Misericordia e politica
Alla voce misericordia il dizionario reca «sentimento di pietà che spinge a soccorrere e perdonare». Dove, palesemente, la pietà corrisponde alla pietas latina, cioè a un sentimento di umana partecipazione a chi è afflitto dalla sofferenza o dal bisogno, non una distaccata commiserazione. Anche così intesa la misericordia, tuttavia, non è di immediata evidenza il suo nesso con la politica. La politica è più facilmente associata a concetti quali la giustizia, i diritti, il bene comune. Ed effettivamente dobbiamo diffidare dei cortocircuiti e delle mistificazioni. In concreto: di una «politica compassionevole» che ostenta la propria graziosa sollecitudine per chi è nel bisogno. Quasi fosse una generosa concessione ciò che invece corrisponde a un diritto di cittadinanza, ove si confonde il soccorso assistenziale con il dovere di assicurare la giustizia. Cioè di dare a ciascuno ciò che gli è dovuto.
Il nesso: un materialismo cristiano
Ma, fatta questa premessa, sgombrato il campo dagli equivoci, non è fuori luogo tematizzare il nesso tra politica e misericordia. Esemplifico isolando tre profili.
Il primo ci è suggerito dal vecchio catechismo cattolico laddove esso prescrive le cosiddette opere di misericordia corporale (che affiancano quelle di carattere spirituale). Un motivo pressochè scomparso dalla predicazione cristiana ordinaria. Eccole: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gl’ignudi, alloggiare i forestieri, visitare gli infermi e i carcerati, seppellire i morti. Così intese, esse non configurano affatto un di più, ma precisamente i bisogni e, di riflesso, i diritti più elementari e fondamentali cui deve attendere l’operatore politico. Nei discorsi e negli scritti di Giorgio La Pira, quasi come un mantra ossessivo, ricorrono quei beni-valori: pane, casa, lavoro, salute, istruzione… proprio a definire l’oggetto e il fine inderogabile di ogni politico e di ogni amministratore pubblico. Una concretezza che qualcuno, con efficace paradosso per un «sindaco santo», ha definito il «materialismo cristiano» di La Pira. Una concretezza palesemente polemica con certa politica ideologica, astratta, parolaia, anche sotto etichetta cristiana.
I diritti delle minoranze
All’accennato primo profilo, relativo a una politica ispirata a misericordia/giustizia verso gli altri, si può aggiungere quello della misericordia verso gli avversari politici. È il tema della democrazia e, in particolare, dei diritti, da rispettare, in capo alle minoranze. Un tema e un valore che hanno avuto un loro approdo dentro le Costituzioni democratiche moderne. È anzi l’idea-forza del costituzionalismo democratico: porre limiti al potere di chi comanda, assicurare i diritti delle minoranze, scongiurare la dittatura della maggioranza, garantire i diritti inalienabili delle persone anche da chi, detenendo il potere, potrebbe essere tentato di prevaricare. Insomma una forma di Stato e di governo nella quale sovrana sia la legge e non il titolare pro-tempore del potere politico. Eppure, in Italia ma non solo, quella preziosa conquista della civiltà politica sembra vacillare sotto i colpi di spinte populistiche, autocratiche, giacobine.
Il diritto umanitario internazionale
La misericordia, intesa come politica che si autolimita, si dovrebbe applicare anche al rapporto con i nemici esterni. Penso ai conflitti internazionali. Scopo della politica è dapprima prevenirli e scongiurarli; laddove essi comunque si scatenano imboccare la strada del dialogo e del negoziato, infine, quando essi drammaticamente si rivelassero incomponibili, porre limiti e regole dentro il conflitto. È tutto il vasto campo del diritto umanitario internazionale, compreso il diritto in tempo di guerra. Ove non tutto è lecito. A ben vedere, grazie alla lungimiranza dei padri costituenti, ancorché sinteticamente, tutto è già scritto nell’art. 11 della nostra Costituzione: il fermo ripudio della guerra di aggressione, ma anche il solenne impegno a rinunciare a parte della nostra sovranità nazionale per conferirla a organizzazioni sovranazionali che perseguono la pace e la giustizia internazionale.
Un articolo che dovrebbe fare da stella polare di tutta la nostra politica estera. Ho solo accennato a tre profili di una politica ispirata a una ben intesa misericordia.
Le tre questioni discriminanti
Ora merita porsi un interrogativo: c’è consenso intorno a una tale visione? L’impressione è che non c’è accordo. Di più: che una politica informata anche semplicemente a un senso di umanità e di universalità dei diritti sia piuttosto una delle discriminanti nel panorama politico italiano e non solo. Basti, a puro titolo di esempio, evocare tre questioni sempre più centrali nel confronto politico, sulle quali si imperniano le campagne elettorali e si vincono o si perdono le elezioni: l’immigrazione, la sicurezza, i soggetti considerati «non normali» o comunque socialmente marginali (esemplifico: detenuti, tossicodipendenti, caratteriali). Confesso di essere impressionato da un generale incattivimento e imbarbarimento della contesa politica, dalla disumanità persino ostentata di taluni attori politici. Uomini e persino donne, che mi fanno ancor più impressione, forse perché sono ancorato all’idea che nelle donne sia custodito un di più di umanità e di sollecitudine per i soggetti deboli. A questo si aggiungano due ulteriori elementi: una politica che anziché elaborare e governare gli istinti e gli umori più regressivi li insegue, li cavalca, li esaspera; e una sinistra che ha abbassato sensibilmente la soglia della sua antica sensibilità egualitaria per contentarsi del più modesto paradigma liberale dell’uguaglianza delle opportunità. Come se bastasse mettere tutti agli stessi blocchi di partenza (ammesso che sia possibile) e poi vinca il migliore in base al merito e alle capacità. E chi non ce la fa nella corsa della vita? I punti di arrivo proprio non ci interessano?
Non mi sfugge la circostanza che, al fondo di una tale regressione della coscienza politica, sta una più profonda e radicale decadenza della nostra civiltà occidentale di cui sono molti gli indizi, a cominciare dal calo demografico e dagli arroccamenti identitari, accompagnati da una fastidiosa retorica che si spinge sino a far coincidere identità cristiana con identità occidentale o addirittura… padana. Un tempo, il nostro, la cui cifra sintetica è quella della paura. La paura di perdere la sicurezza, il benessere, le cosiddette radici sotto la minaccia della globalizzazione e dell’invasione del diverso da noi. Ma a fronte di una sfida di questa portata la politica si rivela per definizione debole e inadeguata. Sono chiamate in causa piuttosto la cultura e le agenzie educative cui spetta un impegno di lunga lena e i cui frutti politici si vedranno solo a distanza.
Franco Monaco
ex deputato,
già presidente dell’azione cattolica ambrosiana
e già presidente dell’associazione «città dell’uomo»