Migrazioni. Fidiamoci del mercato?

di Panebianco Fabrizio

C’è un tema che, negli ultimi mesi, è l’unico di cui si dibatte in politica: i migranti. Indipendentemente dalle considerazioni circa i motivi per cui l’attenzione si è spostata su questo tema, facendo dei migranti un capro espiatorio; indipendentemente dalle conseguenze drammatiche sul clima civile del nostro paese, e dalle conseguenze visibili in termini di discriminazione sulle vite di milioni di cittadini italiani di fatto, propongo qui un ragionamento che vorrebbe essere uno spunto, a tratti un po’ estremo, per elaborare possibili soluzioni al problema.

Il dato di fatto

Nei prossimi decenni assisteremo a una pressione migratoria verso l’Europa, proveniente dall’Africa, di svariate decine di milioni di persone. Persone che, intravedendo la possibilità di far crescere i propri figli in paesi con reddito molto più alto e aspettativa di vita di qualche decennio superiore, hanno, a buon diritto, la speranza di migliorare le proprie condizioni. Sono migranti economici (e non rifugiati) come la totalità della migrazione italiana all’estero passata e attuale. Se nulla cambierà nella geopolitica mondiale, quello che osserviamo ora è verosimilmente l’inizio del fenomeno migratorio di massa.

Non è la prima volta che, nella storia, masse enormi di persone si muovono. Storicamente l’idea di fermare, nel giro di poco, masse così grandi di persone è abbastanza infondata. Ci sono due alternative. La prima, inaccettabile da ogni punto di vista, è quella di sparare, o far morire in qualche modo, le persone in arrivo. Per quanto inaccettabile, è quanto stiamo in parte attuando data la naturalezza con la quale accettiamo morti per mare e nel deserto, prigionie libiche o fili spinati ungheresi. La seconda è quella di provare a elaborare qualche politica per gestire un po’ la transizione, che sarà inevitabilmente traumatica, e cercare una convivenza quantomeno accettabile.

Dato l’attuale sistema di regole, chiunque riesca ad arrivare in Europa vuole restarci quasi a ogni costo. Il costo di essere espulsi, e dunque rischiare la lotteria con la vita per rientrare, sarebbe eccessivo. Di conseguenza chi arriva è disposto a tutto per restare.

Un’alternativa potrebbe esserci

Il governo potrebbe riprendere a emettere, come un tempo, visti per ricerca di lavoro. Si otterrebbero vari risultati. Questo meccanismo riduce i costi di entrata in Europa. Qui si prova ad argomentare che ridurre i costi di entrata riduce anche il costo di rientrare nel proprio Paese.

Innanzitutto si eliminerebbe gran parte dei traffici di esseri umani. Le persone, invece di pagare svariate migliaia di euro per arrivare in Europa con una probabilità alta di morire (circa il 25% solo per la traversata nel Mediterraneo), spenderebbero molto meno e arriverebbero al sicuro. I soldi risparmiati servirebbero per gestire i primi mesi di transizione e vita in Italia.

Cosa succede se non si trova lavoro? Data l’eventuale facilità di nuovo rientro in Italia, e supponendo che, a meno dei casi dei rifugiati, ciascuno sta meglio a casa sua che fuori se non c’è lavoro, si avrebbe un rientro non traumatico nel proprio Paese. Il mercato del lavoro indirizzerebbe la domanda di lavoro straniero e dunque i flussi migratori. Esperienze simili si sono avute con i romeni. Una volta che hanno avuto la possibilità di andare e venire liberamente dalla Romania, durante la crisi economica si è osservato un rientro verso il proprio paese. La stessa cosa avviene per molti egiziani residenti regolarmente nel nostro Paese che, grazie ai voli a basso costo, tornano a casa quando non c’è lavoro in Italia per poi ritornare quando il lavoro è possibile.

Questa politica parte dall’evidenza che molti migranti saranno migranti economici, e che quindi seguono le maggiori possibilità economiche di un paese. Quando queste si riducono, il flusso si riduce. Le frontiere aperte rendono più veloce la regolazione del meccanismo.

Sui ceti più poveri il peso maggiore

Rimane una questione rilevante ma da accettare in ogni caso e con la quale fare i conti. La pressione migratoria porta generalmente lavoratori disposti ad accettare salari inferiori rispetto alla popolazione autoctona. La pressione a un ulteriore ribasso nei salari, specie quelli di professioni ad alta intensità di lavoro, sarà molto alta. Saranno quindi i ceti più poveri a sopportare, come stanno già facendo, il peso maggiore di questa migrazione. Per evitare spinte razziste e fascisteggianti, uno spostamento del welfare dalle pensioni ai disoccupati o sottoccupati sarebbe necessario. Inevitabile invece sarà il clash culturale (scontro culturale, ndr). Su questo occorre adottare tutti gli strumenti in nostro possesso per avere una transizione culturale il meno traumatica possibile favorendo integrazione, ecc. Tuttavia occorre essere realisti e sapere che i decenni a venire, con una pressione migratoria molto alta, saranno complicati per le transizioni culturali inevitabili, e dunque per le possibili risposte autoritarie che potranno sorgere e che già in parte intravediamo.