ìrann e l’imponenza dolce di Dio
L’Irlanda è un’emozione
L’Irlanda è un’emozione e, come tutte le emozioni, non può essere mai descritta compiutamente. Tutt’al più, può solo sfiorare rapidamente la mente e il cuore di chi ne parla, permettendo un uso affrettato e sempre incompleto delle parole.
Non si sa mai se si sono usati i termini giusti e se ciò che è stato detto sia davvero ciò che si è visto, si è sentito, si è provato.
Posso soltanto dire che me lo aspettavo proprio così: un luogo immerso in un contrasto tra il silenzio della natura e l’imponenza della Creazione, tra una cordialità misurata e un’aspirazione forte alla libertà e all’indipendenza. Tutto ciò è stato da me trasfigurato in un attraversamento dolce e rilassato di questa terra, assaporando la bellezza di emozioni contenute nella forma, ma dirompenti nella sostanza.
Viaggio laico e religioso, viaggio forte e rassicurante, viaggio necessario.
La meraviglia dello sbarco a Inìs Mór
Il senso centrale di questo stesso viaggio è riassunto nella meraviglia dello sbarco a Inìs Mór, terra di ìrann. Non tradirò la mia fedeltà alla purezza dei nomi gaelici, trascurando invece le forzature anglofone.
Inìs Mór è l’isola principale del piccolo e tempestoso arcipelago di ìrann, cuore della lingua e della cultura gaeliche, o «Gaeltacht», come si dice in questo idioma straordinario per la sua complicazione e per il suo mistero.
Il gaelico ha una storia ancorata a questa terra, che è associata a un entroterra verdissimo e meravigliosamente degno di contemplazione e a un mare costantemente agitato e sovente in tempesta. Questo contrasto tra la tranquillità e la tempesta rappresenta al meglio lo spirito irlandese.
Sono arrivato a Inìs Mór dopo quaranta minuti di traversata agitata e paurosa e, quando ho visto davanti a me lo schieramento delle piccole case di Cill Rónáin, mi è parso di essere riuscito a dare finalmente corso a un sogno. Misteriose erano le ragioni che mi avevano condotto alle ìrann, anche se contrassegnate da un istinto formidabile. Era l’istinto che mi aveva portato a cercare la forza del vento impetuoso dell’Ovest. E vento impetuoso è stato.
Quando la sera, tornato a Á“rán Mór, dall’altra parte del mare, mi sono guardato allo specchio, ho scoperto di essere rosso come un peperone. Il vento aveva fatto il suo dovere e, nonostante fosse freddo come sempre, aveva prodotto in me un effetto riscaldante.
Ho pedalato per le strade tortuose e strette dell’isola, ho ammirato il mare, ho ascoltato quel sibilo costante e durissimo. Poi ho osservato l’altopiano che portava fino alle scogliere occidentali e al Forte Celtico, con quei muretti a secco, fatti di pietra grigia, che si stendevano per chilometri, incrociandosi tra loro in maniera regolare e contenendo pecore, capre e cavalli.
L’imponenza dolce di Dio
Ecco, lassù si comprende l’imponenza dolce di Dio. Non serve parlarne con formule astratte né tantomeno proporre contenuti dogmatici o leggi asfissianti. È naturale che il vento di Arann porti a credere in Dio e a credervi in un ontesto aspro e selvaggio, dove la terra è terra lisciata da questo soffio eterno e dove bere il latte salato delle capre o fare la fatica di mungere una vacca o di estrarre due patate da un luogo così difficile o di pescare da un mare rabbioso è atto quotidiano.
Si crede in un Dio così forte, a contatto con una terra altrettanto forte.
ìrann è proprio quella pagina della Creazione, espressa così efficacemente in Genesi, dove il vento impetuoso soffia sulle acque. Aleggia e, in questo modo, rivela la presenza di Dio. Forse la traduzione con il verbo «aleggiare» rende troppo male l’idea del soffio di Dio, come se quest’ultimo fosse qualcosa di astratto e di inafferrabile.
No. Ad ìrann quel soffio si fonde con la terra e con il mare, sconfigge l’illusione permanente di un Dio lontano dalle cose del mondo e nella forza del vento e della natura dichiara invece il radicamento di questo stesso Dio perfino nei luoghi più inimmaginabili.
Mi sono lanciato in discesa con la mia bicicletta come un bimbo. Invidioso chi adesso immagina di vedermi scendere da quella montagna verso il mare. Sì, ìrann deve essere vista, attraversata e contemplata.
Il giorno dopo l’ho scrutata da dietro, quando sono salito sulle Aillte an Mhothair, le scogliere di Moher, avendo una visione panoramica delle tre isole e, particolarmente da vicino, di Inìs Oìrr, la più piccola e selvatica. Che immagine tremenda e gioiosa…
Passione letteraria, poesia religiosa e ribellione politica
l resto è dettaglio. Paradossalmente è dettaglio perfino Cliath ìtha Bliath, l’odierna Dublino, ed è dettaglio anche il CÁšige Uladh, vale a dire l’Ulster britannico. È Egidio Cardini dettaglio addirittura la storia di sangue e di battaglia.
In ogni caso si può spiegare l’indole ribelle del popolo irlandese, nella sua lotta contro gli inglesi, soltanto se si comprende la sua passione poetica e letteraria, che discende dal contatto quotidiano con una natura così significativa ed eloquente, e se si comprende la sua religiosità così tenace e libera.
San Patrizio battezzava da un pozzo alla periferia di Cliath ìtha Bliath, come il Battista lo faceva dalle acque del Giordano. Il rito traeva le sue origini dal rapporto con ciò che la natura esprimeva e offriva, fosse un fiume oppure un pozzo.
Ecco perché posso immaginare (temendo di essere nel giusto) che l’irlandese è poeta nella realtà e proprio dalla realtà trae le ragioni della sua vita e delle sue dolorose ribellioni. Ma questa è un’altra storia ed è un’altra pagina: quella del dominio ingiusto su questa terra e della sofferenza immeritata per un malinteso senso del dovere istituzionalereligioso, che qualche volta in Irlanda ha soffocato proprio una fede cristiana bellissima nelle sue premesse.
Questo viaggio ha consentito che io apprezzassi la contemplazione dell’Infinito e della Creazione come premessa indispensabile per affrontare la fatica della vita quotidiana.
Adesso credo che si possa essere uomini di politica se si è anche capaci di una poesia religiosa. Contemplare la bellezza del mondo è premessa per amarlo e per amare chi lo abita. La ribellione è atto di amore estremo.
Sono tornato cosciente che il mondo mi aspetta. Suonano il «bodhrán» e lo «uillean pipe», un tamburo e una cornamusa della gente d’Irlanda, e si odono le note incantevoli delle bellissime ragazze dai capelli rossi.
Arriva la rivoluzione e ha il vestito dello Spirito di Dio, che sta solo e soltanto nel vento.