Crisi

di Panebianco Fabrizio

Crisi è una parola usata e abusata nel linguaggio economico. Parola di derivazione greca, dovrebbe indicare un momento di separazione, di decisione: un momento in cui un paradigma cambia. In questi giorni è sulle bocche di tutti sotto la forma di «crisi finanziaria». Ancora nessuno sa con precisione cosa succederà e quali saranno le conseguenze. Cerchiamo, dunque, di capire meglio cosa è successo. Potremmo far risalire la storia, semplificandola, a circa 5-6 anni fa quando una recessione economica ha fatto sì che il presidente della banca centrale americana avesse deciso che un’ottima politica sarebbe stata quella di abbassare i tassi di interesse. In questo modo le imprese avrebbero potuto fare investimenti chiedendo prestiti meno onerosi e promuovendo la crescita, le famiglie avrebbero potuto consumare di più prendendo a prestito in maniera più economica. Forse troppo economica.

Prestiti, mutui a go-go

Le persone hanno cominciato, così, a indebitarsi come non mai per acquistare case e stipulare mutui. Come conseguenza il valore delle case è salito alle stelle. Le famiglie che possedevano una casa hanno cominciato a chiedere prestiti concedendo come garanzia la propria casa, che ora valeva tanto, e quindi potevano permettersi prestiti e consumi più alti. Le banche, intravedendo l’affare, hanno cominciato a concedere prestiti anche a chi non era così certo di poter ripagare. Per assicurarsi contro il rischio d’insolvenza, però, le banche stesse hanno deciso di stipulare assicurazioni con grandi compagnie assicurative contro il rischio che i propri clienti non pagassero: le banche sembravano dunque fare operazioni prive di rischio e questo le ha incoraggiate a prestare denaro a clienti sempre più insicuri. Le famiglie erano indebitate, le imprese e lo Stato pure: gli investitori esteri pensavano di aver fiducia in questo sistema e continuavano a investire negli Stati Uniti fornendo il denaro necessario: la crescita economica avrebbe pensato a ripagarli. Tutti sembravano contenti, finché i nodi non sono venuti al pettine: come in ogni bolla speculativa i prezzi delle case hanno cominciato a scendere e le famiglie che avevano concesso le case come garanzia dei mutui si sono trovate ad avere una garanzia che valeva meno del mutuo stipulato. Quindi da una parte le banche si sono trovate con garanzie «deboli» e dall’altra i prestiti facili hanno cominciato a non essere ripagati, sia perché concessi troppo facilmente sia perché la congiuntura economica ha cominciato a creare difficoltà economiche alle famiglie. Uno dopo l’altro i mutui non pagati sono diventati troppi e le assicurazioni e le banche hanno cominciato a fallire o a indebolirsi.

Ma non sono solo i «cattivi» a rimetterci: quando un’istituzione fallisce le conseguenze si ripercuotono sui suoi creditori e su chi ha azioni di quella società nel proprio portafoglio con un possibile effetto a catena. Non solo: gli investitori esteri, cinesi in primis, che prima fornivano denaro a questo sistema, hanno cominciato a tirarsi lievemente indietro, facendo mancare denaro per nuovi debiti. Finora, però, il fenomeno sembra relegato prevalentemente all’economia finanziaria. Il problema è che le banche, in questo clima, hanno cominciato a nutrire sfiducia reciproca e a richiedere garanzie maggiori ai propri debitori: come conseguenza hanno cominciato a prestare meno soldi alle imprese. Oggi siamo in questa situazione: le banche hanno paura a prestare denaro (la famosa stretta creditizia), le imprese rischiano di restare senza qualcuno che le finanzi e dunque l’economia potrebbe entrare in recessione. I governi stanno tentando di convincere tutti che nessun’altra banca fallirà e che le banche possono, con fiducia, prestare denaro alle imprese, ma la parola chiave, fiducia, è esattamente quella che sembra mancare a tutti.

E adesso?

Abbiamo detto che ogni crisi dovrebbe implicare un cambiamento. Cosa sperare? In primo luogo, guardando alle responsabilità, le istituzioni finanziarie ne hanno molta; ma se crediamo che gli individui siano più o meno liberi di scegliere, chi ha creduto di poter vivere costantemente al di sopra dei propri redditi ha una responsabilità non indifferente. Ancora una volta è il senso del limite che andrebbe ricostruito. In secondo luogo un considerazione più italiana. Questa crisi potrebbe diventare una sana lezione per tutti quelli che si sono lamentati dell’euro, imputando svariate catastrofi a questa moneta. Banalmente se non fossimo nell’euro, che ci garantisce una certa protezione, il nostro Stato, essendo un’economia abbastanza esposta, rischierebbe la bancarotta, come l’Islanda, salvata da denaro russo, e dunque ora sotto l’«influenza» di Putin. Interessante notare poi che anche paesi euroscettici come Danimarca e Svezia stanno pensando che l’idea di entrare nell’Euro forse è intelligente.