Politica come professione
Max Weber e noi
Demagogia e politica
La politica come professione (Einaudi, Torino 1980) è il titolo di una celebre conferenza tenuta da Max Weber nel 1919. E che nessun libraio attento alle dinamiche di mercato metterebbe oggi in vetrina, perché il rapporto tra politica e professione è in crisi irreversibile. Nel sentire della gente normale la politica come professione è, né più né meno, sinonimo di casta: altezzosa, chiusa, arrogante, ingiusta nel suo rivendicare per sé privilegi e diritti speciali. Più che politici per professione, cerchiamo ” e votiamo ” attori: ciò che conta è ancora «l’efficacia demagogica della personalità del capo» (Weber, p. 84), la sua capacità comunicativa, il suo appeal.
La politica catalizza le varie spinte al narcisismo nell’esistenza collettiva. Narcisismo che non è semplicemente sinonimo di amore di sé, di egoismo. È invece uno specchiarsi insieme del sé e dell’altro nel gioco delle parti. L’immagine di un sé che si offre e risponde alle visioni elaborate dagli altri; visioni degli altri che interrogano e discutono l’immagine del sé che si offre (F. Riva, La democrazia che verrà, Edizioni Lavoro, Roma 2013, pp. 67-68). Parlamento e talk show, discorso politico e pubblicità, voto e applauso non sono più distinguibili. Il teatrino della politica è lo spettacolo in prima serata; la riforma della scuola uno spot con tanto di lavagna e gesso dove conta di più la performance del comunicare (il come responsabile è un’altra faccenda) rispetto a cosa si comunica (e si decide) per il nostro vivere insieme. Si biasima la professionalità politica come un peccato e insieme si occultano vizi e virtù dietro lo spesso cerone mediatico. Almeno fino alla prossima inchiesta giudiziaria.
La crisi del rapporto tra politica e professione ristagna quindi tra dimenticanze, paradossi, incongruenze pacchiane. Da un lato è persa la lezione di Atene, ossia che vivere per la politica senza vivere (anche) di politica «implica necessariamente un reclutamento plutocratico dei gruppi politicamente dirigenti» (Weber, p. 60). Che non si esce perciò dall’impasse dei vitalizi, dei cumuli di cariche e stipendi – di memoria feudale – con un semplice gioco del più e del meno di qualche conticino comunque salato per tutti.
Dall’altro lato siamo caduti nel paradosso di una professionalità della casta che, cacciata dalla porta a favore dello spettacolo, rientra dalla finestraànell’illusione dei governi tecnici, nell’idolatria della competenza quale condizione necessaria e sufficiente per decisioni guarda caso sempre troppo complesse e urgenti per sopportare una dialettica democratica, nell’invasione stessa degli scranni parlamentari da parte di una società civile fatta di impiegati, insegnanti, idraulici, liberi professionisti. Mentre alle origini dello Stato Moderno i funzionari di professione nascevano per «esigenze puramente tecniche e imprescindibili dell’amministrazione», per dare seguito a uno Stato la cui evoluzione «tollera assai poco il dilettantismo» (Weber, p. 63).
La politica: interessi, passioni, lungimiranza
Per Weber «l’attività politica si configura necessariamente come un’attività di interessati». Non è una mera questione di casta, i cui privilegi e abusi sono certo esecrabili; è una questione di democrazia e rappresentatività (Weber, pp. 78-79). Il problema non è che vi siano interessati e interessi, è – piuttosto – quali siano, quale sia «la causa per i cui fini l’uomo politico aspira al potere e fa uso del potere», causa che, in un mondo umano disincantato dal politeismo dei valori, diventa addirittura una «questione di fede» (Weber, p. 104).
Il politico è un professionista interessato. In virtù di quali attitudini personali? A quali condizioni e garanzie? Per Weber ci sono tre qualità «decisive per l’uomo politico: passione, senso di responsabilità e lungimiranza». Senza passione non c’è causa per cui lottare, non ci sono interessi se non il proprio. La passione non è però ««romanticismo di ciò che è intellettualmente interessante», costruito nel vuoto»: nessuna passione è sufficiente per l’uomo politico se […] non fa anche della responsabilità […] la stella polare decisiva dell’agire». Visto che «la politica si fa con la testa» (Weber, p. 101), per essere un agire autenticamente umano essa richiede il calore della passione ma anche la freddezza della lungimiranza quale «abitudine alla distanza»: tra sé e sé, tra il proprio ruolo e i propri interessi, tra le cose e gli uomini, tra presente e futuro. La lungimiranza rende possibile quel «saldo controllo dell’anima che caratterizza l’uomo politico appassionato e lo distingue dal mero dilettante politico che «si agita in modo sterile»» (Weber, p. 102).
Rende concreta la responsabilità. Solo nella responsabilità la passione trova la sua autenticità, la lungimiranza la sua realizzazione, la politica la sua dimora.
Mai senza responsabilità
Non è un caso se oggi il termine responsabilità è poco amato e intenzionalmente aggirato. Si preferisce usare leadership, premier, esecutivo. E non è la stessa cosa. Essere responsabili significa rispondere d’altri. Non è proprio un caso, dal momento che a lasciare spazio al narcisismo della decisione è esattamente la crisi della politica come professione (Riva, p. 74). Il «peccato mortale sul terreno della politica» è infatti «la mancanza di responsabilità», che si traduce nell’«indifferenza […] di fronte al senso dell’agire umano» il quale «non ha più alcun tipo di rapporto con la coscienza del tragico a cui è intrecciato in verità ogni agire, e in particolareàl’agire politico» (Weber, pp. 102-103). Nella crisi della politica come professione si perde l’indirizzo di casa, che è quello della responsabilità.
Anche se passione, lungimiranza e responsabilità indicano una direzione e una via precise, non sono un rimedio universale di facile impiego sul genere aspirina fai da te. Delineano i tratti essenziali del volto della politica ma, «naturalmente, i tipi puri si trovano di rado nella realtà» (Weber, p. 50). La democrazia non vive senza smentite, si declina sempre al futuro, deve sempre ancora venire. Ma non è un limite, è la nostra stessa umanità: è la democrazia che verrà.
Diana Gianola
è dottore di ricerca in etica e antropologia
Franco Riva
è docente alla Università cattolica
del Sacro Cuore, facoltà di lettere e filosofia;
è componente la redazione di Madrugada