Le vittime dello sviluppo e l’illusione del riscatto
Il Brasile ieri e oggi
«Lo sviluppo è un viaggio
con più naufraghi che naviganti».
Eduardo Galeano
Pareva ieri quando, nel 1971, Eduardo Galeano scriveva il celeberrimo saggio intitolato «Le vene aperte dell’America Latina», descrivendo la condizione drammatica e sanguinosa di un subcontinente che, paradossalmente, soffriva la sua ricchezza e contraddiceva la sua bellezza con una devastazione antropologica e ambientale terribile.
La seconda parte cominciava proprio con la considerazione citata in apertura e denunciava con vigore una «dittatura dello sviluppo» che generava morte. Si trattava di una morte accompagnata da violenza, totalitarismo, ingiustizia, fame, miseria e sfruttamento. Contro questa logica e contro questo stesso sistema di morte molti di noi hanno combattuto, chi fin dal primo giorno e chi negli anni a venire, una battaglia giusta che intendeva ridiscutere ogni forma di sviluppo soffocante e ustionante, sovente associato a un capitalismo neoliberale crudele e oppressivo, proprio come erano crudeli e oppressivi i regimi di quasi tutti i Paesi dell’America Latina.
Se leggiamo Edilberto Sena, in uno degli articoli di questo numero, vi troviamo un lamento analogo, là dove l’autore denuncia l’obiettivo sfrenato, sostenuto dal governo federale brasiliano, di «crescere e crescere ancora», nonostante i costi ambientali apocalittici per l’Amazzonia.
Le battaglie di molti volontari e di tutti coloro i quali hanno creduto intimamente che solo nell’equa distribuzione del reddito, solo nella democrazia reale in politica e in economia e solo contro le strutture di «peccato sociale», come sosteneva la Teologia della Liberazione, si potesse conseguire l’obiettivo ultimo e più puro della giustizia per ogni uomo, ebbene queste battaglie oggi si arrestano davanti a un interrogativo immenso, che emerge proprio dalla condizione attuale dell’amato Brasile, che pare crescere miracolosamente.
Il meccanismo neoliberale
Davvero il Paese cresce, avanza, si sviluppa, colma le distanze sociali, dà futuro, offre opportunità, elabora e promuove caterve di progetti. In una parola, «rialza la testa», o forse pare rialzarla.
Ammesso che tutto ciò che si vede e che ci viene raccontato coincida con la verità, possiamo credere che sia stata l’affermazione della verità di queste stesse battaglie e che siano stati i nostri ideali di giustizia e di sviluppo sostenibile, di pace e di liberazione a permetterlo?
La risposta è offerta dal meccanismo drammaticamente perverso della stessa globalizzazione neoliberale, che premia chi offre ciò di cui dispone ai minori costi perché non conosce ancora le tutele sociali e invece penalizza chi offre a costi più alti perché tutela ancora i diritti personali e sociali.
Alla fine lo sviluppo ha scambiato i naufraghi, ma non il meccanismo infernale del naufragio e oggi i Paesi come il Brasile emergono perché partono da un fondo dal quale dovevano comunque emanciparsi e perché offrono merci e servizi secondo una logica che, se da un lato guadagna momentaneamente uno sviluppo per sé e per i propri popoli, da un altro lato non accoglie un principio etico di giustizia e di uguaglianza.
Paradossalmente il neoliberalismo ha concesso loro reali opportunità di redistribuzione della ricchezza sulla base esclusiva della competitività e non sulla base ideale e morale del bene della persona in quanto tale. Esso premia chi offre il meglio, quel meglio che è solo ricchezza in forma di sfruttamento, di investimento e di accumulazione.
È davvero incredibile. Come in un processo di vasi comunicanti, l’acqua del benessere mondiale adesso si alza e si abbassa in una redistribuzione della sua quantità solo secondo le regole mercantili.
Oggi diventa difficile spiegare la contraddizione di tutto ciò alla nuova classe media brasiliana, che benedice comunque questo esito, indipendentemente dai processi che lo hanno accompagnato.
In questa perversione paradossale di un sistema di morte che si avvale di meccanismi di morte per regalare l’illusione del bene e della giustizia, non ci resta che aspettare e vedere chi sarà il destinatario del prossimo naufragio.
Però oggi, in cui quelle vene aperte paiono momentaneamente chiudersi, l’interrogativo che incombe, quello grande, quello forte, quello inquietante e difficile, resta: come potremo spiegare a milioni di affamati e di vittime dell’ingiustizia che oggi è stato l’utilitarismo neoliberale a farli crescere e a farli paradossalmente uscire da quella condizione e non è invece stato il nostro evangelico e cristallino senso della dignità dell’uomo?