Parole nuove per orrori vecchi
Alzi la mano chi, avendo più di trent’anni, avrebbe immaginato qualche anno fa di incappare in questo neologismo oggi così debordante e soffocante. Che cos’è davvero il sovranismo?
In fin dei conti lo chiamiamo così perché siamo attraversati dal pudore ipocrita di non volerlo definire per quello che è: una forma contemporanea del vecchio orrore nazionalista. E, come ben si sa, il nazionalismo ha sempre storicamente aperto una serie di licenze che hanno condotto sistematicamente ad aberrazioni ideologiche e soprattutto a eventi luttuosi, trascinando con sé xenofobia, razzismo, esaltazione di ogni violenza.
Non a caso l’inaridimento etico, culturale e civile del tempo presente ha prodotto parole nuove per risuscitare la nostalgia di orrori vecchi e niente di più. Alcune semplici considerazioni:
Il sovranismo contemporaneo è il risvolto politico e sociale di un nuovo e più spietato individualismo. A questo proposito due sono le forme che identificano efficacemente i processi in atto: l’auspicata chiusura dei confini territoriali, quale simbolo della chiusura della relazione tra soggetti diversi e poi l’idealizzazione dell’universo locale, sia esso nazionale o regionale, con la conseguente enfasi sul controverso principio d’identità. Che cos’è l’identità se non un concetto astratto e improprio, utilizzato al di là e al di fuori del più integrale e umano concetto di autenticità?
Assistiamo a un inasprimento dei conflitti di ogni genere e natura: politici, economici, sociali, culturali e religiosi. La conseguenza più naturale è una spaccatura trasversale netta delle coscienze, posto che queste ultime siano ancora sopravviventi, nei rapporti individuali e collettivi. Il conflitto emerge perfino nella consolidata incapacità di rispettare l’altro nella dialettica più comune.
Il totalitarismo politico è diventato di nuovo un’ideale via d’uscita dal conflitto, mediante l’esaltazione dell’immagine dello Stato forte e severo e dico Stato non a caso, rinunciando al concetto invece più autentico di Repubblica, cioè di «res publica» quale espressione della responsabilità comune nelle relazioni sociali e politiche. Non si tratta più delle novecentesche forme di dittatura, ma di un clima politico e sociale d’intimidazione e di soffocamento, oltre che d’indirizzo politico non più liberamente determinato dai cittadini, ma segnato da un’onda emotiva di soluzioni populiste e liberticide in modo ben più raffinato e diabolico.
I totalitarismi del XXI secolo, numerosi e multiformi, hanno abbandonato gli schemi del vecchio totalitarismo di massa e hanno affinato il concetto di violenza istituzionale, concedendosi nella realtà la possibilità di una tenuta più duratura e stabile nelle cosiddette «democrazie autoritarie», oggi più che mai sulla cresta dell’onda. Si vedano i casi della Russia, dell’Ungheria, della Polonia e, in un certo senso, anche degli stessi Stati Uniti d’America.
Lo strumento più efficace per il conseguimento del consenso è stato ed è lo sfruttamento delle psicosi collettive e l’alimentazione di un sentimento, sovente immotivato, di paura e d’insicurezza. Si tratta di una lotta spietata e cinica contro ogni rielaborazione etica dei conflitti attraverso parole d’ordine, notizie false, luoghi comuni e aggressioni verbali.
Da ultimo assistiamo al vero obiettivo di quest’azione durissima, che è il tentativo di allontanare radicalmente gli ultimi della Terra dalle opportunità di riscatto e di affermazione della propria dignità. Essi sono il cuore e le vittime predestinate di questo attacco perfettamente condotto. Un’umanità immersa in una dimensione di relazioni giuste, finalizzate all’elevazione della dignità umana e all’affermazione del diritto alla vita in un contesto di generale uguaglianza, è la vera nemica di quella «cosa» apparentemente imprecisata che chiamiamo sovranismo e che altro non è che il cavallo di Troia di un «déjà vu»: gli orrori novecenteschi che tornano.