Se il pane torna a essere pane
Alla radice di un equivoco
Esiste un equivoco irrisolto, generato dalla simbologia del pane, che lo ha allontanato dal suo valore instrinseco, che è quello di essere il nutrimento concreto e indispensabile dell’essere umano.
Proprio intorno al pane, e quindi alla possibilità di accesso ai beni materiali e quindi primari, si è giocato in questi anni un esercizio retorico che sovente ne ha fatto dimenticare la dimensione connessa con i diritti fondamentali della persona.
D’altra parte, possiamo dire che oggi il problema dell’alimentazione per tutti sia stato definitivamente o sostanzialmente risolto?
I dati sulla produzione e sul consumo di beni alimentari e conseguentemente sulla loro reale distribuzione dimostrano ampiamente che la giustizia, intesa come riconoscimento del diritto al cibo, al vestito e all’abitazione, è ancora lungi dall’essere instaurata e che quindi il pane per tutti è ancora uno splendido sogno irrealizzato.
«Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).
Su questa radicale proposta di Gesù Cristo, che associa il pane che esce dalla bocca di Dio e quello che entra nella bocca dell’uomo, l’umanità si è attorcigliata su sé stessa e non ha mai voluto trovare la chiave di volta per uscirne.
Dissociato dalla chiave interpretativa trascendentale del Dio cristiano, il pane, inteso come ciò che esprime l’essenziale per la vita umana, ha subìto paradossalmente una falsificazione della propria natura e del proprio valore e, una volta scaraventato dentro molteplici letture simboliche, ha perso il suo valore storico, che è, in fin dei conti, la coincidenza con il diritto alla vita.
Oggi è doverosamente necessario recuperarne proprio questa dimensione storica, proponendo una ricomposizione con ciò da cui è stato separato: la bocca di Dio.
In una prospettiva spirituale, anche se non necessariamente religiosa, la dignità umana non può essere scorporata dal bisogno storico del pane. Invece ciò avviene sistematicamente.
A mio parere c’è una ragione determinante che origina questa ingiustizia profonda ed è la strutturazione del sistema capitalistico neoliberale che, mirando al principio esclusivo dell’accumulazione a favore di chi può consentirsi di accumulare, disdegna «de facto» il principio delàriconoscimento del diritto ai beni primari per chi non può consentireselo. Il capitalismo è, nella sua natura originaria, affamatore, proprio perché evidenzia un sostanziale disprezzo per il diritto universale al pane.
Pane, ambiente e politica
Un secondo fondamentale rilievo riguarda l’obbligo di condizionare la produzione e la distribuzione del cibo, e quindi del pane, a una relazione armoniosa con l’ambiente o, per meglio dire in un linguaggio latino-americano, con la «Madre Tierra».
In questa fusione inscindibile tra il cibo e la terra si esprime il profilo della responsabilità umana di garantire il pane quotidiano in una prospettiva globale di rispetto della natura e dei suoi processi.
A molti è parso che lo sfruttamento delle risorse naturali ai fini di utilità per l’uomo fosse potenzialmente irrefrenabile e illimitato. Anche in questo caso la dilatazione dello sfruttamento naturale non ha prodotto benefici nella distribuzione alimentare, ma sovente ha generato esattamente il contrario.
Ciò dimostra che la primogenitura di ogni azione che garantisca l’accesso di tutti al pane, in un mondo la cui natura sia rispettata, sia essenzialmente della politica.
Se il pane è un valore intrinsecamente legato alla dignità dell’uomo, la politica rappresenta la via maestra per affermarlo in forma storicamente visibile e concreta ed è di tutta evidenza che soltanto una maturazione etica e civile collettiva possa produrre orientamenti politici nel senso della distribuzione equa del pane. Nessuna prevalenza culturale del modello capitalista produrrà mai una giustizia distributiva sui beni della Terra.
L’irrecuperabilità etica del capitalismo esige pertanto una coscienza generalizzata circa il diritto al pane, generando una consapevolezza apparentemente banale e idealista: che il pane sia un diritto per tutti.
La via d’uscita più semplice
La via d’uscita più semplice passa attraverso un processo collettivo di maturazione sulla dignità umana e sulle scelte politiche a esso conseguenti.
Perché tutto ciò sia possibile, il pane deve tornare a essere pane.
Ecco perché i diritti fondamentali e primari della persona costituiscono paradossalmente l’obiettivo-cardine dell’immediato futuro, oltre ogni strumentalizzazione e ogni ipocrisia.
Il pane agli affamati, l’acqua agli assetati, la casa, il vestiario e il lavoro costituiscono ancora oggi un’urgenza imprescindibile, a dispettoàdell’approccio astrattamente ideologico del neoliberismo dell’XXI secolo.
Oltre l’ideologia c’è ancora la garanzia di una vita felicemente degna per tutti in una chiave storicamente e politicamente credibile.