Cercare sé, trovare l’altro
Emmanuel Mounier a sessant’anni dalla scomparsa
Emmanuel Mounier evoca la questione della felicità e del benessere non mentre tratta dell’economia, come ci si potrebbe aspettare, ma quando affronta il problema della dignità suprema della persona umana, che consiste in un trascendere rispetto a sé.
I nomi che Mounier trova per la trascendenza sono interessanti. La trascendenza non equivale a una sorta di «estasi manierata», di un rapporto intimistico, di un compiacimento privatistico nel segreto esclusivo della propria coscienza per il rapporto con qualche insondabile profondità spirituale, o con qualche dio. La trascendenza prende invece i nomi di una singolarità umana irripetibile che è sempre in espansione verso l’altro, oppure di una concretezza individuale e collettiva, di una presenza che fa lievitare la persona oltre sé stessa: in breve, la trascendenza assume il nome della storicità dell’esistenza che non è mai chiusa in sé stessa, che è sempre in cerca di sé.
La trascendenza non sarà, dunque, un principio superiore a cui la persona si deve consegnare, e non è nemmeno la propria intimità affettiva con il divino tutta compiaciuta di sé. La trascendenza, piuttosto, è l’anima segreta della persona. Viene sempre indicata con delle espressioni dinamiche: un «movimento verso», un «transfer personale»; oppure, e in un modo ancora più netto, un «uscire da sé», uno «spodestarsi», un «decentrarsi verso l’altro». Queste frasi contengono una forza impensata, per niente sdolcinata e facile.
Parlando della dignità suprema della persona, della trascendenza, non si tratta di criticare la prospettiva del benessere come tale, che è anzi importante per liberarla da servitù e da vincoli disumani. Si tratta piuttosto di negare che il benessere esaurisca la felicità della persona.
Una società che equipara il benessere con la felicità rischia di perdere per strada la trascendenza: progressivamente, si ritroverà rinchiusa in gabbie individualistiche, aggrappate a qualche livello di benessere, vero o falso che sia, in illusioni di libertà. Nessuno può credere ai predicatori di valori disincarnati che non s’impegnano subito per sottrarre l’uomo alla sua «miseria fisica e sociale»; e tuttavia non si può ridurre la felicità della persona alla sola ricerca del benessere. Il rischio di una società del benessere, per il Mounier del 1947, risiede nel «torpore» della trascendenza, nel «panico folle» dei beni che mancano. A oltre mezzo secolo di distanza appare ancora più evidente il cortocircuito, sempre pronto all’incendio, tra benessere e paura, tra sicurezza e incertezza.
La società del benessere patisce sempre la tentazione di cedere libertà: la scambia troppo volentieri con la sicurezza di poter continuare ad avere garantito il proprio benessere. La società del benessere crea una dipendenza sottile, che interrompe il trascendere della persona, la sua stessa libertà. La logica estrema di una società del benessere sta in uno scambio: sicurezza al posto della libertà, come se fossimo tutti disposti a diventare meno liberi per essere più sicuri di mantenere lo stesso tenore, telecomandato, di vita. Ed è tragicamente vero.
Franco Riva, professore di Etica sociale – Università Cattolica di Milano