual è dunque la lezione da trarre? Non confondere Putin con il popolo russo, la sua cultura eminentemente europea e le sue enormi risorse (materiali e spirituali) che possono diventare il partner ideale per un’Europa che conti nel mondo, aiutando anche la Russia a diventare un paese democratico. Andare oltre l’odio e il rancore che si cerca di spargere a piene mani oggi contro i russi per il crimine della guerra scatenata. Non facciamo il gioco delle élite che ci vogliono tifosi, pensiamo con la nostra testa, non facciamoci del male da soli («Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente» – Bertolt Brecht). C’è chi è interessato a creare queste ondate di odio tra i popoli sapendo bene che esse possono generare mostri, come quello accaduto a Firenze dove cittadini hanno chiesto al sindaco di abbattere la statua di Dostoevskij. Il bambino ucraino che piange e si allontana da solo dalla sua casa distrutta sarebbe stato amato da Dostoevskij e Tolstòj, anche se le “fabbriche” dell’opinione e dell’emozione pubblica hanno convinto molti ignari che siano loro a bombardare Kiev. L’obiettivo è dividere i popoli, isolarci, farci diventare consumatori iper-connessi, iper-tecnologici con una mentalità tribale, guerriera, sudditi dei nostri “carri armati invisibili” altrettanto criminali.
Andrea Gandini
Redattore di Madrugada
economista, già docente di economia aziendale, università di Ferrara, con la quale collabora per la transizione al lavoro dei laureandi