Camerum

di Alfier Cecilia

Dal passato coloniale alle fratture nel presente.
La Repubblica del Camerun è un paese dall’economia di stampo capitalistico, nella sostanza è una democrazia solo di facciata. Il presidente del paese, Paul Biya (secondo presidente nella storia del Camerun), è in carica dal 1982. Il suo partito, il Raggruppamento Democratico del Popolo Camerunense, era il solo ammesso, prima che venissero legalizzati i partiti d’opposizione nel 1990.
A dicembre 2020 il Camerun si preparava, per la prima volta nella sua storia, a eleggere i membri del Consiglio regionale. Il tutto si sarebbe poi risolto con una vittoria schiacciante del partito del presidente e le opposizioni sul piede di guerra. Non si sarebbe, infatti, trattato di elezioni a suffragio diretto, anzi il diritto di voto sarebbe stato concesso solo ai consiglieri regionali e ai “capi tradizionali”. Costoro sono una sorta di capi amministrazione del territorio, ausiliari della cosa pubblica. Finora, pur essendo il Camerun un paese relativamente sviluppato (uno dei maggiori produttori di petrolio in Africa), tutti i suoi tentativi di riforma per la chiarezza dell’amministrazione, il rispetto dei diritti umani e la responsabilizzazione dei governanti, sono naufragati. In generale, la transizione democratica è rimasta incompiuta. Senza contare la presenza di altri problemi tipicamente “africani”, come l’AIDS, lì chiamato “veleno lento”. Si ipotizza che il virus si possa essere originato in Camerun.
Nelle intenzioni dichiarate di Biya, in un paese a maggioranza francofona, queste elezioni avrebbero dovuto aiutare a risolvere la crisi separatista delle province a maggioranza anglofona, che si trascina dal 2016. Questa situazione affonda le radici un centinaio d’anni prima, nel 1916: fino ad allora il Camerun era protettorato tedesco, poi divenne territorio sotto tutela di Francia e Inghilterra, come deciso dalla Società delle Nazioni. La coppia franco-inglese ha ulteriormente aggravato una diversità demografica, dal momento che il Camerun è un assembramento di oltre 200 etnie, a causa della divisione artificiale, risultato della conferenza di Berlino di fine XIX secolo.
Dopo l’indipendenza nel 1960, il Camerun diventò stato federale, inizialmente si chiamava “Repubblica unita del Camerun”, ma nel 1972 la parola “unita” scomparve, data l’impossibilità di conciliare due entità inconciliabili: la parte nord si unì, per via referendaria, alla federazione nigeriana, la striscia sud rimase anglofona e la maggior parte del territorio si considerò francofona. Il nord francofono, ma anche musulmano, diede al paese il primo presidente, Ahmadou Ahidjo, che inaspettatamente diede le dimissioni nel 1982, facendo mutare gli equilibri di potere. Così l’esponente del sud, l’allora primo ministro Biya, si ritrovò a governare un regime corrotto monopartitico. Considerava il multipartitismo un feticcio del passato, che poteva dare adito ad alleanze tribali e regionali, che avrebbero minacciato l’efficienza della macchina statale. Nel 1984 fallì un colpo di Stato ordito dai soldati del nord e questo accelerò l’accentramento del potere.
Nel febbraio 1990 Yondo Black, l’ex presidente della Cameroon Bar Association (associazione di avvocati) e un gruppo di avvocati cercarono di fondare un partito indipendente, finendo con l’essere arrestati. L’arresto portò allo sciopero degli avvocati, che chiedevano la liberazione di Black, alla nascita di un altro partito non autorizzato e a proteste di studenti e di impiegati nel settore pubblico. La situazione costrinse Biya ad approvare nel dicembre 1990 la legalizzazione di altri partiti. D’altro canto, ciò non impedì al presidente di tentare di bloccare gli oppositori, attraverso la repressione, usando le forze dell’ordine e gli altri mezzi a sua disposizione per scoraggiare gli attivisti. Furono arrestati giornalisti e proibiti giornali di stampo antigovernativo, mentre le manifestazioni per la democrazia vennero soffocate nel sangue. Biya usò l’esercito nelle province più agitate, e rifiutò a più riprese l’incontro nazionale chiesto dall’opposizione.

Divisioni etniche ed economiche.

Per forzargli la mano, nel maggio 1991 una coalizione di oppositori diede vita all’operazione “città fantasma”, una campagna di scioperi e disobbedienza civile, tesa a fermare il commercio per un’intera settimana lavorativa, con l’obiettivo di continuare a oltranza. I sostenitori erano invitati a non pagare le tasse e ad astenersi completamente dal lavoro. Riuscirono a bloccare l’economia per qualche giorno, ma era difficoltoso mantenere una protesta di tali proporzioni, con un presidente così autocratico. Le sue manie di controllo acuirono le tensioni etniche. Lui favorì (e ancora favorisce) il suo gruppo, i Beti, e si circondò fin da subito di consiglieri noti come “Baroni Beti”. Affrontando opposizioni etniche da altre regioni (fuori dal sud), il presidente fece appello alla solidarietà “culturale” fra i Beti. Il suo atteggiamento nei confronti dei Beti (che considera come una sorta di cuore vivente del Camerun) e l’atteggiamento dei Beti nei suoi confronti sono considerati provocatori dal resto del Paese. L’esito più palese di queste divisioni si ebbe nelle elezioni dell’ottobre 1992. Dopo una campagna elettorale costellata da violenze e intimidazioni, Biya prese solo il 40%, i suoi due avversari insieme fecero il 55% ma non seppero mettersi d’accordo e Biya rimase vincitore.
Accanto alle divisioni etniche vi sono quelle economiche. La parte sud-ovest del Camerun ha forse il più grande potenziale turistico e agricolo del Paese, ma non realizza le proprie possibilità a causa dell’inaccessibilità ai fattori di produzione. In particolare la sezione di Kumba-Mamfe è importante per la produzione di cacao, ma purtroppo deve uscire dal proprio isolamento, poiché la strada fra Kumba e Mamfe è quasi impraticabile. Con un progetto finanziato dal Fondo per lo Sviluppo dell’Africa probabilmente sarà possibile implementare l’itinerario principale di collegamento, approvato a novembre 2012.
Nel 2020, l’economia del Camerun è stata fortemente influenzata dagli effetti combinati della pandemia covid-19, dalla persistenza dell’emergenza e delle crisi politiche e dal calo dei prezzi mondiali del petrolio. Tra i paesi dell’Africa centrale, il Camerun è stato il più colpito dalla pandemia covid-19, dal punto di vista sanitario ed economico. Il PIL reale si è contratto del 2,4% nel 2020, rispetto alla crescita del 3,7% nel 2019. Questo calo di 6,1 punti percentuali dell’attività economica è in gran parte spiegato dal calo dei prezzi mondiali del petrolio. In generale le attività di servizi e le esportazioni si sono fortemente contratte. Con la graduale attenuazione della pandemia, l’economia del Camerun potrebbe riprendersi già dalla seconda metà del 2021.

Cecilia Alfier

redazione di Madrugada