La conoscenza senza direzione, ma non senza senso
The things they are changing
Cosa sta cambiando nel nostro modo di conoscere il mondo? Questa la domanda da cui prende spunto questo numero monografico. Come le nuove metodologie comunicative e quelle di archiviazione dati modificano il modo che abbiamo di conoscere, e quindi di leggere, il sistema nel quale ci troviamo?
Innanzi tutto bisogna discutere sul significato di mondo, di sistema, di realtà. Cos’è la realtà che descriviamo? Quale realtà, quale mondo, conosciamo? Quale raccontiamo?
Secondo lo psicologo canadese David Oslon: «L’ordinamento degli indizi impiegati nei processi mentali […] sembra corrispondere all’ordine degli indizi della percezione [cosicché] l’aspetto che si coglie è sempre una funzione dell’ordinamento dell’insieme delle alternative». Come dire: il modo in cui percepisci è il modo in cui organizzi il mondo, a seconda di come percepiamo la realtà organizziamo il pensiero che ci permette di raccontarla. Quindi la realtà è «sottoposta» alle nostre percezioni, la realtà diviene – la realtà è – ciò che percepiamo e il modo che abbiamo di organizzarlo.
Esiste ciò che sono in grado di avvertire attraverso le sensazioni (tattile, olfattiva, visiva, sonora, termica); organizzo tutto ciò a partire dal medium comunicativo (che indirizza la mia percezione stessa) all’interno di un sistema culturale in cui gli stimoli neuronali prendono forma e, per così dire, trovano ordine. Quindi la realtà che «ho a disposizione» varia a seconda che il mio medium comunicativo sia orale, scritto o virtuale. Se ascolto il racconto dell’uccisione di Ettore nell’Iliade, o se la leggo in traduzione italiana, o ancora se ne godo la realizzazione in un film in 3D… avrò di fronte a me non solo tre scene diverse, ma addirittura tre realtà diverse, simili solo per analogia.
Nello specifico il medium virtuale cosa comporta? quali cambiamenti di percezione causa, aiuta, favorisce? quale diversa lettura del mondo mi permette – o mi costringe – a fare?
Tra orale e scritto, oltre o pre
Sul mondo del web, sulla rete virtuale, si è scritto molto, tanto da rendere difficile evitare la ripetizione; scelgo quindi di riprendere due questioni, a mio avviso, particolarmente utili. La prima è quella secondo cui la Rete è un sistema di conoscenza che per alcuni versi sembra sintetizzare aspetti della cultura orale con quella scritta; la seconda è quella di costituire un sistema privo di punti cardinali, di gerarchia, sottratto al «sopra/sotto».
Per alcuni versi il web rappresenta la completa realizzazione della cultura scritta, per altri un suo superamento. La cultura scritta può tendere sostanzialmente e formalmente al superamento della memoria e del confronto. Un soggetto scrive (in un luogo in un tempo), uno legge. Il testo scritto raccoglie «oggettivamente» il punto di vista del suo autore e ne permette la diffusione. La cultura orale necessita capacità mnemoniche e di presenza fisica, prevede la contemporaneità dell’atto, contempla ilàcambiamento, non assicura la permanenza «oggettiva» dell’opinione.
Il web non è in fondo la completa interazione della più completa delle biblioteche? Non possiamo leggere la rete come una biblioteca iperespansa? una biblioteca non contenibile in uno spazio «reale»? Personalmente ritengo di sì, almeno in parte. La cultura scritta mira, più o meno consciamente, a ufficializzare e a oggettivare il sapere in una tendenziale iper-biblioteca. Dove organizzare e catalogare, porre in ordine i volumi, dare delle priorità delle gerarchie, aggiungere un libro ai volumi raccolti: un catalogo-rete-ragnatela in cui assegnare uno spazio proprio a ciascuno.
Il web realizza tutto ciò rendendolo fruibile a chiunque disponga di un terminale e di una connessione: l’iper-biblioteca a disposizione di tutti. In quanto tale il web implementa alcuni aspetti della cultura scritta: soggetti singoli che hanno a disposizione il sapere senza necessità di farne memoria, senza bisogno di discuterne.
La rete pur godendo in qualche modo della contemporaneità della comunicazione orale, della sua immediatezza, si caratterizza però anche per l’assenza di altri aspetti tipici di essa: principalmente le questioni legate alle gerarchie, alle «scale di valore» o «indici di importanza». Nell’iper-biblioteca sembra mancare un «catalogo ufficiale» da consultare, a favore di un motore di ricerca che risponde a espressioni matematiche di cui possiamo controllare alcune variabili, un motore di ricerca che ci spingerà a percorrere alcune strade anziché altre, ma, comunque, strutturalmente diverso dal catalogo che ci spiega qual è l’architettura del sapere, qual è il modo (o il mondo) in cui quel sapere si esprime correttamente. All’iper-biblioteca del web manca, in altre parole, la gerarchia, l’autorità di colui che era titolato a ordinare il sapere, come il magister che parlava ex-cathedra.
Nani sulle spalle di giganti
In fondo era prevedibile, già scritto: l’iper biblioteca di Babele. Biblioteca contenente tutti i libri scritti, tutti i libri persi, tutti i libri che si sarebbero potuti scrivere e che si potranno anche solo pensare. Borges nel racconto del ’41 La biblioteca di Babele narra di una biblioteca costituita da sale esagonali disordinatamente piene di volumi che si scrivono e riscrivono in continuazione, biblioteca in cui, quindi, esiste qualsiasi libro che sia possibile: ogni verità avrà le sue infinite varianti, avrà le sue anti-verità. Quindi esisterà tutto tranne la verità in senso autoritario-gerarchico come siamo stati abituati a pensarla.
Il modello conoscitivo virtuale si caratterizzerebbe per essere una sintesi tra cultura orale e scritta che però nell’accoglierne alcune parti leàstravolgerebbe portandole al loro limite, fino al non lasciarne nulla.
La biblioteca in cui realizzare il sogno della cultura scritta per racchiudere il sapere fagocita tutte le possibilità di conoscenza che abbiamo. Il dinamismo della cultura orale capace di non temere i cambi di prospettiva viene sopraffatto da una selva di possibilità poste tutte sullo stesso piano, in certi termini incapaci di essere scelte a ragion veduta.
Questo carattere apre alla seconda questione: la mancanza di un «sopra/sotto», l’assenza di punti cardinali. I punti della rete, i dati, non più catalogati, potenzialmente infiniti, risultano leggibili in virtù del processo che ci conduce, non della loro «profondità». I nodi della rete (tra l’altro in continuo movimento tra loro) disegnano un modello conoscitivo profondamente diverso, radicalmente mutato rispetto a quello in cui ci ha condotto la scuola. Non sarà lo scavare che necessariamente segue una sola direzione a permetterci di conoscere, ma il muoverci in direzioni diverse ormai non più descrivibili astrattamente e oggettivamente come «sopra/sotto». Le strade di ponente e levante lo sono in relazione alla strada appena percorsa, in relazione all’azione precedente, mancano strutture esterne alla rete stessa capaci di indicarci la direzione, sono le direzioni già seguite (loro stesse) a descrivere il movimento successivo.
Questo piano tridimensionale privo di punti capitali del web non può essere forse un’espressione del surrealismo? Il surrealismo, l’automatismo psichico puro del Manifesto del ’24, non fonda questo procedere in direzioni in continua definizione? Il muoversi senza gerarchie non realizza lo scontro tra il sistema di Ferdydurke (Witold Gombrowicz, 1937) e la società rappresentante del medium-scrittura in cui i percorsi sono già segnati, già scelti?
L’insieme di punti che si collegano, scindono, rimandano ad altri non rappresenta il narrare di Schulz (1892-1942) in cui la mia personale rilettura dei fatti e delle mie memorie crea miti più fondanti, più necessari, degli assunti del sapere?
L’opera di Schulz è un caleidoscopico intrecciarsi di memorie e di ricordi che costituiscono la persona, sono biografie prive di date, svuotate di fatti a favore di archetipi, di modelli ancestrali. La memoria, l’essere rivissuta, riletta e soggettivamente percorsa mi costituisce. Il mio girovagare, sostare, balzare, da e nei miei luoghi (luoghi della memoria, esperienze oniriche, riflessioni…) costituisce il narratore e, in fin dei conti, classifica le memorie stesse. E tutto questo non può accadere ascoltando l’infinita varietà della vita di una persona o leggendo uno di questi testi?