La pazienza dell’attesa

di Paoli Arturo

Arturo Paoli a colloquio con Egidio Cardini

Arturo, a quarantadue anni dalla chiusura del Concilio ecumenico Vaticano II possiamo azzardare che purtroppo è stato definitivamente chiuso anche l’ultimo spiraglio delle speranze che hanno fatto irruzione sull’orizzonte della Chiesa contemporanea o possiamo ancora dire che il Concilio vive oltre ogni tentativo di suo ridimensionamento?

La domanda viene spontanea a chi osserva quello che porta avanti la Chiesa cattolica in questo nostro tempo.

Si osserva un contrasto evidente fra alcune manifestazioni che hanno per protagonista la massa e l’impoverimento progressivo delle parrocchie. Questo fatto è parallelo a quello che avviene nel mondo occidentale in questo spazio di tempo in cui trascorre la nostra esistenza. Vi sono due forze che dominano il mondo: la tecnica e il mercato. Sono come due idoli a cui sembra che Dio lasci spazio e tempo per esercitare il loro potere. Il Dio vero interviene quando è il suo tempo.

Vedo chiaro che cosa vuol dire la Bibbia quando parla dei castighi di Dio. L’idolatria attuale è uno dei tempi di castigo. Forse uno dei più gravi nel tempo che chiamiamo modernità o post-modernità. Ce l’ha mandato Dio? Ce lo siamo fatti noi. Gli idoli sono fabbricati dalle mani dell’uomo, ci dice lo Spirito Santo. Quando ce ne libereremo? I due idoli hanno la stessa tattica. Il dio mercato ci toglie la soggettività nel tentativo di sopprimere l’Io responsabile, impedendo la crescita della parte psichica della nostra esistenza. L’idolo tecnica ci seduce con nuove invenzioni, impedendoci il più possibile la comunione con l’altro. Con molta difficoltà, i pochi saggi, che ci sono e ci saranno sempre, oggi sono impegnati ad approfondire il ruolo dell’altro nella nostra vita, mai senza l’altro. Il Vangelo, come sempre, ci ha preceduto, mettendoci in guardia che nella nostra vita religiosa, che ha come fine di cercare un accordo col Dio vero, «vi potete sbagliare. Vi diranno ecco il Cristo è qui oppure è là, non ci credete» (Mt 24,23). Ma quando v’incontrate con l’altro asimmetrico non vi potete sbagliare. «Io avevo fame, mentre voi invitate a pranzo quelli che sono sazi.

Io ero in carcere, mentre voi applaudite quelli che hanno corrotto i giudici e si beffano delle leggi e voi riempite le piazze per acclamarli…». E via e via.

Ecco l’altro. Ma i due idoli hanno scoperto il segreto di toglierci tempo e libertà per gestire le nostre esistenze e così si riempiono le piazze ad ascoltare qualunque clown che conosca il segreto di ridicolizzare l’avversario. Basta che ci faccia ridere o che almeno ci tranquillizzi. Basta saper sedurre bambini bloccati nella crescita psicologica e sviati nella responsabilità di crescere liberamente nella dimensione spirituale. Ci sono molte agenzie che guidano verso luoghi della spiritualità che è possibile catturare negli apparecchi di riproduzione dell’emozione, mettendo a disposizione quando abbiamo voglia di spiritualità: spettacoli e paesaggi che rimpiazzano la sete di Agostino, che non si placa finché «non trovo riposo in Te, nel vero Te, nel Te vivente».

Del Concilio si può dire che lo Spirito Santo è venuto fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto, ma resta nel tempo; non per morire, se è la stessa vita. Chi vuol vivere lo deve cercare e lo riconoscerà come il grande avversario dell’idolatria.

«I re governano sui loro popoli e quelli che hanno potere su di essi si fanno chiamare benefattori. Voi però non agite così» (Lc 22,25).

Una delle grandi sfide proposte dal Concilio è stato il tentativo di superamento del tradizionale sospetto reciproco tra la Chiesa e il mondo. È stata una sfida vinta o perduta? Oggi siamo in grado di dire che questa distanza sia stata in qualche modo colmata?

Il Concilio è un grande, forse il più grande, evento del secolo, perché credo che sia la prima volta che la relazione chiesa-mondo viene collocata nella sua verità. E si possono capire molte cose solo partendo da questo. Riassumendo (e scusa se insisto, ma credo che questo risponderà a molte domande che si presenteranno) un passaggio molto importante del discorso di commiato del nostro Maestro, Egli ci rassicura con queste parole: «Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro affinché sia sempre con voi: lo spirito di verità che il mondo non può accogliere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò a voi» (Gv 14,16-18).

Lo Spirito è nel tempo, ma è in noi e non è detto che agisca come noi vorremmo nel piccolo spazio di tempo in cui si svolge la nostra esistenza. Il potere, qualunque sia il qualificativo, politico, militare, ecclesiastico, finanziario, è necessariamente nel mondo e contemporaneo al mondo. Si può ben dire, per difendere scelte personali, nel mondo ma non del mondo.

Chi ha il potere può non relazionarsi col mondo di oggi? Non è proprio per dominare il presente?

Non chiamo economico il potere finanziario, perché economico, etimologicamente, indica la giusta distribuzione dei beni. Finanziario oggi contiene il senso dell’accumulazione. E l’accumulazione cresce smisuratamente nel tempo e nel volume ed è prevedibile che abbia in sorte l’effetto del tumore e che ucciderà presto il corpo sociale. E dopo la morte del corpo sociale che succederà? Tu, cattolico come me, ripeterai frequentemente la preghiera: «Vieni e rinnova la faccia della terra». Questa preghiera è una verità certa, messa nella nostra bocca dallo stesso Spirito di Dio nel Salmo 104. Quindi nulla di creato morirà definitivamente, perché «la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio (…) e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19-21). Credere per me vuol dire essere sicuri che questo, se non è avvenuto, se non avviene, avverrà. La fede è sicurezza delle cose che non si vedono.

Il Concilio si è trovato davanti a una questione aperta sul linguaggio religioso e sulla mediazione dell’annuncio evangelico con il mondo contemporaneo. Da una parte l’eternità dell’annuncio e dall’altra la storicità del linguaggio. Questo stesso linguaggio è restato incomprensibile ai più o finalmente sono stati trovati gli spazi per capirsi con il mondo? Non hai l’impressione che le forme attuali dell’annuncio restino inefficaci?

Il Concilio ha portato come novità quella di guardare la Chiesa dal mondo. Ecco la famosa domanda di Paolo VI: «Che cosa tu mondo aspetti dalla Chiesa? E tu Chiesa che aspetti dal mondo?».

La risposta è semplice: l’inculturazione del messaggio di fede, che evidentemente non può essere sempre la stessa, perché la cultura cambia e spesso a un ritmo molto accelerato. E di questo cambio non ha bisogno la classe che è al comando, ma non fa la storia. È come un paralitico che non si muove e cerca di trattenere il tempo, perché l’oggi va bene per il suo progetto di vita. Il domani non si sa, non sarà più mio. Quindi vuole un messaggio archeologico, fissato per sempre nel passato. Ma Colui che siede sul trono dice (il suo «disse» è eterno nel tempo. Chiede a noi solo di pregarlo e pregarlo vuol dire volerlo): «Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci» (Ap 21,5).

Che vuol dire oggi inculturazione? L’inculturazione primitiva è avvenuta nell’incontro con la cultura greca. Questa cultura è rappresentata da due grandi nomi: Platone e Aristotele. Nel mondo cristiano sono diventati Agostino e Tommaso. Questa cultura è orientata alla ricerca della verità. E qua introduco l’opinione di un notevole filosofo francese, Franìçois Jullien, presentato come uno dei maggiori protagonisti sulla scena filosofica europea: «È il punto in cui ho trovato più intrattabili i miei amici con cui ne discutevo: la felicità, mi dicono, è, in piena evidenza, ciò a cui tutti gli uomini si interessano… Si ammette certo che l’esigenza della verità di cui conosciamo l’atavico legame con il pensiero dell’Essere e quanto sia dipendente da un’attesa della Rivelazione sia da prendere per una figura maestosa, ma singolare nell’avvento e nella formazione dello spirito… Ma la felicità vale per tutti. Chi infatti non vorrebbe la felicità?» (Francois Jullien, Nutrire la vita, Cortina Editore).

Scopro, come sempre, che il Vangelo ce lo aveva già detto: «Voi vi rattristerete, ma vi vedrò di nuovo, il vostro cuore si rallegrerà e la vostra gioia nessuno ve la potrà rapire… Chiedete e riceverete in modo che la vostra gioia sia completa» (Gv 16,22-24).

Il filosofo Jullien ha capito che bisogna decisamente abbandonare quel tipo di verità, che è stato il motivo che ha guidato la speculazione filosofica nei secoli. E ormai credo che, da Husserl e Heidegger in avanti, questa svolta non sia più oggetto di discussione, perché lo stato di Hitler e di Stalin, lo stato bancario creato dagli Stati Uniti, sono i frutti della filosofia dell’Essere e la conseguenza di stragi umane avvenute ieri e che continuano oggi e sono fatti di cronaca, questo è incontestabile. Ma la felicità come oggetto della ricerca può mettere fine ai conflitti che fino a oggi ci lacerano? Impossibile, perché il desiderio della felicità è universale, nessuno rifiuta la felicità, anche il suicida è spinto dal bisogno di fuggire da una sofferenza insopportabile. Meglio il nulla, il vuoto, che questa vita. Il Vangelo ci parla di gioia che sgorga di dentro, proprio come l’acqua zampillante che Gesù ha promesso alla samaritana, mentre la felicità diventa preda delle voglie, come l’Essere è diventato facilmente preda della sete di potere. Quella gioia che è l’eredità del Cristo Resuscitato, io l’ho vista coi miei occhi e l’ho sentita battere nel mio cuore partecipando alle riunioni delle comunità di base in America Latina. Non ho mai dimenticato le riunioni sotto le tende verdi di piante che parevano partecipare a questa gioia di scoprire che il Padre, che avevano invocato come nostro Padre, aveva finalmente ascoltato il loro gemito e li convocava per rivelare il segreto nascosto agli intelligenti e non si meravigliavano affatto che un pane può saziare cinquemila persone se queste si fanno uno nell’amore. L’uno del pane diventa cinquecento. Questa notizia diverte i banchieri, perché non si accorgono di avere occhi che non vedono e orecchie che non ascoltano.

Fratel Arturo, che cosa resta del Concilio? La sua forza di cambiamento e di conversione vivono ancora? Il suo sguardo amorevole verso il mondo è sopravvissuto? Stiamo forse tornando a una Chiesa che domina e non nutre misericordia per il povero?

Sai che ti direi a conclusione del nostro dialogo? Che dal Concilio Vaticano II partirono dei messaggi: la Chiesa comunità di amore, il potere fatto servizio reale e non simbolico, chiesa povera. Ma questi messaggi potevano essere accolti nel nostro mondo italiano? Non siamo noi i saggi e i sapienti, ma siamo i furbi, cioè dotati dell’intelligenza di saper come godere l’oggi. Per darti un’immagine, siamo quelli che il Vangelo mette sulla scena: «Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni, ripòsati, mangia, bevi, datti alla gioia» (Lc 12,13-21). Poteva, in questa idolatria che domina istituzioni e individui, essere accolta la voce dello Spirito Santo, che chiedeva povertà per la condivisione e comunione invece di potere, persone preparate a orientare verso la pace, pronte all’accoglienza dell’altro piuttosto che alle furbizie della discriminazione?

Ma inevitabilmente scenderà dal cielo la voce: «Stolto, questa notte dovrai morire». La Chiesa da secoli monta la guardia, pronta alla battaglia contro l’eresia e non si può accorgere che dall’altra porta è entrata l’idolatria e si è installata. Lo Spirito Santo aveva, come sempre, avvisato, introducendo nell’assemblea conciliare l’esigenza della povertà: parola che doveva essere accolta, pensata lungamente perché poteva esprimere il senso che racchiudeva nel tempo dell’invasione dell’idolo, che si chiama capitalismo e mercato. Ma sparì nel polverone della polemica.

Arturo, oggi che cosa possiamo fare davvero?

Attendere con pazienza. È inutile attaccare, incolpare. Questi fatti sono successi sempre, sono raccontati nella Bibbia e hanno il nome dei profeti. Gesù lo esprime nel suo singhiozzo: «Gerusalemme, Gerusalemme se tu sapessi…».

Quindi ti consiglio di non perdere la pazienza dell’attesa. Quando ti senti stanco, cerca coraggio e speranza fra i poveri. Fra loro trovi le cose che lo Spirito Santo ha sottratto ai saggi e agli intelligenti.