Il galeorto di Ferrara
L’ottava porta si chiude dietro di me ed entro nell’area pedagogica dove durante l’anno scolastico si tengono le lezioni delle varie scuole. C’è un assembramento di detenuti inconsueto. Cerco di capire e riconosco gli alunni della scuola di agraria. Mi vengono incontro eccitati: stanno sostenendo l’esame orale per la maturità. Sono sorridenti, tutto sta andando bene. Mi chiamano dall’aula d’esame perché il commissario vuole congratularsi per l’attività dell’orto che ha permesso agli studenti di esercitarsi praticamente tutti i giorni. Gli insegnanti si congratulano per l’impegno e i buoni risultati ottenuti dai detenuti esaminati. Mi chiedono di parlare del «famoso» Galeorto.
L’idea è nata da una richiesta degli stessi detenuti che già in passato coltivavano un pezzo di terra all’interno del grande muro di cinta. Ma mancava l’acqua e il terreno era catalogato come area di riunione per le emergenze e perciò si smise di seminarlo.
Tre anni fa la direzione ha individuato un nuovo grande appezzamento di circa 6.000 mq. Un gruppo di amici ha offerto la possibilità di scavare un pozzo artesiano. È nata così l’idea del Galeorto. La Casa Circondariale ci mette il terreno, l’Associazione di volontariato sociale Viale K lo prende inàcomodato e realizza il pozzo e dissoda il terreno; procura le piantine, i semi, i concimi eccetera; e soprattutto associa i detenuti che desiderano coltivare l’orto. I detenuti-ortolani vengono assicurati come soci volontari di Viale K e producono gratuitamente gli ortaggi da mettere a disposizione delle varie sezioni del carcere.
Piantine, erbe infestanti e cappelli di paglia
Così una quindicina di ortolani dalle 9 alle 11 e dalle 13 alle 15 può dedicarsi a turno alla zappa. Subito c’è la richiesta di un secondo orto per una sezione speciale. Si parte e in poco tempo si ottiene una striscia coltivata con ordine e una buona professionalità. Gli ortolani-studenti scendono con il professore di agraria che indica loro metodologie e distinguono una parte di terreno che diventa sperimentale. Assisto a discussioni interessantissime sui diversi prodotti da seminare o trapiantare, sull’orientamento dei filari riguardo al sole. E sull’uso più corretto dell’acqua e dei concimi, sulle malattie e gli insetti o le erbe infestanti… procuro dei cappelli di paglia perché non si prendano un’insolazione.
Nascono contrasti tra i detenuti rumeni e magrebini circa le date della semina e della raccolta, gli uni vogliono le verze e i cavoli, gli altri le spezie, i peperoncini. I nostri meridionali, supportati dagli agenti, preferiscono le cime di rapa. Io opto per le fragole. Dalle discussioni nasce la consapevolezza che in ogni angolo del pianeta ci sono usi e tradizioni e tempi diversi per coltivare l’orto legati ai climi e ai gusti di ciascuno.
Alla fine ci troviamo tutti d’accordo sul piantare quello che una ditta di piante da orto ci regala! Gli insegnanti poi stabiliscono i tempi e gli usi legati al nostro territorio. Comunque è assodato che le verze, le rape e i cavoli li mangiano quelli del nordest Europa. Meno male che le patate e i pomodori mettono tutti d’accordo. L’anno scorso è avvenuto un fatto strano. A grande richiesta ho procurato semi di peperoncino calabrese (anche questo amato dagli agenti). Seminati con grande attesa, sono spuntate piantine strane che nessuno riconosceva, ciascuno faceva pronostici e riconosceva un tipo particolare di peperoncino. Un giorno mi chiamano e troviamo un campetto fiorito tra le zucche e le fragole; non erano peperoni ma fiori coloratissimi. Tutti hanno convenuto che ci stavano proprio bene e che i fiori sono molto belli anche in carcere.
Il Galeorto si espande, evade, e arrivano le zucche violine
Ma il Galeorto si estende anche oltre il grande muro di cinta. È avvenuto proprio così. Una mattina passeggiavo con il direttore del carcere nel corridoio che dà verso l’esterno e stavamo valutando come estendere anche ai detenuti «semiliberi» (o con l’art. 21), che stanno nella parte esterna della Casa Circondariale, un’attività che li coinvolgesse e facesse loro guadagnare qualcosa. Alcuni detenuti «lavoranti» stavano sfalciando il grande prato che, come un anello, circonda tutto il carcere. «Facciamone un orto grande. Saranno almeno tre ettari». Il direttore mi ascolta, tace e sorride, poi con aria convinta mi dice di fare domanda al Prap. Nasce così la coltivazione di zucche violine nel terreno «intercinta»: tra la rete di confine del carcere e l’ultimo grande muro. La zucca violina, sia detto per inciso, serve ai ferraresi per fare i famosi cappellacci di zucca. Gli Estensi ne andavano ghiotti e ne erano fieri.
Dentro e (appena) fuori: due orti per avviarsi verso una nuova vita
I lavori di dissodamento, di allacciamento al canale di irrigazione, di pacciamatura e trapianto di 3.000 piantine di zucca ci fa arrivare praticamente a luglio. I più ottimisti ci dicono che sarà un fallimento: troppo tardi e troppo caldo quest’anno! Ma le piantine «si tengono» e, anche se un po’ inàritardo, a settembre riusciamo a vendere zucche a mezza città: le zucche del Galeorto. Ci hanno lavorato tre detenuti che ormai hanno finito di scontare la pena. Hanno guadagnato anche qualche soldo tramite un tirocinio formativo e uno di loro, rimasto senza famiglia, ormai vive presso una delle comunità gestite dalla associazione Viale K. Logicamente fa l’ortolano.
Per sostenere il Galeorto ho fatto il trattorista, riscoprendo la mia ancestrale vocazione contadina, ma immediatamente si sono aggiunti alcuni volontari, dando continuità a questo progetto che sta diventando sempre più strutturato. All’interno del carcere si coltiva gratuitamente per stare impegnati e fornire di verdura fresca un po’ tutti i detenuti che lo desiderano, all’esterno invece si lavora per dare una possibilità economica e mettere alla prova quelle persone che si preparano a uscire a breve dal carcere.
Invece di andare avanti, si sta tornando indietro
L’associazione Viale K svolge ormai da vent’anni un lavoro di accoglienza dei detenuti che usufruiscono di misure alternative al carcere e spesso li ospita anche dopo la scarcerazione. Si tratta di un lavoro fatto di relazioni che si intessono partendo da colloqui e attività che si svolgono prima di tutto in carcere e che poi si estendono nelle varie comunità di accoglienza che Viale K gestisce nel territorio ferrarese.
La maggior parte di loro, dopo un periodo di permanenza in comunità, trova la propria strada e se ne va. Alcuni invece rimangono, impegnandosi nelle varie attività dell’associazione, secondo il bisogno e le capacità di ciascuno. Alcune volte qualcuno ricade nei vecchi errori, o più semplicemente torna in carcere per scontare reati vecchi, ma la relazione e il contatto rimangono. Ci si occupa soprattutto dei più giovani senza possibilità famigliari.
Speravamo che queste esperienze che ormai in tante parti d’Italia si stanno realizzando in una bella collaborazione tra amministrazione carceraria e terzo settore trovassero finalmente conferma e nuovo slancio nella nuova legge che doveva regolare la materia del trattamento alternativo al carcere.
Tutto si è bloccato con il nuovo governo che purtroppo ha deciso di andare in tutt’altra direzione, verso una detenzione punitiva e chiusa. Si sta però andando contro la storia e soprattutto contro l’esperienza consolidata in questi anni che dimostra che la corresponsabilità di vari soggetti nel trattamento della pena e la valorizzazione delle misure alternative produce un grande risultato sia nel recupero, sia, di conseguenza, sul piano della sicurezza sociale.
Domenico Bedin
Associazione Viale K, Ferrara