Zimbabwe

di Comitato di Redazione

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La Repubblica dello Zimbabwe (ex Rhodesia) è uno Stato dell’Africa orientale che ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito il 18 aprile 1980. Ha una superficie di 390.757 km2 e poco più di 13 milioni di abitanti. La sua capitale e maggiore città è Harare.

Per il suo trascorso coloniale, la lingua ufficiale è l’inglese.

Il paese è estremamente povero, ridotto al collasso economico e ormai quasi completamente finanziato da Pechino: il PIL procapite ammonta a 743 dollari, il che significa che la gente vive in media con meno di due dollari al giorno. La disoccupazione è del 95% e il 72% della popolazione vive sotto la soglia di povertà (l’indice di sviluppo umano è pari a 0,397 ponendo lo Zimbabwe al 172° posto su 187 paesi); l’analfabetismo è di poco inferiore al 10%.

Dall’ottenuta indipendenza, primo ministro e poi presidente esecutivo è ininterrottamente Robert Mugabe, ora 92enne, forse il più anziano capo di Stato al mondo. Sempre più costretto a viaggi all’estero per curare i propri malanni di salute, in evidente difficoltà fisica a portare avanti il proprio mandato, il presidente zimbabwese sta assistendo alla lotta per la sua successione fra le due fazioni dello Zanu-PF (Zimbabwe African National Union Patriotic Front), la sua creatura politica: da una parte il «Team Lacoste» così chiamato per la leadership di Emmerson Mnangagwa detto «il Coccodrillo», stalinista e vicepresidente del paese; dall’altra parte i «giovani» del partito, gli under 40, capitanati dalla moglie di Mugabe, la sua ex segretaria Grace, «DisGrace» (disgrazia), come la chiamano i suoi detrattori. Di 40 anni più giovane del marito, lady Mugabe ne vuole prendere il posto una volta che questi morirà, soprattutto per non dover rinunciare alla vita principesca alla quale cui oggi è abituata.

Alle presidenziali mancano ancora 2 anni, forse troppi per i 13 milioni di zimbabwani che vivono ancora con meno di 2 dollari al giorno, ma negli ultimi mesi la rabbia sta montando anche tra i militari, da sempre al fianco di Mugabe, per ritardi nei pagamenti degli stipendi.

Risorse naturali e agricole

Eppure questo sarebbe un paese, come molti dell’Africa, ricco di carbone, minerali di cromo, amianto, oro, nickel, rame, minerali di ferro, vanadio, litio, stagno, minerali di platino. E tra i prodotti agricoli: mais, cotone, tabacco, grano, caffè, canna da zucchero, arachidi, che ne facevano il granaio dell’Africa australe, in grado di garantire la sicurezza alimentare della sua popolazione.

Anche qui sono arrivati gli investimenti della Cina, che ha stretto accordi per realizzare infrastrutture nel Paese per ulteriori 4 miliardi di dollari nel triennio 2016-2018.

Dalla riforma agraria alla malnutrizione un paese che sta morendo

La riforma agraria del 2000 fu l’errore fondamentale di Mugabe: espropriò i latifondi agli agricoltori bianchi, discendenti dei coloni anglosassoni, ridistribuendoli con metodi clientelari ai propri amici e agli ex combattenti nella guerra di liberazione, anche se inesperti di agricoltura, che non furono in grado di lavorarli efficientemente, lasciando così questi terreni incolti; oppure li suddivisero in piccoli appezzamenti destinandoli all’autoconsumo familiare e al mercato del villaggio. Le esportazioni di prodotti agricoli, che erano la ricchezza dello Zimbabwe e ne finanziavano lo Stato, finirono nel giro di pochi anni.

Il dramma dello Zimbabwe è quello dell’Africa nera a sud del Sahara: la FAO sostiene che viene prodotto il 30% di cibo in meno di quello che sarebbe necessario per mantenere la popolazione in crescita.

Dopo oltre trent’anni di dittatura, su circa 13 milioni di abitanti, 4 rischiano la morte per fame. Lo Zimbabwe sta attraversando la peggiore crisi umanitaria dai tempi della sua indipendenza: un paese che ancora trent’anni fa era un modello di dinamismo economico per l’intera Africa, è oggi afflitto da una decadenza tale da innescare il degrado dei più elementari servizi sociali, il governo non finanzia più le vaccinazioni, la malnutrizione cronica riguarda un bambino su quattro, la malaria è ormai fuori controllo. Il governo realizza nelle città la drastica eliminazione delle baraccopoli, per mandare la gente in campagna a coltivare la terra: circa 700.000 baraccati sono dispersi nel paese, assistiti in qualche modo dalla solidarietà tribale, dalle Chiese cristiane e dalle associazioni di volontariato.

La mortalità infantile colpisce 81 nati su 1.000; secondo dati Unicef lo Zimbabwe ha avuto la più alta crescita della mortalità infantile nel mondo, avendo fatto registrare un aumento del 50% rispetto ai primi anni novanta. La speranza di vita, che era di 60 anni all’inizio del XXI secolo, col tempo è scesa a 45 e adesso è di 43 anni. Questo è il drammatico risultato della diffusione dell’Aids che negli ultimi tempi si è fatta spaventosa: un terzo della popolazione ne è colpita, il quarto più alto tasso di diffusione del mondo e finora ha provocato più di un milione di orfani.

La bandiera, il lamento dello Zimbabwe

Nell’aprile di quest’anno l’insoddisfazione popolare, da tempo soffocata, ha preso vigore grazie a un hashtag, #ThisFlag: un video postato sui social network (molto usati dai giovani) da un pastore battista di 39 anni, Evan Mawarire, nel quale, avvolto nella

bandiera dello Zimbabwe e stanco di una vita fatta di stenti, ha proclamato che non sarebbe più rimasto in silenzio, sfogando tutto il suo dissenso verso un paese in cui non si riconosce più. Quel video e quell’hashtag hanno finito con l’esprimere i sentimenti comuni che gli zimbabwani avevano represso per troppo tempo. Il post è divenuto in poco tempo virale. In migliaia hanno postato video e foto in cui si mostravano avvolti nella bandiera aderendo a #ThisFlag. Lo sfogo di un singolo uomo contro malgoverno e corruzione, si è trasformato in una valanga.

Mawarire, inizialmente sorpreso, ha preso coraggio esortando all’attivismo e ciò che ne è risultato è stata la creazione di un movimento sociale di protesta pacifica contro le istituzioni e indipendente dalle formazioni politiche. Sotto «This Flag» sono iniziate le prime manifestazioni nella capitale, poi a valanga nel resto del paese, fino agli scioperi che hanno paralizzato i grandi centri urbani in luglio.

Mugabe e i suoi inizialmente hanno deriso il movimento, accusando Mawarire di voler solo fare soldi e attrarre pubblico nella sua chiesa. Poi lo hanno accusato di essere manovrato dalle potenze occidentali, che vorrebbero sovvertire le istituzioni. Il tutto mentre facevano reprimere violentemente le proteste e mettere «sotto controllo» gli attivisti sul web. Mugabe ha infine paragonato il movimento a quelli che hanno mosso la primavera araba nel 2011, ricordando ai cittadini che caos e guerra sono tutto ciò che ne è derivato.

In Zimbabwe è pericoloso far notare i problemi e fomentare il dissenso. Mawarire è stato arrestato il 12 luglio per incitamento alla violenza e rilasciato il giorno dopo. Successivamente si è recato in Sudafrica per motivi di sicurezza, ma non smette di condurre il movimento.