L’obbedienza non è più una virtù
Cominciamo come nelle favole. C’era una volta un paese calabrese di nome Riace, sconosciuto al mondo, che di conosciuto, anzi, di famoso, aveva solo il nome, a causa di due straordinarie statue greche ripescate quarant’anni fa nel suo mare. I Bronzi di Riace, dopo un meticoloso restauro, li potete ammirare (a bocca aperta) nel museo archeologico di Reggio Calabria. Intanto Riace è rimasto più povero di prima, un paese spopolato, dissanguato da cinque generazioni di emigrati: un pezzo d’Italia – uno dei tanti nel nostro Sud Interiore e nel nostro Appennino – destinato a scomparire.
A un sindaco di nome Mimmo Lucano, una persona normale – non un intellettuale, o un politico di rango, o un capopopolo – viene un’idea normale, tutt’altro che «rivoluzionaria». Ha visto che anche a Riace arrivavano profughi, disperati, richiedenti asilo. E ha visto diminuire anno dopo anno gli abitanti del paese, le tante case vuote, i campi lasciati andare alla gramigna. Nasce così, dal riempire di vita il vuoto di un paese morente, dall’inversione del circuito tra una (secolare) emigrazione e una dolente (nuova) immigrazione, un modello di accoglienza e integrazione che ha fatto il giro del mondo.
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La rinascita demografica, sociale ed economica di Riace danno ragione al suo sindaco. L’opinione pubblica si è divisa, dimostrando ancora una volta quanto sia attuale la distinzione tra destra e sinistra, tra paura e speranza. Così, in tanti hanno visto in Mimmo Lucano il paladino del riscatto di un sud d’Italia dimenticato e di un sud del mondo in fuga dalla fame e dalle guerre, mentre altri – in tanti anche loro – lo hanno invece additato come un pericoloso sovversivo, uno che agiva fuori dalle leggi, favorendo l’immigrazione clandestina.
Il 2 ottobre, proprio con l’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e abuso d’ufficio, Mimmo Lucano è stato posto agli arresti domiciliari. Il 6 ottobre una grande manifestazione di solidarietà sfila a Riace fin sotto la casa del sindaco. Il 12 ottobre, il Ministro dell’Interno decide di smontare pezzo per pezzo il modello Riace, tagliando tutti i fondi al Comune e sloggiando i «clandestini».
Siamo di fronte al colpo mortale. Se l’esperienza di Riace era ed è un modello di convivenza, il suo azzeramento suona come un monito (o una minaccia) per tutti gli immigrati e per coloro – Chiesa compresa – che in tutta Italia si adoperano per l’accoglienza e l’integrazione. Intanto il magistrato ha revocato gli arresti domiciliari, ma ha imposto al sindaco l’allontanamento da Riace. Un foglio di via, un confino, un esilio, comunque lo si voglia chiamare.
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Non ho dubbi da che parte stare: #iostoconlucano; basta guardarlo in faccia e ascoltare le sue parole: così semplici, così sensate, così protese verso l’aiuto al prossimo in difficoltà.
Ma è vero, «la legge è uguale per tutti», anche per il primo cittadino di un paese dimenticato. Mimmo Lucano ha contravvenuto a qualche legge, norma, regolamento del nostro ordinamento giuridico? Lo stabilirà il tribunale in tre gradi di giudizio, se il caso non verrà archiviato prima. Ma attenzione, non è questo il centro della questione che sta infiammando l’opinione pubblica italiana.
Le scelte, le azioni, tutta la condotta del sindaco di Riace – e Mimmo Lucano l’ha detto e ripetuto in tante interviste, anche su Rai 1 davanti a Fabio Fazio – si ispirano e rispondono a leggi superiori. La nostra Costituzione, in particolare l’articolo 10: «La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica» e alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, ecco l’articolo 1: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». E l’articolo 2: «Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità».
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La lunga citazione questa volta era necessaria. Siamo troppo abituati a nominare distrattamente questi «testi sacri»; siamo perfino disposti ad accennare a un inchino e a batterci il petto, senza capire che non si tratta di una predica, di una raccomandazione morale, ma di leggi vere e proprie, con un contenuto giuridico vincolante. Leggi che stanno sopra, che hanno anche tecnicamente un valore superiore della miriade di leggi, norme e circolari ministeriali che regolano la vita dei cittadini di ogni Stato, compreso di quello italiano.
Mimmo Lucano quindi, se ha contravvenuto a leggi ingiuste e anticostituzionali, ha fatto cioè un atto di «disobbedienza civile» o, come la chiamava Mahatma Gandhi, di «resistenza civile». Se Pietro Pinna – il primo obiettore di coscienza – non si fosse rifiutato di compiere il servizio di leva obbligatorio (facendosi per questo un bel po’ di galera) o se Marco Pannella non avesse lottato «con armi anticonvenzionali» per avere il diritto al divorzio, non avremmo avuto né la legge sul servizio civile né la legge sul divorzio.
Se è vero che, quando ce lo detta la coscienza, «l’obbedienza non è più una virtù», il disobbediente Lucano continua a indicarci la difficile strada dell’accoglienza, della solidarietà, della convivenza interetnica.
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Ho fatto una prova. Mi sono iscritto ad alcuni gruppi Facebook promossi da questo o quel militante di questa o quella corrente del PD. Impressioni? Molto peggio di una curva sud: non ho mai letto tanti insulti incrociati verso i compagni di banco: contro Zingaretti, contro Renzi, Calenda, Minniti, Martina… Confido nella vostra immaginazione ed evito il copia-incolla, sarebbe una inutile cattiveria.
Non sono mai stato iscritto al partito, né prima, quando c’era ancora il grande Partito Comunista Italiano, né dopo, quando è iniziata la fase transformer: PdS… DS… PD. Ammetto, da giovanissimo mi piaceva Berlinguer – come facevi a non volergli bene? – ma non aderivo né simpatizzavo per le sue scelte politiche. Molta meno simpatia ho provato per la lunga sfilza di segretari e reggenti che, di sconfitta in sconfitta, si sono passati il testimone negli ultimi decenni.
Così sto alla finestra: guardo, ascolto, leggo, e mi assale una gran tristezza. Con in tasca la mia tessera di non-simpatizzante, assisto allibito a una scena apocalittica. Un quadretto dantesco. All’interno c’è una lotta confusa e furibonda che impegna tanti diavoletti: ex segretari, capicorrente, padri nobili, ex volti nuovi, candidati o quasi candidati. Alle loro spalle, attivissime sui social, le sparute truppe dei rispettivi tifosi, l’un contro l’altro armati. Intanto, sopra il girone infernale, sulla testa dei rissosi diavoletti, piove una grandinata incessante (da destra ma anche da sinistra) di articoli, commenti, lezioncine, appelli, de profundis, lazzi, ingiurie.
È vero, tutto al mondo ha una fine, anche un partito naturalmente, ma l’implosione del Partito Democratico ha qualcosa di astronomico. È come essere a due passi da un buco nero che si mangia tutto quello che gli sta intorno. O assistere a una reazione nucleare a catena che nessuno è più in grado di fermare. O – terza metafora, tanto per farmi capire – stare nel mezzo di una prateria americana e vedere arrivare il vortice nero del ciclone che spazzerà via ogni cosa o persona. Te compreso. Anche se non c’entri nulla e passavi di lì per caso.
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Sono in auto, ascolto la radio, stanno intervistando Massimo Santacroce. Che non è un opinion leader, ma una persona comune, come me e come voi; a cui un bel giorno è venuta un’idea: ha scritto una petizione e l’ha messa sulla piattaforma www.change. org. La petizione si intitola #TassailFumo per finanziare misure anticancro e propone di aumentare di 80 centesimi il prezzo di ogni pacchetto di sigarette. Da questa semplice misura (salutare anche se impopolare) lo Stato italiano ricaverebbe la bellezza di 2 miliardi e 700 milioni di euro.
L’iniziativa ha avuto un insperato successo. In tre settimane la mozione di Massimo Santacroce ha raggiunto in rete le 60.000 firme. Ma io, da fumatore e tabagista quale sono, voglio rilanciare. Perché il governo, sempre alla ricerca di soldi, il prezzo del tabacco non lo raddoppia? Se ogni pacchetto di sigarette costasse 9 o 10 euro (come in Inghilterra, come in Francia) lo Stato potrebbe incassare 15 miliardi di euro in più ogni anno. O qualcosina in meno perché qualche fumatore, io compreso, sarebbe invogliato a smettere.
E perché – sempre per finanziare la lotta anticancro, ma anche il contrasto alla povertà, la spesa per la scuola, la ricerca, il lavoro dignitoso – a nessuno al governo (quello presente e quelli passati) è venuto in mente di tagliare di netto le spese militari? In armi, missili, cannoni, truppe e caserme, l’Italia spende 25 miliardi all’anno, l’1,4% del Pil, una assoluta enormità. E una vergogna.
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Molti insultano Mimmo Lucano. Molti lo acclamano. Tanti sindaci – anche il primo cittadino di Napoli De Magistris – lo invitano, visto che, per ordine del magistrato non può tornare a casa sua. Alcuni lo corteggiano, lo blandiscono, gli fanno proposte. Probabilmente qualcuno gli ha già assicurato un posto al Parlamento Europeo.
Spero che per Mimmo Lucano non sia iniziata la persecuzione – anche se il Ministro dell’Interno sembra deciso a «ruspare» Riace, dare un esempio, «colpire uno per colpire tutti» – ma quello che è certo è che d’ora in poi per il sindaco più famoso d’Italia iniziano le tentazioni. Saprà resistere a chi già lo ha incoronato nuovo eroe della sinistra alternativa? A chi lo vuole capolista di qualche formazione o alleanza elettorale? Riuscirà a dire di no a chi, nel Partito Democratico, vede in lui un’ancora di salvezza per evitare un altro naufragio?
Le luci dei riflettori hanno fatto perdere la testa a tanti. Io spero che Mimmo Lucano rimanga quello che è ora, il sindaco di un piccolo paese calabrese che non vuole arrendersi. Se riuscirà a resistere alle tentazioni, troverà molte mani disposte ad aiutarlo.