La patonza deve girare
«La patonza deve girare», dice Silvio Berlusconi a Gianpaolo Tarantini, invitandolo a portare ragazze anche per sé, oltre che per il premier. Sembra che la paternità della frase sia da attribuirsi a Gianni Agnelli, che la coniò dopo essere stato scaricato da un’amante. La generosità amorosa, libera, liberale o coatta che sia, ha tuttavia radici molto più nobili, molto più raffinate. Condividere le donne con altri è uno dei principi delineati nella ideale Repubblica di Platone: «Queste donne di questi nostri uomini siano tutte comuni a tutti e nessuna abiti privatamente con alcuno; e comuni siano poi i figli, e il genitore non conosca la propria prole, né il figlio il genitore». Una norma controversa, come viene riconosciuto dallo stesso Platone, ma che in un regime di negazione della proprietà privata, di stampo comunistico, educa al disinteresse personale, auspicabile in ogni società giusta. La stessa motivazione spinge Karl Marx a sostenere che «al matrimonio (che è indubbiamente una forma di proprietà privata esclusiva) si contrappone la comunanza delle donne, dove la donna diventa proprietà della comunità, una proprietà comune. Si può dire che questa idea della comunanza delle donne è il mistero rivelato di questo comunismo ancor rozzo e materiale. Nello stesso modo in cui la donna passa dal matrimonio alla prostituzione generale, così l’intero mondo della ricchezza, cioè dell’essenza oggettiva dell’uomo, passa dal rapporto di matrimonio esclusivo col proprietario privato al rapporto di prostituzione generale con la comunità» (Manoscritti economico-filosofici del 1844). Nel Manifesto, Marx difende queste affermazioni, prese alla lettera dai «borghesi», cercando di sottolineare maggiormente la liberazione delle donne, insita nel suo ragionamento: abolire il matrimonio significa «abolire la posizione della donna come semplice strumento di produzione», smascherando i matrimoni borghesi, tra tradimenti e soprusi, che rappresentano «in pratica la comunanza delle mogli». Si può dunque sostenere che la «patonza» di berlusconiana testimonianza sia comunista? È un’affermazione delle più ardite. La comunanza delle donne è infatti un pilastro dell’immaginario maschile che non ha niente a che fare con la filosofia greca, né con quella tedesca del XIX secolo. Eppure, a poca distanza in linea cronologica dalla «patonza» intercettata e finita sui giornali, una voce irrompe nell’aere italiano: «I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in sé stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune». Il cardinale Giacomo Bagnasco prende le distanze da Berlusconi. Perché proprio ora? Cosa aggiungono gli ultimi sviluppi a ciò che già sapevamo? Ai tempi di Patrizia D’Addario, quando Veronica Lario era ancora la signora Berlusconi, Altan inquadrò la questione con vetriolica chiarezza: un uomo comune chiede a un porporato: «Scusi, ma non si chiamava fornicazione?» e l’eccellenza: «Dipende da cosa te ne viene in cambio». Ora, si può ipotizzare che la prima entrata netta del presidente della Cei in persona (senza passare per i giornali o le personalità di spicco della scuderia) sul premier, in materia di morale e politica, segua da vicino e sia la conseguenza dell’uscita allo scoperto della «patonza». È un’ipotesi ragionevole? Sicuramente, la Chiesa condanna poligamia e fornicazione. Ma certo uscire allo scoperto su Berlusconi solo quando questi accenna alle donne in comune è un pessimo tempismo. Data per acquisita la tradizionale avversione clericale per i comunisti atei e mangiapreti, bisogna pensare che qualcosa si muove solo quando Berlusconi è un minimo comunista?