La pedagogia dell’amore
Fa troppo caldo per tenere chiuse le finestre. E c’è troppo vento per tenere aperte le imposte, con i fogli sul tavolo da compulsare per il controluce. Vado alla posta in bicicletta e torno a casa bagnato, ma c’è il sole a sud est che già splende. Il tempo è impazzito a convivere con gli uomini.
Mi rimetto al controluce, lo sguardo fisso al muro bianco della parete.
Giuseppe Stoppiglia, ignaro degli anni, naviga sul Brenta e, parlottando con i pesci, si domanda nel controcorrente Pietro, dove vai? Quel che resta del Concilio Vaticano II, perché si stia affossando l’esperienza del popolo di Dio, e ritornino in auge liturgie astratte e obbedienze cieche, che chiudono il sacerdote nel recinto del sacro, dimentico della speranza da costruire assieme a chi soffre.
Fa caldo e dove vanno i bambini? Al mare, a costruire castelli di sabbia e si sono intromessi nel monografico, attratti dalla cioccolata di Sara Ongaro che in Bambini da produrre, bambini da creare scrive che il bambino oggi, se ha tutto, se tutto gli viene dato, perde il senso del limite e lo spazio della libertà, che solo relazioni trasparenti con le cose e con le persone possono ricostruire. C’è una vena di nostalgia e quasi di invidia ingenua nell’articolo di Rubem Alves Alla ricerca dell’infanzia perduta attutita dalla percezione che di quel fanciullo qualcosa è rimasto dentro di noi nascosto. Antonia Tronti viene dall’India, non ha smarrito le valigie a Fiumicino e tiene nello zaino una memoria che prende spunto dalle parole di un vecchio «bramino»: Guardate i frutti del fico… per parlare dell’educazione a sentirsi, a percepirsi, per ascoltare la voce del fiume e non trovarsi adulti, contratti e induriti, con il respiro corto.
Conclude il monografico Mirca Minozzi con Divino linguaggio primordiale. Voce di bimbo che non parla, che guarda con amore e pudore nel mondo misterioso di un’infanzia diversamente abile, che fatica a raggiungere un linguaggio comune, ma conserva per nostra memoria una lingua che noi avremmo dimenticato.
E veniamo al confronto delle scritture, per scoprire il significato di responsabilità attraverso la saggezza di un linguaggio che supera la nostra sapienza e ci introduce nel mistero e nella sua voce. Yarona Pinhas, Hamza R. Piccardo e Carlo Broccardo ci prendono per mano e ci illustrano la parola, che è risposta consapevole e grata a Dio e all’uomo.
Adesso puoi fermarti, sederti all’angolo dei libri, mentre fuori batte la canicola o soffia il vento e i bambini terrorizza il tuono coi lampi e lo scrosciar della pioggia.
Un moscone batte la testa contro il vetro, ancora chiuso, apro la finestra sul sole che risplende dietro il monte in controluce, mentre incedono solenni le rubriche.
Mario Bertin in esodi racconta di don Luigi di Liegro, cappellano di sua Santità, monsignore degli esclusi: il suo impegno per la giustizia era parte integrante dell’evangelizzazione.
Segue Fulvio Cortese che in Etica pubblica e imparzialità dell’amministrazione illustra le regole dell’onestà nell’ambito della pubblica amministrazione, che i pubblici impiegati sono tenuti a svolgere con disciplina e onore, nel servizio della nazione, che è il bene comune.
Per interculture Arnaldo De Vidi in Globalizzazione del denaro e governi folclorici stigmatizza le piccole nostalgie, che pullulano sotto l’ombra protettiva del grande impero americano e paralizzano lo sguardo sul breve orizzonte nasale.
La luce ormai si diffonde ovunque, ma è marcata la figura che Egidio Cardini ci offre in Basilio non cade mai, dove ci racconta l’angustia di vedere un uomo segnato dalla malasorte, in balia del bene e del male degli uomini, sembra precipiti come in un mare in tempesta e sempre di nuovo ritto e pendente sulla destra, come uno sciancato.
Siamo al crepuscolo del quotidiano e Giovanni Realdi nel pianoterra Lune la fune, marte le scarpe,… venere la cenere sa ritmare il calendario di una settimana normale come le altre e diversa: la bici che dribbla sul corteo, una telefonata informativa da casa, la firma su di un libro nella dipartita dello scrittore Luigi Meneghello, le siorette con la borsa della spesa in piazza.
Concludono la cronaca del cronista disatteso e due semplici pennellate a descrivere le foto drammatiche di Matteo Montanari per Sarajevo e Srebrenica.