Sulle rotte degli schiavi
Di ritorno dal Benin chiudo gli occhi e rivedo i loro occhi, neri e luccicanti, che sorridono con un velo di tristezza. Loro sono la carne e i corpi dietro le cifre e la statistica. Hanno pochi anni, meno di dieci, ma hanno conosciuto già violenza, rapimento, lavoro e solo ora un po’ di infanzia. Sono bambini ex-schiavi, venduti per 15 euro dalle loro famiglie, strette tra povertà e tradizione, e mandati a lavorare in città. Tradizione vuole che, dai villaggi del nord, i bambini vengano mandati in città per studiare presso dei parenti: il più delle volte sono venduti a estranei, mercanti di professione, e non vedranno mai un banco di scuola, ma, se va bene, solo quello del mercato: comprati per 15 euro e rivenduti a dieci volte tanto ai nuovi datori di lavoro. A Cotonou, nel mercato Dantokpa, il più grande dell’Africa occidentale, lavorano 40mila bambini che vivono e dormono dentro questo recinto.
Chi rimane in Benin lavora nei campi, nei mercati o in botteghe artigiane, le bambine nelle case come domestiche. Chi viene portato fuori dal paese lavora nelle piantagioni di cacao e cotone, viene venduto come servitore e, se donna e bella, la strada è segnata.
Il Benin è al centro di questo traffico di schiavi bambini: ogni anno in 40mila vengono deportati e rivenduti all’estero, ma molti di più vengono schiavizzati nel paese. È un paese dove circa la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, quindi dove risulta necessario il lavoro dei propri figli per la sussistenza: se contemporaneamente riescono ad andare a scuola non si creano grossi problemi e anzi hanno l’opportunità, finita la scuola, di saper leggere, scrivere e saper fare un mestiere: una situazione non molto diversa da quella dei nostri nonni. Ma esiste un 30% di bambini e un 40% di bambine per cui invece il lavoro vuol dire niente scuola, analfabetismo e quindi l’impossibilità di uscire dalla trappola.
Il Benin è solo un esempio emblematico: al centro delle rotte degli schiavi di ieri e di oggi. Una situazione simile esiste negli stati limitrofi. Alzando lo sguardo, a livello mondiale i bambini rappresentano il 32% della forza lavoro in Africa, il 22% in Asia, il 17% in America Latina e l’1% nei paesi ricchi, e in totale si contano circa 200 milioni di bambini lavoratori nel mondo. Di questi circa la metà esercita lavori pericolosi per la propria incolumità o per la salute. Questi numeri sono in costante diminuzione in Asia e in America Latina, mentre aumentano per l’Africa sub-Sahariana. In questa regione il problema è accentuato dal fatto che in alcuni paesi, come il Benin, circa il 40% dei nuovi nati non viene registrato all’anagrafe e quindi risulta privo di tutele di ogni tipo.
La legislazione internazionale ha fatto passi in avanti e dal 1989 esiste una convenzione per i diritti dell’infanzia ratificata da tutti gli Stati, tranne Somalia e Stati Uniti, ma lo stanziamento di risorse è sempre limitato. Il Benin, paese al centro di questo dibattito, ha creato un corpo di polizia per il controllo e la repressione di questo fenomeno, ma è composto da nemmeno 20 persone. Di conseguenza la maggior parte delle proposte si regge su singole iniziative di associazioni e organizzazioni non governative, non potendo contare su un diffuso sistema di prevenzione statale.
I bambini che abbiamo incontrato hanno avuto la fortuna di trovare le persone giuste al momento giusto: non potendo contare su un sistema di giustizia, devono purtroppo affidarsi ancora alla carità di qualcuno.