C’è una giustizia e io la troverò

di Comitato di Redazione

Una folata di vento apre la finestra e sparge i fogli per la stanza. Questa sera verrà lo spazzacamino, due ore prima del coprifuoco. Raccolgo le carte, poi le metterò in ordine.
Con il controcorrente, Giuseppe Stoppiglia è volato là in alto, in cima alla libreria, un poco in bilico e alla sua età è pericoloso. Nelle sue carte, Tra barbarie e civiltà.
Abbiamo dimenticato Sarajevo, leggo che quando le vittime (dell’emigrazione) diventano i colpevoli, i mercanti di uomini cadono nell’oblio e pietà è morta, allora si può riprendere il cammino dai luoghi dell’abominio.
Le carte del monografico sono volate ovunque e ancora si muovono, si scuotono e premono per avere una collocazione.
Dentro il guscio trovo La crisi dello stato di diritto di Raniero la Valle; scrive che la Costituzione è patrimonio della coscienza collettiva, punto stabile di riferimento, si evolve per evidenziare la conquista di nuovi diritti, e vi si oppone la corsa per l’egemonia politica sulla Terra e per la subdola proposta neoliberista di un mercato sciolto dai lacci e dai lacciuoli.
Segue La costituzione, regola e limite al potere di Andrea Pugiotto, il quale scrive che lo scopo della Carta resta sempre il medesimo: circoscrivere e regolare il potere.
La sua funzione non è quella di coprire un assolutismo democratico; il suo obiettivo è garantire il compromesso tra interessi diversi e tra diverse visioni del mondo.
Continua il monografico Guerra e stato di diritto, di Daniele Lugli; la guerra, accompagnata da edificanti aggettivazioni (da santa a umanitaria), è tornata a essere normale e micidiale strumento della politica e se oggi è la forza che costituisce il diritto, lo Stato è tale se sa imporre il proprio diritto sugli altri.
La rubrica di Fulvio Cortese, fine giurista, dal diritto ai diritti, va a completare il monografico; Fulvio scava, alla ricerca delle radici, tentando di dipanare un quesito a prima vista inestricabile.
Metto in ordine le carte delle scritture a confronto sul castigo, che possiamo chiamare anche colpo d’occhio sull’insieme e sul diverso. Scrive Yarona Pinhas: il giorno in cui il corpo e l’anima si presenteranno davanti al Trono del Giudizio dovremo rendere conto di noi stessi fino al minimo dettaglio. Hamza Roberto Piccardo conclude: il castigo appartiene a Dio, perché Egli è Colui nel Quale giustizia e misericordia si compenetrano. Carlo Broccardo dice che le parole di Gesù nel Giudizio finale: «i malvagi andranno al supplizio eterno», più che una condanna, sono un avvertimento, un preavviso che ha lo scopo di evitare proprio la condanna.
Ora ho sistemato lo schema primario e passo alle rubriche, come sempre vive e sorprendenti.
Raccolgo le carte di Mario Bertin, Sergio Quinzio, l’uomo che ha preso sul serio la parola di Dio e vi leggo che il suo pensiero è complesso, si nutre della teologia biblica, della filosofia ebraica, così feconda nel secolo passato.
Ho tra le mani le pagine d’un poeta, padre Arnaldo De Vidi, che scrive sul caso del papa a Ratisbona, nella rubrica interculture e che sarà nostro ospite gradito nei prossimi numeri della rivista: Benedetto Ratzinger a Regensburg e il dialogo con l’islam. Ma il papa non è un lettore di Madrugada. L’autore rilegge il discorso del papa alla luce della sapienza del lontano Oriente. Ma poi conclude dicendo che forse la porta del dialogo sarà la laicità, intesa come dimensione inclusiva, dove l’ebreo, il buddista, il cristiano, il musulmano, il non credente… si incontrano non con rivendicazioni di appartenenza religiosa ma per la comune umanità.
Sotto il divano si è nascosto Egidio Cardini e bisbiglia, nel piccolo principe, di Giacinto Facchetti, Anima di terzino, cuore di cavaliere, un uomo che ha commosso nella sua morte gli amici dell’Inter e non solo.
Sul pavimento trovo mezze pagine, corpi di articolo senza nome. Sulla sedia con i poggioli le Memorie di un capannone. Alla ricerca di un luogo umano, di Sara Deganello; racconta che se muta l’architettura del paese, è perché cambia la vita, si evolve la produzione, ma gli uomini restano i motori del cambiamento.
Segue il diario minimo di Francesco Monini che, dal letto dei suoi dolori, dove l’ha confinato l’ultimo intervento chirurgico, scrive per chi legge gli avvenimenti salienti dentro parole rotonde e acute.
Numerose le notizie del cronista, poche quelle sensate.
Unica la pagina del commento alle foto di Paolo Arsie Pelanda, fervida, abbinata al contesto delle immagini; ce la regala Gina Zanon, poetessa, scrittrice, che apre e chiude questo numero 64, essendo autrice anche dei versi di copertina.
L’ultima pagina era bianca e ne ho fatto un aereo di carta, che vola in alto, molto in alto, oltre le nubi… ce lo offre la Plastotecnica, ormai all’undicesimo anno di collaborazione e sostegno alla nostra rivista.