Il profeta dell’interculturalità, come ambito in cui vivere
Sotto i miei piedi Venezia: volo verso la Sicilia per un seminario, porto con me una bozza di Madrugada. A quota ottomila guardo il controcorrente di Giuseppe Stoppiglia: Il silenzio delle generazioni nella deriva familiare che ricerca la parola del dialogo nei silenzi dello spirito.
Atterro a Catania, poi via per Scoglitti, a sud dell’isola; la casa Adelfia guarda verso la Libia, il mare è increspato dal libeccio. Sullo sdraio, sfoglio il monografico di Raimon Panikkar.
Mario Bertin con Raimon Panikkar a un anno dalla morte offre alcune tracce di lettura su Pannikar: nato da padre indiano, di religione indù e da madre catalana. Segue Arrigo Chieregatti, che definisce Panikkar Maestro di intercultura, da cui abbiamo imparato a sentire le differenze un arricchimento. Raffaele Luise scrive Panikkar e l’ecosofia, la sapienza della terra, un invito a trovare l’armonia con la terra e superare il dualismo cartesiano nella trinità di dio, uomo e cosmo. Si aggiunge Achille Rossi Limiti e insidie della democrazia occidentale, che di Panikkar offre la dimensione politica, che è partecipazione popolare, con al centro la persona.
Conclude uno scritto di Raimon Panikkar, La cultura della pace, che non si fonda sulla competitività, ma sulla diversità, sull’autorità che alimenta il pluralismo.
Non è facile nuotare con il vento, l’onda ti atterra e ti risucchia. Riprendo posto nel seminario su Le radici del dialogo nelle tre religioni del Mediterraneo e la mente corre alla rubrica scritture a confronto. Gianpaolo Anderlini, per la Torà, scrive che le promesse di Dio sono un dono gratuito, ma sono anche un seme di speranza reso fertile dai padri antichi. Mohammed Khalid Rhazzali, per il Corano, afferma che Dio è promessa e adempimento. Elide Siviero, per il Nuovo Testamento, chiosa: la promessa guarda al futuro e si realizza già nel presente, promessa d’amore, in Gesù Cristo.
Sento la voce del mare, la carezza del vento e mi prende l’angustia di puntare al largo mare, mare. Intanto a te, lettore, è concesso di entrare nell’angolo dei libri e prendere nota.
Di là dal mare scorgo la Tunisia in carte d’Africa di Alessandro Bresolin, che qualche anno fa illustrò in sei puntate, per la radio: una voce intelligente per capire gli avvenimenti odierni.
Il mare mi ributta sulla riva. Inforco gli occhiali scuri, con le mani di sabbia scorro le rubriche. Ritrovo Fulvio Cortese con Memoria e diritto. Il tema è delicato: fare memoria pubblica di fatti del passato, a difesa del diritto alla vita e alla libertà non significa fare storia. Per la rubrica economia, Fabrizio Panebianco scrive: Tassati e depressi?, in breve: pagare le tasse è utile o dannoso? Una domanda che avrà per chi legge una risposta quasi esauriente.
Il vento è monello.
Prendo la scaletta e rientro in camera. Mi raggiunge sul pc Heymat, dal Missouri, con I fratelli Jackson di Lebanon, piccole storie di provincia, che la necessità spinge fuori dal proprio paese. Raccoglie conchiglie sulla sabbia il cronista in costume, sotto i riccioli del sole. Chiude questo numero Paolo Bodini, con la pagina che raccoglie le foto di Iquitos, avamposto peruviano ai confini con l’Amazzonia, workshop di Barbara Beltramello.