Supplementi di umanità cercasi
Io sono l’altro
puoi trovarmi nello specchio
la tua immagine riflessa
il contrario di te stesso,
Io sono l’altro
sono l’ombra del tuo corpo
sono l’ombra del tuo mondo
quello che fa il lavoro sporco
al tuo posto».
[Niccolò Fabi, Io sono l’altro]
Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all’isola che non c’è».
[Edoardo Bennato, L’isola che non c’è]
Not me. Us.
È il bello quanto efficace slogan della campagna presidenziale americana del candidato democratico Bernie Sanders. «Non per me, ma per tutti noi»: uno slogan che rievoca in due lettere, quell’US che significa noi, ma anche Stati Uniti. Sembra una sfida sottile, ma profonda, lanciata in un Paese ricco e malato in cui il presidente di turno gioca come un bambino a fare la guerra, minacciando la pace mondiale. In una democrazia sazia, ma in difficoltà, Sanders sta appassionando soprattutto i giovani, parlando del loro futuro e di temi a loro cari in un’America che soffre la stessa sola parola: pubblico. Bernie fa politica e i giovani si stanno appassionando a quel tipo che sta parlando dal palco, quel tipo che potrebbe essere il loro nonno ma che è incazzato come e più di loro. Si incazza e parla di salario minimo, di lotta al cambiamento climatico, di diritti civili per tutti e una lotta senza quartiere alla disuguaglianza.
Diritti, lotta alla diseguaglianza e ambiente: temi che dovrebbero stare a cuore a tutti anche nel nostro Paese. I giovani sembrano avere una nuova voglia di partecipazione e come non vedere con buon occhio il fenomeno per ora spontaneo e non organizzato delle sardine in Italia? Giovani e non solo che si riprendono la piazza, l’agorà dove troppe volte negli ultimi tempi sono risuonate parole di odio, idee stupide di sovranismo in salsa nazionalista e razzista. Una piazza occupata e riempita da slogan ed egocentrismo da potere che si incensa e si propaganda.
Le sardine e tanti italiani, uomini e donne, chiedono un linguaggio nuovo e nuove proposte per costruire il futuro insieme. Raul Follereau, un uomo straordinario dedicato alla causa della lebbra, scrive parole appassionanti ai giovani di ieri, ma calde e calzanti anche per l’oggi: Non lasciatevi irretire dai ciarlatani del sofisma e dai maniaci del rifiuto. Vi lasceranno vuoti, con l’intelligenza tradita e nel cuore un pugno di cenere.
La vostra giovinezza deve essere creazione, elevazione, servizio e gioia.
Non riformerete il mondo se non arricchendolo. A tale scopo vi sarà necessario mettere la mueruola alla macchina che minaccia di divorare l’uomo, imbrigliare la fretta da cui si sta lasciando portar via, riconquistare il tempo d’amare.
«Datemi un punto d’appoggio – diceva Archimede – e io solleverò il mondo».
Il vostro punto d’appoggio è l’amore.
La rivoluzione? Sì, a favore di quelli che, questa sera, andranno a dormire – forse sulla nuda terra – a stomaco vuoto; […] I vostri fratelli hanno bisogno di voi: semplicemente, nobilmente, diventate operai in una qualunque attività.
Ogni lavoro è nobiltà quando lo si appende a una stella. Diventate qualcuno per fare qualche cosa.
Rifiutatevi di mettere la vostra vita al riparo.
Ma rifiutate anche l’avventura, dove l’orgoglio trova più posto che il servizio.
Denunciate, ma per innalzare.
Contestate, ma per costruire.
Che la vostra rivolta, con tutta la vostra collera, sia amore. I forti sono coloro che credono e vogliono costruire. Costruite dunque la felicità degli altri.
Domani avrà il vostro volto.
Il mondo va disumanizzandosi: siate uomini.
Serve un supplemento di umanità, in un mondo che sembra perdere la bussola, la stella. Da poco è iniziato un nuovo anno, dopo aver celebrato il Natale, la festa del Dio con noi, in mezzo a noi, come noi: uomo. Un Dio umanizzato per dare nuova luce all’umanità, spesso per toglierla dalla gabbia dell’io idolatrato, dagli Erodi che continuano a uccidere chiunque li minaccia, i bambini che sono il futuro e dunque la speranza. Abbiamo narrato, ricordato e celebrato il Signore visitato dai re venuti con i loro doni seguendo una stella. Uscire da sé e seguire la stella, la ricerca del desiderio e della felicità fa diventare tutti insieme un Noi, un popolo. Non io, ma noi. Questo serve. Quella stella che ci spinge a guardare in alto, a fidarci e a capire che la felicità non è ricerca forsennata e agitata, poggiata tutta sulle nostre spalle, ma un cammino da fare insieme che porta all’offerta di sé. Per cambiare davvero, non basta dirlo o denunciare ciò che non va, ma iniziare un viaggio. È possibile. Certo. Sempre Raul diceva: Che importa! L’importante, non è raccogliere, ma seminare. Le difficoltà sono già in agguato sulla via del vostro destino? Affrontatele in piedi.
Nel benessere, siate fratelli.
Nella sofferenza, siate uomini.
E guardate più in alto, sempre più in alto.
Per asciugare le lacrime, nulla è meglio che fissare una stella.
Solo le relazioni ci salvano
Seguire la stella ed essere stella per qualcuno, orientamento nel buio della notte. Perché dalla notte si esce.
Il narcisismo, che sembra diventare la malattia del secolo e prende davvero tutti, grandi e piccini, ci rende prigionieri e incapaci di vere relazioni. Come amava dire Giuseppe Stoppiglia, solo le relazioni ci salvano. Solo uno sguardo disincantato e non farisaico o giudicante sulla realtà, per metterne in luce il bello che c’è già e che è patrimonio di tutti, potrà darci una nuova spinta verso il mondo di domani. Che ci attende alla porta con il rumore delle armi e il silenzio del cuore.
Papa Francesco nel suo messaggio per la giornata della pace scrive: «La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità. Sperare nella pace è un atteggiamento umano che contiene una tensione esistenziale, per cui anche un presente talvolta faticoso può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
In questo modo, la speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili».
Adriano Cifelli fondazione Arché, Milano