Il Brasile al voto amministrativo
Fra consolidamenti e nuove tendenze
In Brasile si è svolto, il 26 ottobre scorso, il secondo turno delle elezioni amministrative (sindaci e consiglieri comunali): una prova importante, che precede di due anni la competizione per la presidenza della Repubblica, per la quale già si stanno facendo nomi e supposizioni, anche in base ai successi elettorali ottenuti dai singoli partiti. Lula ne è uscito molto bene, del resto il suo indice di gradimento è oggi uno dei più alti del suo secondo mandato (anche del primo), pari quasi all’80% dei consensi. La base alleata della coalizione che lo sostiene ha conquistato 21 su 26 capitali brasiliane con 76.996.821 voti, pari al 59,78% dell’elettorato nazionale. Il Pt (Partido dos Trabalhadores) e il Pmdb (Partido do Movimento Democrático Brasileiro) insieme vincono in 12 capitali. Fortaleza, Recife, Porto Velho, Vitória, Rio Branco, Palmas erano già amministrate dal Pt e molte altre in coalizione con Pmdb, Psb (Partido Socialista Brasileiro), Pdt (Partido Democrático Trabalhista), Pcdob (Partido Comunista do Brasil) sono state riconfermate.
La strategia vincente di Lula
Una prima osservazione: il Pt di Lula ha attuato una vincente strategia di coalizione all’interno del centro sinistra, che vede una miriade di sindaci di quest’area disseminati sul grande «continente» brasiliano, portatori di uno stile interessante di governo che fa dello stato sociale e della mediazione del conflitto negoziato una pratica costante. Questo certo non ha evitato né eviterà scandali ed episodi di malgoverno, perché l’etica individuale è, appunto, un agire soggettivo, fa parte, purtroppo, della natura umana. Tuttavia questo non incide sul discorso generale della politica in Brasile che con Lula ha raggiunto toni di media praticabilità molto alti. Giustizia, inclusione sociale, sostegno alle politiche in favore di donne e giovani sono entrati nel sangue della gente. Tutto questo fa percepire un clima culturale aperto e «accogliente», positivo e progettuale verso il futuro, un clima ormai poco usuale per l’Europa e in particolare per l’Italia. Lula è diventato il simbolo di questa speranza, di questa possibilità di farcela per un paese che era «terzo» e sta diventando «primo», per un paese che teorizza poco la sua politica, ma potrebbe parlare a lungo delle sue profonde realizzazioni democratiche sin dai tempi della dittatura. Il Brasile è un esempio concreto dove si vedono i risultati del «come» si è arrivati alla democrazia e non solo della sua enunciazione retorica. Certo molto resta da fare e molte diseguaglianze e baratri sociali sono ancora da colmare, ma intanto si sono aperti dei percorsi, delle faglie nei privilegi e si sono lanciati messaggi culturali che non lasciano indifferenti né l’intellettuale né il contadino, né il nero né il giovane.
Divisi si perde
Dentro questo contesto si sono verificate alcune tendenze, legate al caso di alcune città. Fra le più simboliche citiamo Porto Alegre, S. Paulo e Belo Horizonte. A Porto Alegre il Pt e il Pmdb, pressoché alleati di ferro in tutto il Brasile, hanno corso separati e ha vinto José Fogaça con 58,95%. Questa città divenuta, con il Forum Sociale Mondiale, il simbolo delle buone pratiche governative, vive ancora una contrapposizione quasi frontale fra componenti dell’area dellaàsinistra, ma quando il Pt e i partiti più a sinistra si presentano soli di solito perdono. La linea di tendenza delle competizioni brasiliane conferma che sono le coalizioni di centro sinistra a vincere. La maggiore città brasiliana, S. Paulo, ha visto la vittoria del centro destra con il Dem (Democratas), nuova sigla del Pfl (Partido da Frente Liberal) di Gilberto Kassab, al 60,72% contro Marta Suplicy, esponente di spicco del Pt per la quale era sceso in campo lo stesso Lula, pur restio a sostenere, in qualità di presidente della repubblica, i candidati della sua parte. Questa sconfitta dimostra che in una città come S. Paulo a contare sono ancora i gruppi economici potenti e soprattutto il «tradimento» del Pmdb che ha sostenuto, in contrasto con il livello nazionale, Kassab.
Infine, Belo Horizonte presenta i sintomi di una tendenza che potrebbe generalizzarsi in futuro e potrebbe anche condizionare le presidenziali 2010. Nella capitale del montagnoso Minas Gerais si è snodata una lunga sequela preparativa delle elezioni, con mosse e contromosse fra i principali protagonisti che sono stati: il sindaco uscente Fernando Pimentel del Pt, il governatore del Minas Aecio Neves del Psdb (centro destra socialdemocratica) e alcuni ministri del Minas, oggi ministri di Lula (Luiz Dulci e Patrus Ananias).
I primi due, rompendo ogni steccato hanno sostenuto un candidato comune in nome della fattiva collaborazione tecnica attuata verso la città e cioè Marcio Lacerda del Psb (Partido Socialista Brasileiro), risultato vincente al secondo turno quasi al 60% dei voti. Il Pt locale ha in parte sostenuto questa ipotesi, mentre il Pt nazionale fino all’ultimo l’ha osteggiata, tanto che il suo presidente, Ricardo Berzoini, sta proponendo una punizione per il petista disobbediente Pimentel.
È in gioco un passaggio epocale
È chiaro che dietro queste alleanze vecchie e nuove sono in gioco profondi processi identitari e storie di partiti come il Pt che ha una lunga militanza vera e profonda nel vissuto politico brasiliano. Crediamo che sia in gioco, tuttavia, un passaggio epocale, in particolar modo per il Pt di Lula, fra storia di movimento e ormai partito istituzionale, uno snodo che era stato complicato dalla figura di Lula, ormai simbolo non solo più dei «petisti», ma di tutti i brasiliani. Il Pt ha subito scandali, erosioni, crisi della militanza, ma sta dimostrando di riaversi da questi attacchi tipici della nostra epoca. Lo sta facendo «imparando» a gestire le alleanze senza perdere la propria identità. Solo la successione di Lula dirà il grado di forza che sarà riuscito a mantenere.
Alcune curiosità dimostrano anche il nuovo clima «interpretativo» che il Brasile dà delle elezioni in Usa. Per esempio Alexandre «Barack Obama» Jacinto ha concorso a sindaco di Petrolina e come diversi altri ha adottato il nome di Obama! La legge elettorale brasiliana permette che i candidati usino nomi di buon augurio come pseudonimi accanto alle loro vere generalità. Molti hanno anche copiato lo slogan di Obama: «Sì, possiamo» e inseguono la speranza di portare, prima o poi, un nero anche alla presidenza brasiliana.
Questo cambia la sensibilità politica verso il colosso americano che non è più percepito soltanto come invasore o sostenitore di golpe (percezione purtroppo vera come si sa, Plan Condor degli anni delle dittature come esempio più conosciuto), bensì come teatro di nuove grandi battaglie democratiche.