Chi molto, chi poco
La manna sfugge al controllo delle leggi di mercato
Una rivista trimestrale come questa difficilmente può stare sulla notizia. Ci sono storie e situazioni che però ci danno la sicurezza di rimanere attuali per un po’ e ci permettono quindi di poterne parlare senza rischio.
La notizia cui mi riferisco è l’annuale rapporto sulla fame nel mondo della FAO.
Continua a crescere la fame nel mondo. Per la prima volta nella storia umana, si stima che oltre un miliardo di persone nei paesi in via di sviluppo è sottonutrito. Lo rende noto la Fao, l’organismo dell’Onu che si occupa di contenere la piaga della carenza di cibo nel mondo. Le stime per il 2009 sono state riviste al rialzo: 1,02 miliardi sono gli affamati, oltre 100 milioni sopra il livello dell’anno scorso. [Repubblica online, 19 giugno 2009 Corriere della Sera, 20 giugno 2009]
Nonostante l’ampliamento dei terreni coltivabili, la crescita della produttività delle coltivazioni, gli OGM, nonostante tutto ciò, in sfregio a tutto ciò, il numero di affamati aumenta.
Insomma questa notizia è una storia che ci racconta anche tanto altro, principalmente che questo sistema economico produttivo non ha capacità di ridistribuzione ma solo di attrazione e concentrazione dei beni e che la deforestazione come gli OGM non hanno tra i loro significati presenti quello di produrre per tutti, bensì quello di produrre di più per alcuni.
Se il modello di sviluppo che abbiamo scelto non sembra essere capace di risolvere il problema della fame a cosa possiamo appellarci, in cosa possiamo sperare?
Leggendo questa notizia (o meglio rileggendo questa notizia) mi è tornato alla mente un passaggio dell’Antico testamento che tutti conosciamo, il passo dell’Esodo in cui il Dio degli israeliti sfama il suo popolo con la manna.
Non sono né esperto né studioso delle Sacre scritture, ma mi permetto di sottolineare alcuni aspetti su cui forse non ci soffermiamo spesso.
Il Signore disse a Mosè: «Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio».
Ora alla sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino vi era uno strato di rugiada intorno all’accampamento.
Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Man hu: che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo. Ecco che cosa comanda il Signore: raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda».
Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto chi poco. Si misurò con l’omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non ne mancava: avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. Poi Mosè disse loro: «Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino». Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro.
Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva. Nel sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i principi della comunità vennero a informare Mosè. E disse loro: «È appunto ciò che ha detto il Signore: Domani è sabato, riposo assoluto consacrato al Signore. Ciò che avete da cuocere, cuocetelo; ciò che avete da bollire, bollitelo; quanto avanza, tenetelo in serbo fino a domani mattina». Essi lo misero in serbo fino al mattino, come aveva ordinato Mosè, e non imputridì, né vi si trovarono vermi. Disse Mosè: «Mangiatelo oggi, perché è sabato in onore del Signore: oggi non lo troverete nella campagna. Sei giorni lo raccoglierete, ma il settimo giorno è sabato: non ve ne sarà». [Esodo 11 – 26]
Ciò che più mi ha colpito nella lettura di questo passo sono due considerazioni: ««Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne» […] Ne raccolsero chi molto chi poco e «Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino». Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì».
«Raccoglietene quanto ciascuno possa mangiarne […] Ne raccolsero chi molto chi poco» ognuno raccoglie ciò di cui necessita, ciò di cui ha bisogno per sfamarsi. L’ordine raccoglietene quanto ciascuno possa mangiarne assume significato in relazione al fatto che la manna conservata, la mattina successiva imputridisce non è cioè più commestibile, tanto è utile al momento del dono quanto inutile in quello successivo.
Non posso e non so dire quale sia il significato e il perché di questo fatto, ma so che se la manna l’indomani risulta inutile e se ognuno ne ha quanta ne necessita, non se ne può fare commercio. La manna sfugge al controllo delle leggi del mercato in quanto dono necessario e indispensabile.
Il cibo (quanto meno quello necessario) non dovrebbe avere comunque e sempre questa caratteristica?
Constatiamo, per chiudere, che, tra il XX e il XXI secolo non è più in discussione la commercializzazione del cibo, non è più in discussione l’obbligo (morale e politico) di mettere tutti gli esseri umani nella condizione di non subire l’emarginazione da un bene indispensabile e vitale, ma che la commercializzazione, e quindi l’emarginazione, dalla possibilità di una vita decorosa, si sia espansa all’origine stessa del bene: i codici genetici.
Brevettare le forme di vita, renderne commercializzabili solo alcune, ricostruire le abitudini alimentari, i gusti e le tradizioni in cui e da cui si generavano (oltre a tutte le questioni ambientali che solleva) significa non solo implementare la fame nel mondo, ma creare e consolidare le premesse affinché le disuguaglianze siano sempre più marcate.
Guido Turus
laureato in filosofia,
componente la redazione di Madrugada
collabora con realtà del terzo settore