La fraternità cosmica di Francesco d’Assisi

di Bertin Mario

Tutti noi conosciamo la storia. In una fredda mattina di marzo 1206, il ventiquattrenne Francesco d’Assisi, citato dal padre a comparire dinanzi al vescovo della città con l’accusa di sperperare i suoi beni per darli ai poveri, si spoglia di ogni cosa, restituendo al padre denaro e vestiti, con queste parole: «Udite tutti e intendete; fino a ora ho chiamato Padre mio Pietro di Bernardone; ma perché ho fatto proposito di servire a Dio, gli rendo la pecunia, per la quale era turbato, e inoltre tutti li vestimenti che ebbi del suo, volendo da qui innanzi dire: Padre nostro che sei nei cieli».

Quello narrato dalla Leggenda dei tre compagni è un evento fondativo che segna l’origine di una vita nuova, in cui Francesco, rifiutando la paternità umana di Pietro di Bernardone e riconoscendo primariamente la paternità ontologica di Dio, colloca su un piano diverso dal precedente la sua esistenza. La scelta di Francesco è caratterizzata dal riconoscimento di una fraternità cosmica fondata sulla comune condizione di figliolanza da un unico padre, sulla universale condizione di creature. Non è causale che nel racconto della conversione che abbiamo citato si passi dal «Padre mio Pietro di Bernardone» al «Padre nostro che sei nei cieli», che si passi da una prospettiva individuale a una visione che accomuna tutti gli esseri esistenti. Da quel momento in avanti, per qualificare i rapporti interpersonali, Francesco non userà più categorie paterne, ma categorie materne, riservando quelle paterne soltanto al rapporto che lega la creatura al Creatore.

La fraternità come stato dell’essere

La fraternità che ha come fondamento l’atto creatore è una fraternità cosmica. Come l’atto creatore essa si produce a ogni istante e consente a Francesco di chiamare fratello non soltanto ogni uomo, ma il lupo e gli uccelli, l’acqua pura, il sole e le stelle, l’amico e il brigante…

Più nulla – non la diversità di religione né di condizione sociale, neppure la malvagità e la violenza – riveste un potere escludente rispetto al riconoscimento in ognuno e in ogni cosa di un fratello in senso reale, come tiene e sottolineare il suo primo biografo. Francesco ama il sole, ma anche «l’aere et nubilo et omne tempo». Egli loda l’Altissimo assieme a ogni creatura. Al pari di ogni creatura, rifiutando le gerarchie così care alla filosofia e alla teologia medievali.

La fratellanza universale è fondativa e originaria non nell’ordine temporale, ma perché è il modo di «rispondere all’origine» direbbe Roberto Mancini, di realizzare nel senso più pieno il proprio essere, la propria umanità. Inoltre, non nascendo dalla razza, dal sesso, dalla religione, ma dalla comune condizione di creature, la fratellanza non è una categoria che circoscrive, che divide. Non è una categoria violenta. È una categoria che include. Essa descrive una pratica di armonia e di pace. È uno stato d’essere, uno stato dell’essere. Per Francesco è l’unico stato di ben-essere, l’unico stato che consente di star bene insieme tra gli uomini e con le cose fuori da ogni condizionamento culturale, religioso, storico… È l’ordine della realtà.

La fraternità come obbedienza vicendevole

Espressione concreta della fraternità è per Francesco la «reciproca obbedienza». Nella prima Regola – quella che si ritiene rispecchi più fedelmente il suo pensiero – egli scrive che i frati non devono avere «alcun potere o dominio, soprattutto fra di loro», ma «che fra loro chi vorrà essere maggiore sia loro ministro e servo». Essi devono «obbedirsi vicendevolmente», e la loro forma di vita deve consistere «nella vera obbedienza». E prosegue: «Sappiano che essi sono maledetti fuori dell’obbedienza».

Che cosa è questa vicendevole obbedienza se non l’accoglienza dell’altro, della diversità irriducibile dell’altro, facendo della volontà dell’altro la propria misura di vita, facendo del progetto dell’altro il proprio progetto?

Obbedire (ob-audire) è una dimensione dell’ascolto, e l’ascolto dell’accoglienza. La vera obbedienza – è scritto nelle Ammonizioni – è di «porre» (e cioè di donare) la propria anima (e cioè la totalità di se stessi) per i fratelli, di offrirla da se stessi, spontaneamente, «come fa il buon pastore».

Questo atteggiamento per Francesco deve regolare ogni rapporto tra gli uomini, e dell’uomo con gli animali e l’intero creato. L’inno Lodi delle virtù, da lui composto, si conclude con la lode dell’obbedienza quasi a riassumerle tutte. Vi leggiamo: «La santa obbedienza confonde tutte le volontà carnali e corporali (…) e rende l’uomo soggetto a tutti gli uomini di questo mondo e non soltanto agli uomini ma anche agli animali, alle fiere, così che possano fare di lui quello che vogliono, in quanto sarà loro permesso dal Signore». La visione francescana, dunque, si riassume in un dialogo cosmico, nell’armonia ritrovata del creato.

Il primo biografo di san Francesco, Tommaso da Celano, racconta che ogni volta che i primi compagni si incontravano in qualche luogo o per la strada «erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci, dolci colloqui, sorrisi modesti, aspetto lieto, occhio semplice, animo umile, parlare cortese, risposte gentili, piena umanità nel loro ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio». Queste sono le dimensioni della fraternità francescana. Essa richiede:

la riconduzione dei comportamenti umani all’ordine naturale, in cui tutti hanno il diritto pieno all’esistenza e a esprimersi secondo la loro natura. Lo insegna il racconto del lupo di Gubbio, in cui non è prioritariamente al lupo che si chiede di rispettare la vita degli eugubini, ma agli eugubini di accettare il lupo e di metterlo in condizione di vivere e dunque di non diventare pericoloso;
l’accettazione senza riserve dell’altro, come viene raccontato nell’episodio dei briganti convertiti. Sopra San Sepolcro – narra la Leggenda perugina – vivevano alcuni ladroni che derubavano i passanti. Talvolta essi andavano a chiedere il pane al vicino eremo dei frati, che si dicevano: «Non è bene dare l’elemosina a costoro, che fanno tanto male alla gente». Ed ecco giungere a quel romitorio S. Francesco. Ai frati che gli espongono il loro dilemma, Francesco risponde: «Andate, acquistate del buon pane e del buon vino, portate le provviste ai briganti nella selva dove sono rintanati, e gridate – Fratelli ladroni, venite da noi! Siamo i frati, e vi portiamo del buon pane e del buon vino. Quelli accorreranno all’istante. Voi allora stendete una tovaglia per terra, disponete sopra i pani e il vino, e serviteli con rispetto e buon umore». Francesco non chiede ai briganti la contropartita della conversione, né pone alcuna altra condizione. Essi sono soltanto persone da amare perché – pur restando dei briganti – sono comunque dei fratelli.

Un mondo riconciliato e unito

Riconoscere la libertà dell’altro e accoglierlo nella sua diversità irriducibile, sentirsi convocato al rispetto incondizionato dell’altro e della natura mi sembrano dunque essere le caratteristiche della fraternità francescana.

Per Francesco, tutte le creature escono dallo stesso amore creatore, di cui sono una espressione diversificata. Questa comunità dell’origine fonda la grande fraternità cosmica. La visione francescana di un universo fraterno non è – come dice Leclerc – l’evocazione nostalgica di un paradiso perduto. «Essa costituisce una visione del mondo dominata dal primato della riconciliazione sulla frattura, dell’unità sulla scissione. Questa unità non è da cercare indietro, in un ritorno alle origini, ma nella presenza quotidiana a sé e agli altri». Gli altri, le cose, sono la sola strada per congiungersi a Dio Altissimo, che l’uomo non è degno neppure di «mentovare». Il riferimento fondativo all’origine non va cercato nella profondità del tempo, ma nelle profondità dell’essere, nella natura di ogni creatura. Con gli altri uomini e le cose va ristabilito un dialogo che restituisca loro lo splendore della natura originaria che tutti ci accomuna, fuori di ogni strumentalità, di ogni utilitarismo e condizionamento, ponendoci nudi di fronte a loro come in una nuova nascita, in un incessante nascere.

L’Altissimo allora ci apparirà come il coronamento di questa umile fratellanza con ogni essere, la quale si manifesta conciliando l’uomo con la totalità del suo mistero e una volontà inestinguibile di perdono e di pace. E Dio solo sa quanto di questa pace l’uomo di oggi avverta il bisogno.