Agricoltura e allevamento nello sviluppo delle società
Perché alcuni popoli sono più ricchi di altri? Perché alcuni hanno conquistato buona parte del mondo? Perché gli europei? Da cosa ha preso le mosse lo sviluppo tecnologico e perché là e non altrove?
Queste domande tornano periodicamente, si affacciano più volte in diversi e molteplici discussioni. Domande rifiutate, giudicate banali, domande strumentalizzate, domande poste per avere una risposta…
Chilomicroni non è una rubrica che si occupa di recensioni e questa non lo vuole essere, ma credo che per ampliare il significato che diamo ai termini alimentazione e cibo possa essere utile richiamare e ripercorrere un saggio di questi ultimi anni che ha avuto grande fortuna nel mondo.
Il libro in questione è Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond, edito più di dieci anni fa da Einaudi.
Armi, acciaio e malattie prende le mosse proprio dalle domande fatte poche righe più sopra: perché alcuni popoli si sono «sviluppati» o meglio perché hanno sviluppato una tecnologia predominante rispetto ad altre? Conscio dei rischi insiti in queste domande, Diamond prende le mosse e sviluppa la sua analisi lungo una pluralità di direzioni quali la linguistica, l’antropologia, la genetica e la storia.
L’ipotesi di Diamond si muove lungo questo asse: alcuni popoli, nel rendersi sedentari, nel passare da un’«economia» basata sulla caccia e la raccolta a una basata sull’agricoltura, creano un surplus alimentare (conservabile) che permette di costituire e di mantenere (da un punto di vista alimentare) nuove figure sociali: sacerdoti, governanti, militari, artigiani. Assieme all’agricoltura nasce e si sviluppa l’allevamento, che oltre a permettere di implementare le risorse alimentari a disposizione, permette di variare e bilanciare la dieta, avere a disposizione una forza motrice e, soprattutto, entrare a contatto con nuove malattie. I popoli sedentari, in un percorso millenario, creano sovrastrutture sociali e si armano, sviluppano tecnica e anticorpi. A questo punto i pacifici agricoltori sono pronti a conquistare il mondo, non per loro meriti quanto per l’incapacità dei popoli con cui entravano in contatto di organizzare e gestire campagne militari lunghe e spossanti, costretti ad arrendersi, se non di fronte alla superiorità militare, ai virus.
(Chiarisco che a questi passaggi, alle analisi, alle controproposte, alle valutazioni che portano Diamond ad affermare questa linea d’interpretazione affluiscono una grandissima mole di dati in un percorso molto lungo e assai meditato. Dico questo perché non vorrei che la banalità e la faciloneria con cui ho espresso questa tesi fossero ascrivibili ad altri da me).
A questo punto chiunque leggesse queste poche righe, non potrebbe non osservare che tutto sommato, rispetto all’ambiziosa domanda di apertura, lo scienziato americano non abbia fatto altro che spostare il problema.
Perché gli alcuni popoli si sono sviluppati in maniera tale da imporsi sui vicini, sui vicini dei vicini, fino a conquistare i lontani? Perché pronipoti di popolazioni di agricoltori.
Ma, allora, perché quelle popolazioni divennero agricole, perché quelle e non altre? La risposta non va cercata in presunte superiorità razziali che, originariamente riposte in alcuni e non in altri, ne determinarono le capacità di osservazione della natura, di sintesi della loro osservazione e quindi di addomesticamento dell’ambiente circostante. Gli europei, o meglio le popolazioni del vicino oriente, riuscirono ad apprendere le regole della natura e a creare situazioni artificiali con cui «imbrogliare» le piante e gli animali per trarne maggior beneficio non perché più intelligenti di altre ma solo perché lì e non altrove crescevano spontanee le specie addomesticabili.
Cosa significa? Significa innanzitutto che non tutte le piante possono essere addomesticate dall’agricoltura e che non tutti gli animali possono venire allevati.
Diamond sottolinea con forza, in più passaggi del saggio in questione, il fatto che la trasformazione da una società di raccoglitori a una di agricoltori non fu un iter lineare, una chiara linea di confine attraversata una volta per tutte, non fu mai un cambiamento radicale compiuto in un preciso momento da alcuni e non da altri.
Il passaggio tra i due modelli «economici» fu lento, caratterizzato da movimenti contrastanti verso i due modelli. Per coltivare il grano, per selezionare le varietà più nutrienti, più saporite, più resistenti ci vollero secoli, solo quando questo processo si era completato una popolazione passava in maniera «completa» al modello agricolo. Molte popolazioni, in molte moltissime parti del mondo, appresero/ scoprirono/intuirono tecniche agricole, ma diversi fattori (l’instabilità genetica di alcune specie, la non presenza di specie addomesticabili, lo scarso valore nutrizionale di quelle che lo potevano) rendevano l’agricoltura una scelta troppo rischiosa, una scelta che non era in grado di garantire il proprio nucleo sociale.
Nella cosiddetta mezzaluna fertile incontriamo 33 specie vegetali che possedevano i requisiti principali per poter essere coltivate da un lato e dall’altro ripagare gli sforzi necessari alla loro coltivazione: un seme abbastanza grosso, un valore nutrizionale elevato, la capacità a resistere a variazioni climatiche, la possibilità di conservazione e soprattutto la stabilità genetica. Quest’ultimo aspetto risulta essere molto importante: coltivare piante con un margine di variabilità genetica molto forte comporta il fatto che l’agricoltore non possa avere certezze sul raccolto dell’anno successivo. Fondare l’attività agricola su specie stabili significa invece poter programmare, significa spendere tempo, energie e risorse per arrivare a un risultato, almeno con buona possibilità. Nel resto del globo incontriamo le progenitrici spontanee di altre piante con le caratteristiche sopra espresse: 23, solo 23.
33 specie stabili, adattabili e nutrienti in un territorio piuttosto piccolo a fronte di 23 con le stesse caratteristiche sparpagliate nelle altre terre emerse.
Nella stessa area geografica vivevano 72 specie animali addomesticabili a fronte di 75 specie con le stesse caratteristiche distribuite tra Africa, Americhe e Oceania.
Diamond elabora e tratta questi dati con attenzione entrando in molti particolari, non è il caso di addentrarci di più, nelle pagine di Armi, acciaio e malattie ma voglio sottolineare due aspetti.
Il primo svetta rispetto a questa rubrica: stabilire primati genetici di alcune popolazioni rispetto ad altre è cosa che non può che essere moralmente rifiutata. Le domande sfruttate da molti per giustificare errate prese di posizione necessitano però di risposte, in questo saggio ne troviamo alcune: alcuni riuscirono perché vivevano nelle condizioni in cui questo era possibile, non per maggiore intelligenza.
La seconda è il motivo per cui ho deciso di affrontare questo testo all’interno di questo contenitore.
Pur non volendo dare al cibo il ruolo di agente unico di sviluppo della civiltà desidero sottolineare l’importanza e il ruolo avuti dall’agricoltura e dall’allevamento nello sviluppo di alcune società: il ruolo che sembrano aver avuto nella storia della civiltà umana tutta.
Senza agricoltura e allevamento il mondo non sarebbe quello che è, noi non saremmo ciò che siamo (nel bene e nel male).
Guido Turus
laureato in filosofia, ha curato Ad occhi aperti e Biodifferenze, componente della redazione di Madrugada, collabora con differenti realtà del terzo settore