I tolitarismi striscianti della postmodernità
Ho riflettuto in questi ultimi mesi sull’amarezza, il realismo, la spietata lucidità di Giuliano Pontara in «L’antibarbarie» e sugli scritti di Hannah Arendt. Ho letto, attraverso la loro descrizione minuziosa, la cultura, le convinzioni e in un qualche modo i processi che hanno favorito i regimi totalitari europei del secolo scorso.
Il primo elemento che spicca in quei regimi è la presunzione: sono convinti che, verosimilmente a ciò che accade in natura nel mondo animale, e secondo una lettura faziosa delle teorie evoluzionistiche, un ceto sociale fortemente connotato o un gruppo selezionato in base a criteri che ne garantiscono l’autocostituzione, detenga le caratteristiche e le qualità che «per natura» incarnano e rappresentano la futura élite destinata a costituire i movimenti di regime.
Presunzione di superiorità
Già qui siamo di fronte a un grande svincolamento: non ci troviamo di fronte a gruppi o a singoli leader a capo di un partito che rispondano a delle «regole», o leggi dettate dal «diritto naturale», o a una qualche legge divina rivelata; al contrario, l’élite stessa incarna e rappresenta la fonte del diritto, e ha in sé l’autorizzazione per applicare le proprie leggi. Assistiamo a una totale noncuranza della legittimità o meno di un’azione e quindi del criterio di giusto e ingiusto, da cui il superamento del concetto di legale e illegale.
L’affermazione di una morale comune, che può portare alla conseguenza della pena giudiziaria, non è stabilita da un Consensus Iuris che dovrebbe essere legittimato dal popolo del grande monopartito che prelude al regime; qui l’ottica è completamente rovesciata, anzi pretende di andare oltre in quanto la politica totalitaria «… promette di liberare l’adempimento della legge dall’azione e dalla volontà dell’uomo; e promette giustizia sulla terra perché pretende di fare dell’umanità stessa l’incarnazione del diritto»1.
Secondo le ideologie che sostengono i regimi totalitari, il mondo viene realmente concepito come un teatro o, meglio, un’arena all’interno della quale esprimere al meglio le proprie capacità di guerra, non gradualmente, ma subito. La terra, l’eco sistema, non viene concepito come un contenitore da osservare, da utilizzare o eventualmente anche da lavorare come il mito dell’homo faber ci aveva tramandato.Il territorio, è solo spazio delimitato di conquista; è con la violenza che si ottengono i risultati definitivi e i migliori in assoluto, è solo con la trasformazione violenta che si arriva a imporre la propria supremazia, e per questo occorre una precoce e dura selezione dei gruppi che parteciperanno alla battaglia. Attraverso questo addestramento, si perde di vista il singolo uomo, perché si esiste in quanto gruppi.
La capacità di creare una forte identificazione fra la base e i leader, la massa e il potere, ha consentito ieri di gettare i semi del totalitarismo, e oggi i semi di una culturaàdell’imperialismo, che non è così distante dalla mentalità totalitaria e ne possiamo osservare gli effetti attuali a livello delle decisioni sulle politiche estere e le economie.
Parallelo tra passato e presente
Ciò che mi ha convinta a pensare che questa nostra epoca sia permeata di totalitarismi che sottendono innumerevoli culture e che condizionano addirittura i legami fra i popoli, ma che ancor di più entrano nella sfera privata, nel personale e nelle relazioni di tutti noi in quanto attori sociali, è ciò che una rozza e primitiva cultura, che è andata affermando nei primi del ‘900, ha lasciato in eredità al pianeta. Non possiamo certamente affermare che ascoltiamo dai mezzi di comunicazione di massa un incitamento generale alla guerra, o che la guerra viene vista come igiene del mondo, come l’azione per eccellenza; sarebbe tutto troppo facile da decodificare e da ricondurre a posizioni di estremo fanatismo dogmatico, ma è venuta sempre meno in noi la capacità di prendere le distanze e difenderci da messaggi che passano in codice, sotto le righe. Occorrono strumenti molto raffinati per saperli leggere e trovare alternative.
Molto di tutto ciò si può ricondurre a una politica che ha saputo trovare e mettere bene le distanze tra se stessa e l’etica. E non mi riferisco a partiti che rappresentano una parte della popolazione, regolamentati da una carta costituzionale e da un sistema parlamentare, ma mi riferisco alla propaganda di alcuni soggetti politici, socialmente e psicologicamente molto forti che hanno fatto della propaganda del benessere uno slogan, anzi un imperativo inalienabile.
Io mi chiedo se omologazione, pensiero unico e totalitarismo siano cose così lontane tra loro. Il richiamo di Giuliano Pontara all’antibarbarie non è da leggere solo come un’analisi storica e lucida degli stermini razziali compiuti sotto i regimi nazi-fascisti, ma anche come un’attenta osservazione di ciò che questa cultura ha comportato per le società occidentali contemporanee. Cito testualmente: «… se l’interesse supremo del popolo tedesco e della razza ariana viene sostituito con il supremo interesse della chiesa, o il supremo interesse della rivoluzione, o il supremo interesse del popolo americano, si ottengono tre varianti della stessa dottrina… Un esempio della terza variante è fornito da quanto scrisse il noto funzionario del dipartimento di Stato, e in seguito ambasciatore statunitense in Unione Sovietica, George Kennan, quando, nel 1948, incitò gli americani a liberarsi da ogni «impaccio morale-idealistico» nello sforzo di mantenere il proprio tenore di vita e la propria egemonia nel mondo: il nostro vero compito, nel periodo che si prepara, è trovare un modello di relazioni [con altri stati] che ci possa consentire di mantenere questa disparità [di benessere e di potere] senza mettere effettivamente a rischio la nostra sicurezza personale»2.
Questo brano evidenzia il legame tra chi si sente legittimato a compiere azioni in nome della propria supremazia e «nell’interesse dei cittadini» e i modelli di egemonia pre-totalitaria, di fasulla democrazia, di confusione tra benessere di uno stato e interesse generale. Ma questi erano solo i primi assaggi che arrivavano dopo il secondo grande conflitto mondiale. Ora è tutto molto più complicato e mascherato dalla globalizzazione e dalle realtà virtuali.
Cosa sia totalitarismo
La scuola di Francoforte ha definito il totalitarismo come un sistema che, al pari del capitalismo estremo, utilizza la cultura della massa, non quella prodotta dalle masse, ma quella prodotta dai mezzi di comunicazione di massa e dall’industria culturale per massificare gli individui e controllarli psicologicamente e politicamente.
Dello stesso parere sembra essere Bauman, che condanna i processi di massificazione, che portano a una incapacità di agire e di trovare un percorso originale e autentico. «…I cittadini degli stati odierni sono individui per sorte: gli elementi che caratterizzano la loro individualità – doversi affidare a risorse individuali e responsabilità individuali perài risultati delle scelte di vita – non sono questioni di scelta. Oggi siamo tutti individui de iure, ma ciò non significa che siamo anche individui de facto»3.
Una provocazione finale
Per terminare queste mie riflessioni, sulla scorta del sociologo ed esperto di comunicazione di cui sopra, lancio un’ultima provocazione: quale somiglianza scorgere tra la popolarissima trasmissione televisiva Il Grande Fratello e il pensiero unico?
Il Grande Fratello non ha un volto, fornisce tutto ai concorrenti, non occorre che essi provvedano a nulla, possono solo decidere di superare delle prove, delle gare, di eliminare qualcuno; l’obiettivo è la sopravvivenza, pena l’esclusione o l’eliminazione altrui, in cambio del premio finale: ricevere la gratificazione di chi ha creato le regole, che è l’identificazione con il potere elitario; così i partecipanti al gioco saranno assolutamente tranquilli che tutto ciò che faranno, lo faranno per il rispetto delle regole assolutamente e totalmente legittimate.
Se i campi di concentramento servirono da laboratori in cui furono collaudati i limiti della tendenza totalitaria nella società moderna, gli show televisivi sulla famiglia espletano la stessa funzione per la nostra modernità. A differenza di quegli esperimenti, tuttavia, il collaudo odierno è condotto pubblicamente, alla luce del sole, dinanzi a milioni di spettatori4.
1 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, 1973, Einaudi Torino 2004, pag. 633.
2 Giuliano Pontara, L’antibarbarie, 2006, Ega Torino, pag. 39.
3 Zygmunt Bauman, La società sotto assedio, 2005, Laterza Bari, pagg. 59-60.
4 Zygmunt Bauman, op. cit., pag. 57.