Città mostro e campagne abbandonate
La terra sotto ricatto
Urbanesimo e desertificazione
La trasformazione dell’habitat umano affermatasi a cavallo di due secoli – l’Ot to cento e il Novecento – fino alla «grande trasfigurazione» del capitalismo introdotta nella seconda metà del Novecento con la globalizzazione, ha prodotto il fenomeno dell’urbanizzazione. Più di metà della popolazione mondiale vive oggi nel le città, e questa percentuale è destinata a raggiungere il 60% nel 2030, cioè 5 miliardi su 8,1 miliardi di persone. Questo ha determinato il dualismo tra mondo urbano e mondo rurale, con una crescente contrapposizione delle preferenze e dei bisogni espressi da questi due mondi. La città è un mostro che in misura crescente ha bisogno di risorse, di energia e di rifornimenti alimentari per sopravvivere. Le grandi dighe e acquedotti svolgono questa funzione, invadendo le comunità rurali e desertificando i territori agricoli circostanti, provocando forti emigrazioni delle popolazioni rurali che vanno a ingrandire la popolazione urbana che vive nelle bidonvilles e negli slum delle città sia in Africa che in Asia, mentre i fenomeni di disgregazione sociale e abitativa si estendono a occhio nudo in Europa e negli Stati Uniti.
Agricoltura succube della finanza
Si genera così un circolo vizioso che alimenta un’ulteriore domanda di nuove dighe e di nuovi acquedotti. La città consuma prodotti agricoli che non produce, e con la sua crescente domanda svincolata dalle forme e dai tempi di vita e di consumo del mondo rurale tende a invaderne gli spazi e a colonizzarlo ai propri bisogni. Anzitutto distruggendo i terreni agricoli circostanti con le sue discariche e le sue sempre insufficienti infrastrutture. Poi con il tentativo di imporre ai produttori agricoli prezzi, tempi e forme di produzione e riducendoli al ruolo di subfornitori di materie prime per la città dentro il contesto commerciale e di consumo della globalizzazione. L’agricoltura diviene così un settore di investimento, dipendente non più dai tempi della produzione e del raccolto ma dall’andamento dei prezzi sulle borse regolati dalle strategie speculative della finanza. Così come è accaduto per altri settori – l’acqua ad esempio – la scarsità dei prodotti diviene un buon affare nelle mani di chi ne gestisce lo snodo traàuna domanda e un’offerta artificialmente costruite. Il consumo di massa urbano, canalizzato nella grande distribuzione, consente una forte concentrazione del potere e del guadagno. Se ne sono accorti in modo crescente i settori maggiormente aggressivi del capitalismo finanziario che hanno scoperto, nella dipendenza di consumo alimentare esistente tra città e campagna, un nodo di potere da occupare e da gestire. Lo slogan diffuso tra questi mercanti è che chi controlla l’agricoltura controlla la popolazione mondiale. E la quota di mercato da difendere, sviluppare e privilegiare è ovviamente quella di maggiore valore aggiunto, della parte ricca della popolazione urbana.
Una campagna di esproprio
L’agricoltura contadina, attraverso il pianeta e specialmente nei paesi poveri, è quella che produce il 75% dell’alimentazione. Risultato di una millenaria capacità di innovazione e adattamento ai fattori climatici e alle preferenze locali, svolge un ruolo vitale per la sopravvivenza di intere popolazioni. Da sempre in lotta contro le élite locali e internazionali per conservare o conquistare l’uso della terra sulla quale vivono, sull’acqua, sulle sementi, sui loro mercati. Da decenni si cerca di rimuovere il mondo rurale e la forza dei contadini mediante il veicolo delle organizzazioni internazionali per lo sviluppo – FAO, IFAD, BM, ecc. – che nel vangelo della modernizzazione e del progresso tecnologico cercano di classificare queste comunità e strutture produttive come «arretrate» e «inefficienti». Lo scopo è lo stesso di quando il capitale finanziario «espropria» i risparmi dei meno abbienti per rendere quei capitali più produttivi ai bisogni dei ceti privilegiati. Per l’agricoltura si tratta di mettere a profitto terreni e raccolti per la domanda della borghesia parassitaria delle città della globalizzazione. Agli organismi internazionali si sono di recente aggiunti e sostituiti in prima persona quei personaggi e gruppi economici che della rapina delle tecnologie e dei saperi hanno esperienza professionale decennale.
Bill Gates, la tecnologia e il mito della scarsità
Tra questi Bill Gates, che ha trasferito parte deiàfondi guadagnati nel settore dell’informatica (Microsoft) a una sua fondazione dedita agli investimenti in agricoltura. In un’intervista dedicatagli da un giornalismo cortigiano e privo di qualunque vocazione critica (La Repubblica, 24/2/2012) ha di recente dichiarato: «Gli investimenti nell’agricoltura sono la miglior arma contro la fame e la povertà, e intorno a essi passa la linea di demarcazione fra la vita e la morte per centinaia di milioni di persone. Se volete prendervi cura dei più poveri e sfortunati, dovete prendervi cura dell’agricoltura». Ancora una volta, anche per l’agricoltura, si cerca di diffondere il mito che la scarsità d’investimenti e di tecnologie sia la causa dell’arretratezza e della miseria. Ma, osserva acutamente Antonio Onorati, di una ONG che lavora da decenni su questi temi: «L’agricoltura contadina non è «datata» né «inefficiente», ma la Fondazione Gates propone ai contadini di «modernizzarsi», indebitandosi e perdendo sovranità». D’altronde più delle parole parlano i fatti. Bill Gates vuoleàcondurre la sua crociata a favore dei contadini e per una migliore agricoltura alleandosi con la Monsanto per creare un sistema monopolistico che controlli tutte le aree strategiche e vitali della produzione agricola mondiale: vaccini, prodotti farmaceutici, OGM, sistemi di controllo del clima e dell’ambiente. Un’operazione che la Monsanto pratica da tempo con risultati ben noti e devastanti per il mondo rurale e che a Bill Gates è riuscita abbastanza bene nel campo dell’informatica dove ha creato un sistema oggi a disposizione del controllo totale delle menti e delle azioni da parte dei gruppi militari e predatori del capitalismo. Ancora una volta, con l’agricoltura, la globalizzazione rivela il suo piano di controllo del mondo con la pretesa di migliorarlo e di salvarlo.
Bruno Amoroso
economista di fama internazionale,
Università di Roskilde, Danimarca,
presiede il Centro Studi Federico Caffè