Addio, competenza
Viviamo nell’epoca dei dilettanti. Le mirabolanti opportunità del web, l’invasione dei talent show, l’onda lunga dell’antipolitica hanno dato vita a un cortocircuito senza precedenti. Possiamo fare a meno dei professionisti: questa è la sfida, o l’illusione, del cittadino del mondo nell’anno domini 2015. Addio competenze costruite in anni di studio, curricola lunghi e articolati, esperienze maturate nel tempo. Un caldo benvenuto a rapidità, brillantezza, iperattività, creatività, improvvisazione, spontaneità, talento pure. Attenzione, qui non si parla di settori cruciali, saldamente presidiati dalle facoltà pesanti, medicina, ingegneria, giurisprudenza… Per farci curare, non cercheremmo il dottore più simpatico di Facebook né affideremmo la costruzione della nostra casa a qualcuno che ha visto un tutorial su YouTube. Come nell’antica Atene avevano la democrazia diretta per tutte le cariche, tranne per quelle degli Arconti, i capi dell’esercito a difesa della città. Su certe cose è meglio non scherzare con la sorte. Per tutte le altre, c’è il dilettante pronto a farsi ingaggiare. Dal darti un passaggio a pagamento al confezionarti la hit dell’estate, dallo scegliere il gusto delle patatine San Carlo – Rita Francesca Tenuta, 27 anni, di Marano Principato (Cosenza) ha proposto menta e peperoncino, ma il piccante ammazza il fresco! – al votare le leggi della Repubblica. Il dilettante, la voce più genuina del popolo. È uno di noi. È uguale a noi.
Sai scrivere, sai cucinare? Punta sul web
Certo, il presupposto è una certa intraprendenza, ambizione, nel più estremo dei casi. La Rete pullula di piattaforme che fanno incontrare domanda e offerta. Hai una macchina? Una casa? Un posto auto? Un trapano? Un libro? Un sacco di giocattoli di tuo figlio? Metti tutto a disposizione, in affitto. Sai cucinare bene? Apri la tua dispensa a sconosciuti disposti a pagare per assaggiare i tuoi piatti. Create a San Francisco, le app Airbnb, grazie alla quale ciascuno di noi può affittare la stanza vuota che non usa, e Uber, che ti affitta auto con conducente o ti permette di dare passaggi a «clienti» (il servizio UberPop: ha problemi legali in vari Paesi, tra cui l’Italia), sono diventate le punte di diamante della sharing economy, l’economia della condivisione. Che da una prospettiva rovesciata qualcuno ha già ribattezzato come «ubercapitalismo»: il superamento del capitalismo strutturato, in cui ciascuno è alla fin fine imprenditore di sé stesso. Prima ci si aiutava tra amici, vicini, parenti. Ora trovi quello di cui hai bisogno a pagamento: il web ti fa incontrare gli sconosciuti giusti. C’è da fidarsi? La recensione degli utenti (ospiti e ospitanti) è il marchio di sicurezza. Per tutto il resto c’è un’assicurazione pagata dalla piattaforma online che mette a disposizione l’interfaccia cerco-offro.
Hai un’idea? butta la rete
Un’altra immensa possibilità del web è il crowdfunding, il finanziamento attraverso piccole donazioni dei progetti più diversi: reportage, libri, robot, strumenti musicali… Presenti la tua idea e chiedi alla sterminata platea della Rete di finanziarti. In cambio prometti ringraziamenti, una copia del libro, un prototipo, un invito speciale. Basta l’idea, una buona idea, che piaccia. E, a conti fatti, un buon numero di contatti raggranellati tramite i vari social network: la massa qui conta (meglio abbandonare il principio di concedere l’amicizia su Facebook solo agli amici veri, qui). Finisce l’idea romantica dell’inventore che presenta la sua creazione alle grandi corporation e tutte gli sbattono la porta in faccia tranne una, l’ultima a cui chiede, quella piccola e malconcia che crede in lui e che insieme a lui arriverà al successo. Anche gli scrittori hanno potenzialmente un contatto diretto colàloro pubblico pagante, senza passare dagli editori. Anche i giornalisti possono lavorare senza un giornale, ma pubblicando ciò che i propri lettori chiedono e finanziano. Non sono modelli che abbiano al momento un peso preponderante, ma ci sono. Sono un’altra strada rispetto a quelle che la rivoluzione industriale ci ha insegnato.
La rivincita dei nerd è un altro incredibile risvolto. Favij, al secolo Lorenzo Ostuni, 19 anni, posta video su YouTube: gioca ai videogame e li commenta facendo facce strane. Il suo canale ha più di un milione e seicentomila iscritti e 450 milioni di visualizzazioni in circa 3 anni di attività. Repubblica lo ha ingaggiato a seguire gli eventi di gaming, ora esce il suo album di figurine, ha in programma un libro e un film. E Google (che possiede YouTube) certo gli passa qualcosa vista la pubblicità che vende sul suo canale. La cifra, smentita, è di poco meno di 200mila euro all’anno.
E le Stelle (non) stanno a guardare
La Rete è anche la grande casa del Movimento 5 Stelle, che dell’antipolitica è il più fresco prodotto. Si insegue la democrazia diretta, la rotazione delle cariche, il dialogo senza filtri con la base. Un partito che più liquido non si può, tanto che poi i paletti ci pensano a metterli Grillo e Casaleggio. Un modello comunque impensabile anche solo qualche anno fa.
Non mi dilungo sui talent show, concorsi di talento in cui cantare, suonare, ballare, cucinare bene sono il lasciapassare per una carriera altrove rispetto alla quotidianità di provincia. La cassiera che diventa cantante (Giusy Ferreri, X Factor), l’agente immobiliare che si scopre chef (Stefano Callegaro, Masterchef) sono le favole dell’Italia degli anni Duemila. La passione coltivata in privato che arriva in prima serata e ci consegna il sogno di una vita diversa: l’accelerazione miracolosa della televisione che trasforma tutti in cigni, quelli che arrivano in fondo.
Dilettanti allo sbaraglio. È sempre stato un numero del varietà. La Corrida di Corrado non aveva certo ambizioni oltre alla risata. Ma quella era un’altra epoca.