Finché ci sarà un Sud… Il senso della storia
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo
in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel
vostro senso, io non ho patria e reclamo il
diritto di dividere il mondo in diseredati
ed oppressi da un lato, privilegiati ed oppressori
dall’altro”.
[Don Milani, Lettera ai cappellani militari]
“Hanno strappato i nostri frutti,
hanno tagliano i nostri rami,
hanno bruciato il nostro tronco,
ma non hanno potuto uccidere
le nostre radici”.
[Popolo Vuh]
Aprirsi ad un nuovo ascolto
Talvolta mi capita di restare silenzioso in una riunione di amici, di trovarmi incapace di pensare, di avvertire un contatto con le parole ascoltate.
Così pure mi accade di restare paralizzato di fronte ad un foglio bianco, senza riuscire ad esprimere idee, sensazioni, ricordi… A volte, devo ammetterlo, sono come assente di fronte agli accadimenti del vivere, anche a quelli personali; è come se il mio cuore fuggisse e rifiutasse di esporsi agli eventi. Talvolta, però, quando dentro di me l’agitazione (e la paura) si acquietano un po’ e ritrovo un germoglio di fiducia, allora gli avvenimenti, la concretezza del vivere sono più liberi di risuonare e il foglio bianco mi appare meno inquietante… e inizia il dialogo.
Affinché questo accada, è forse indispensabile che accetti la mortificazione del silenzio, l’aridità, il non senso dell’assenza, il dolore della mia pochezza: paradossalmente sono proprio questi che possono aprire ad un nuovo ascolto.
Il bisogno di sognare
Un poeta peruviano, mentre era in esilio in Messico per le sue idee sociali, scrisse una lettera alla sorella più piccola, in cui cercava di spiegarle perché aveva provocato tanto dolore a sua madre. Le diceva due cose che mi sembrano importanti: “Ho dovuto amare le rose e le maree di giugno, ed allo stesso tempo la giustizia: ho dovuto amare il bello ed il giusto”.
I poveri hanno bisogno anche di gesti gratuiti… sia nostri, sia quelli che nascono tra di loro.
Il divario tra ricchi e poveri si è approfondito, ma la realtà più grave è che oggi i potenti del mondo cercano di rubare ai popoli del Sud il loro diritto all’utopia, al sogno, al progetto di una società più giusta ed ugualitaria.
Mi ricordo del profeta Gioele, quando, descrivendo la terribile situazione del popolo ebreo, diceva: “Stava per perdere l’allegria”. Se un popolo perde l’allegria, tutto è finito.
Dal moderno al postmoderno…
La cultura in cui tutti noi siamo cresciuti e abbiamo trascorso la nostra giovinezza, è stata la cultura moderna, detta anche della secolarizzazione. Una cultura che poneva molta fiducia nell’uomo, nella sua razionalità, nella sua autonomia, nella sua capacità di risolvere tutti i problemi dell’umanità con l’aiuto della tecnica. Un uomo guidato da grandi ideali, utopie e ideologie ben definite che si fondavano su delle verità assolute di libertà, di progresso, di sviluppo e di benessere per tutti.
Ci troviamo, però, ora, ad essere sempre più immersi in una cultura cosiddetta postmoderna, nata in gran parte in reazione agli eccessi e alle contraddizioni della cultura moderna. Dopo aver sperimentato la violenza e la spersonalizzazione che può causare ogni sistema e ogni ideologia totalitaria, sostenuta da una razionalità sempre più scollata dalla vita reale e che prende sempre meno in considerazione la persona e le relazioni interpersonali; dopo aver constatato che i sogni di un progresso tecnico senza limiti si stanno ritorcendo negativamente, in alcuni casi in modo catastrofico sulla persona, sulla natura e sull’umanità presente e futura, la cultura postmoderna riposa piuttosto sull’immediatezza (non si cerca più tanto lontano), sull’individualismo (non si guarda più tanto attorno), sull’irrazionale, sulla sensazione del momento (“Va’ dove ti porta il cuore”), sulla verità del momento, su un impegno preciso del momento, senza mirare né troppo in alto, né troppo lontano e senza arrischiarsi in compromessi a lungo termine (matrimonio o vita religiosa).
… alla frammentazione
La cultura postmoderna porta in sé un rifiuto viscerale di tutto ciò che si presenta come assoluto, normativo per tutti, coercitivo e uniformante, a costo di incorrere in una frammentazione detta anche atomizzazione della vita, della conoscenza e della morale in cui ciascuno diventa il criterio della verità stessa. Una frammentazione in cui ogni disciplina come la filosofia, l’etica, l’economia, la psicologia, l’informatica, la medicina, la genetica si sviluppano automaticamente secondo la propria verità. Una frammentazione che rende schizofrenici e che incute un grande senso di smarrimento, di precarietà e d’insicurezza che si cerca di appagare invano ricorrendo al supermercato di sempre nuovi desideri e soddisfazioni immediate, incentivate dai mass media e offerte dalla società dei consumi.
D’altra parte questa cultura postmoderna si mostra profondamente rispettosa di ciò che è originale, attenta al vissuto e a tutto ciò che viene sperimentato personalmente; attenta al singolo individuo, alla sua storia personale. Si mostra anche gelosa della proprietà intima, del proprio buon vivere e star bene a tutti i livelli: fisico, psichico, spirituale, a costo di ricorrere alle più svariate terapie esotiche, nonché a stregoni, oroscopi, divinazioni ed astrologie di ogni tipo.
Perfino la sfera religiosa e spirituale, messa fra parentesi dalla secolarizzazione, viene ora recuperata, anche se ridotta ad una dimensione personale, intimistica, gratificante, con una chiara propensione al miracolismo, al sensazionale, al magico e all’esoterico. Una comprova si può trovare osservando i titoli dei libri esposti nelle vetrine delle librerie.
L’intuizione di Macondo
Sotto la spinta di questa frammentazione, che rompeva pure le nostre idealità sessantottine, nell’estate del 1988, prendeva consistenza l’intuizione Macondo.
Abbiamo accettato di aprire una sfida. Attingendo dai valori condivisi della nostra cultura, ci ha affascinato l’idea di costruire una laicità del messaggio cristiano e la promozione di un rapporto di scambio, alla pari, con altri popoli e culture.
Per aggredire un orizzonte così ampio, il nostro tentativo si è sviluppato su tre percorsi:
1 – gettare un ponte fra testimonianza e utopia;
2 – l’incontro: crocevia di esperienze;
3 – il Sud o i Sud.
Un ponte fra testimonianza e utopia
La testimonianza è un dar conto di sé nel mondo, come presa di posizione di fronte alla realtà.
Lo strumento prescelto per testimoniare è stato quello del processo educativo, della parola scritta, della conoscenza diretta dell’altro attraverso l’incontro.
Ciò ha prodotto un’attività formativa tesa all’obiettivo di trasformare la conoscenza in coscienza, di dar vita cioè, attraverso la parola, a ipotesi in cui i dati dell’esperienza si mutano in elementi di consapevolezza interiore. Consapevolezza da parte delle persone di acquistare coscienza del loro rapporto con gli altri come un dato fondamentale; riconoscendo, del resto, che la vera natura di questo rapporto non può che condurre alla fondazione di una vita sociale, basata sulla giustizia che ha come fine l’amore… e non solo. Ma anche a ciò che preme di più all’immensa maggioranza degli oppressi: il riconoscimento della loro dignità, la certezza del loro diritto, la speranza del loro riscatto in una conquistata fratellanza.
L’utopia è invece ricerca della verità: una verità che è collocata nel futuro e, in quanto utopica, in qualcosa che è sempre “oltre” il dato di fatto reale.
L’utopia è anche rifugio dal desiderio senza oggetto immediato, che rasenta la pazzia. Intendo verità pazze quelle del vangelo, che sorreggono la chiamata di Cristo: “Lascia il padre e la madre e seguimi”, in contrapposizione ai piccoli precetti che regolano le esistenze cosiddette ragionevoli e che si possono riassumere nel consiglio dominante: “Pensa ai fatti tuoi, non ti impicciare, non cercare guai”.
L’incontro: crocevia di esperienze
Il viaggiare ha la funzione di conoscere il valore degli uomini, ma è anche incontro-scontro di culture diverse, scoperta delle dimensioni dell’identità nel rispecchiamento con l’alterità, accettazione della propria singolare diversità, percorso per giungere alla relazione come ad una comunione delle differenze.
Il viaggio è ricerca delle proprie radici nei termini di una dinamicità delle origini, dove ha trovato forma il nostro nucleo vitale… A. Camus scriveva: “Il viaggio è come una scienza più grande e più grave: ci riporta a noi stessi”. Viaggiando e imparando a viaggiare, apprenderemo la fondamentale pluralità dell’io, le diverse tappe che costituiscono i vari approdi del nostro nomadismo interno; saremo in grado di attraversare le penombre, di entrare nell’oscurità, di trovare il coraggio di non coprire gli specchi, di ascoltare se stessi, di andare verso l’altrove.
E se l’esistenza è soprattutto un cammino, occorrerà in primo luogo riconquistare il senso delle stagioni della vita, la pedagogia delle generazioni, sperimentando il racconto di sé.
Il Sud o i Sud
Il mondo, visto dalla parte dei popoli, è come formato da radici su cui si alimenta la liberazione; radici che cercano il diritto di esistere, almeno per il tempo di prendere la parola e di descrivere e sperimentare uno o due sogni. Il nemico delle radici che vogliono divenire popolo è l’assenza della storia. Il nord del mondo l’ha sequestrata per sé: imponendo le sue definizioni, le sue regole, i suoi indicatori, i suoi confini. Entra nella storia chi ha la carta d’identità della compatibilità.
I popoli, come emigranti illegali, zingari, clandestini, apolidi, possono essere accettati solo se trovano protettori, non importa di che colore; devono rispettare la preesistenza normativa del Nord (o del centro, che è una traduzione aggiornata e sottile del più tradizionale nord, perché include tutti gli spezzoni di nord che si impiantano nei tanti sud di tutti i continenti).
Questo sequestro della storia da parte del Nord ha reso la storia stessa molto ripetitiva, tesa fra una recessione economica e l’altra, tra un equilibrio armato e l’altro.
Proponiamo la tesi che fare politica al Nord ha senso oggi, forse, solo se significa raccontare la storia del mondo dalla parte del Sud (o delle periferie). Non tanto per dare risonanza di solidarietà (o, almeno, non solo), ma soprattutto per ritrovare le dimensioni reali della storia e viverla non accontentandosi dei fumetti che ne propone il nord. È necessario, per lungo tempo, essere sbilanciati con loro, perché si abbia, insieme, la possibilità di scrivere la storia non ancora scritta.
Per sopravvivere a millenni
Il Sud con la sua scuola, porta con sé la memoria ed il segno della diversità, della dialettica, della sperimentazione, dell’autonomia. Il suo modello chiede di includere e riconoscere il qualitativo, le speranze, gli errori. Vuole apprendere e usare indicatori che abbiano a che fare con la vita e non solo con le banche. Per questo vorremmo essere portatori di un’intuizione, che può avere forme infinitamente diverse, ma nei suoi termini essenziali si possa riformulare così: “Ci piacerebbe di più un mondo nel quale il diritto alla felicità sia di tutti”.
La speranza va più lontana dell’attesa e perciò guai a chi si ferma all’attesa, dove l’avvenire viene verso di me, ma io non vado verso di lui. La speranza non dice cosa posso attendere da questo ambiente, ma cosa posso fare al di là di questo ambiente.
Scriveva Ignazio Silone: “La scienza può cambiare ogni trenta o cinquant’anni, mentre l’utopia può sopravvivere a millenni; può durare quanto l’inquietudine del corpo umano”.
Pove del Grappa, settembre 1998