Proteggere il suolo
di Peroni Francesca
Consumo di suolo e tutela delle funzioni ecosistemiche
Il suolo è l’epidermide del nostro pianeta. Ricopre tutta la superficie terrestre, regola gli scambi tra acqua, gas, energia e gli altri comparti ambientali. È tra le componenti primarie di tutti gli ecosistemi del pianeta. È serbatoio di vita e di materia. Negli ultimi decenni, il suo fragile equilibrio è irrimediabilmente compromesso dall’espansione delle città, dalla continua infrastrutturazione dei territori e, più in generale, dagli impatti delle attività antropiche. Una delle maggiori minacce viene identificata nel cosiddetto consumo di suolo, il processo di totale impermeabilizzazione dei suoli naturali e seminaturali. Questo accade quando un suolo agricolo, vegetato o forestale, viene trasformato in edificio, strada o parcheggio, mediante l’uso di materiali, come asfalto e cemento, che impediscono l’infiltrazione dell’acqua piovana. Inoltre, viene a mancare il supporto destinato alla produzione di cibo e materia, si generano anomalie termiche, aumenta il rischio idrogeologico. In città, la mancanza di aree verdi e di alberi genera cambiamenti nel microclima urbano e viene alterato il ciclo del carbonio. Infine, da non sottovalutare è il benessere fisico e mentale che le aree non costruite forniscono alle comunità.Europa e salvaguardia
Sono passati quasi vent’anni da quando, per la prima volta, l’Unione Europea ha riconosciuto il suolo come vitale e come la sua protezione sia obiettivo primario da perseguire. Il documento, apparso nel 2002, ha posto un focus particolare sulle crescenti pressioni che le attività antropiche esercitano costantemente sul suolo. Tra queste, il consumo di suolo viene identificato come una delle maggiori minacce alla tutela di questa risorsa fondamentale e non rinnovabile. Dal 2002, il percorso intrapreso per riconoscere l’importanza della risorsa suolo è stato lungo e tortuoso. Già nel 2006 viene proposta una direttiva che mira alla sua salvaguardia, a cui sono seguite altre fondamentali tappe, tra cui l’obiettivo di un incremento dell’occupazione netta di suolo pari a zero da raggiungere entro il 2050, ribadito anche nel settimo Programma di azione per l’ambiente(2013). Tuttavia il 2014 è l’anno che ha segnato il ritiro definitivo della proposta di direttiva, a causa dell’opposizione di alcuni Stati membri. Rimasti in un limbo legislativo, che prosegue ancora oggi, in questi anni compaiono per la prima volta le linee guida per il contrasto al consumo di suolo. La Commissione europea ha infatti individuato tre strategie complementari per ridurre il fenomeno e raggiungere concretamente la tappa del 2050. Queste strategie sono riassumibili nel titolo stesso: “Linee guida per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo”.Riqualificare l’urbano
L’azione primaria viene individuata nella limitazione al consumo di suolo. Lo sforzo maggiore di ogni Stato membro deve essere impiegato nell’evitare nuove conversioni di suolo, naturale e seminaturale, a suolo impermeabile. Qualora nuove edificazioni siano necessarie, devono essere concentrate nelle aree già urbanizzate, scoraggiando di conseguenza la dispersione insediativa . Tra le misure suggerite per attuare tale strategia, viene privilegiata quella del riuso delle aree e degli edifici abbandonati o sottoutilizzati. Le dinamiche socio-economiche degli ultimi de-cenni hanno prodotto, in Italia e in Europa, un patrimonio edilizio non sempre valorizzato: siti militari, aree ed edifici industriali dismessi, edifici residenziali vuoti e stazioni ferroviarie in disuso sovente diventano elementi integranti del paesaggio italiano. A oggi, non si ha una mappatura e una catalogazione completa del patrimonio in abbandono. Secondo l’Istat, le strutture abbandonate ammontano a 750.000 mentre, secondo il Centro studi “Casa ambiente e territorio” di Assoedilizia, ne andrebbero conteggiate oltre due milioni . Negli ultimi anni alcuni progetti hanno cercato di rispondere a questa esigenza e dare un volto e una connotazione geografica a questi luoghi. I siti militari costruiti a centinaia durante la Guerra Fredda e progressivamente abbandonati dopo la caduta del Muro di Berlino, ne sono un esempio evidente. In Friuli Venezia Giulia, il progetto Un Paese di primule e caserme ha stimato nel 2011 circa 250 siti militari dismessi e già ceduti alle amministrazioni comunali. Tramite un’attività di mappatura partecipata, i progetti “Map4Youth” e “Spazi indecisi” (il primo a Padova e il secondo a Forlì) hanno coinvolto i cittadini nell’identificare i luoghi da rigenerare, con la possibilità di avanzare le proprie idee per il loro riuso . Nel panorama italiano gli esempi di riqualificazione urbana sono molti. Alcuni di questi sono stati guidati direttamente dalle amministrazioni locali con il coinvolgimento di importanti progettisti, mentre altri si sono rivolti direttamente ai propri cittadini mediante percorsi partecipati . Tuttavia, il percorso per attuare la strategia della limitazione al consumo di suolo è ancora in divenire, in quanto rimangono numerosi i luoghi in disuso presenti sul territorio italiano. Basti provare a passeggiare per le vie della città, senza dover percorrere chilometri, e prestare attenzione all’edificato: non sarà difficile individuare case singole, grandi complessi e appartamenti chiusi, in disuso o abbandonati. Si provi a compiere l’operazione contraria, ovvero prestare attenzione a quanti nuovi edifici, case singole e grandi complessi sono in costruzione: i casi saranno numerosi.Il verde che mitiga
Accanto a questa prima strategia, la Commissione europea suggerisce quella della mitigazione al consumo di suolo, attuabile in quei casi in cui la limitazione sia inefficace. Meno conosciuta e meno apprezzata in Italia, ma ben più nota nel nord Europa, può risultare fondamentale per ripristinare alcune funzioni ecosistemiche “sottratte” al suolo. L’uso di materiali permeabili, che consentano il drenaggio dell’acqua piovana e, in generale, di mantenere in equilibrio il ciclo idrologico, è una delle soluzioni proposte. Accanto a queste ultime, vengono menzionati anche l’uso di infrastrutture verdi, di tetti e pareti vegetati. Queste soluzioni hanno dimostrato non solo un miglioramento del ciclo idrogeologico, ma anche un apporto benefico al microclima urbano, nonché alla qualità della vita dell’uomo nelle città densamente urbanizzate. Per trovare esempi virtuosi bisogna tuttavia uscire dal confine nazionale per approdare ad esempio a Basilea, dove da circa vent’anni viene condotta una politica di inverdimento dei tetti, sia per aumentare l’efficienza energetica degli edifici, sia per la conservazione della biodiversità. Benché questa strategia abbia un enorme potenziale, in Italia, forse a causa dei costi di costruzione e di mantenimento, è un’azione che vede ancora alcune limitazioni.Strategie di compensazione
Una terza strategia proposta dalla Commissione europea è quella della compensazione, considerata come l’ultimo tentativo nel caso in cui né la limitazione al consumo di suolo né la mitigazione possano essere attuate. Questa strategia viene proposta con molta cautela dalla Commissione, che ne sottolinea l’insidiosità. Compensare significa restituire, a fronte di una nuova edificazione, le funzioni di quel suolo in un luogo differente. Tali funzioni che si vanno a compensare dovrebbero, tuttavia, essere strettamente connesse e correlate. Ad esempio, l’urbanizzazione di un terreno agricolo può essere compensata dalla riconversione a uso agricolo di terreni agricoli degradati. Con il termine compensazione si intende anche la rinaturalizzazione e il ripristino di alcune aree già impermeabilizzate a fronte sempre di una nuova edificazione. Questa strategia, tuttavia, non dovrebbe dare via libera a nuove edificazioni indiscriminate. Il suolo, infatti, viene considerato come risorsa non rinnovabile: impiega centinaia di anni per rispristinare tutte le funzioni ecologiche. Il ripristino delle funzioni di un suolo degradato, o impermeabilizzato, non sarà quindi in grado di fornire quei servizi ambientali che un suolo naturale è normalmente in grado di compiere. In Europa, il primo paese ad attuare questa misura è stato la Germania nei primi anni duemila. In Baviera, ad esempio, è stata messa in pratica la compensazione preventiva: chi intende edificare deve prima operare una rinaturalizzazione, e solo dopo l’approvazione dell’amministrazione locale può compiere una nuova urbanizzazione.Re-indirizzare i processi
Le tre strategie proposte dalla Commissione europea mettono in luce come il fenomeno del consumo di suolo debba essere affrontato secondo diversi approcci per favorire, entro il 2050, una riduzione progressiva e un azzeramento del fenomeno. Le cause, gli impatti, gli attori, i diversi livelli di governance e le politiche da adottare rendono il consumo di suolo alquanto complesso da gestire, non solo a livello europeo, ma anche a livello nazionale e regionale. Non esiste infatti un’unica soluzione per contrastare il fenomeno, quanto una strategia complessiva e condivisa che sia in grado di re-indirizzare i processi di trasformazione del territorio.Francesca Peroni
architetta, dottoranda in geografia all’Università di Padova