Se Tex Willer vincesse alle elezioni

di Monini Francesco

In una scena già famosa del suo ultimo film, Nanni Moretti si avvolge letteralmente dentro un enorme giornale. Un “giornalone” formato da un collage di “tutti i giornali”: perché i giornali sono tutti uguali, perché dicono le stesse cose, perché raccontano le stesse bugie, perché raccontano tutto e non dicono niente.
Aprite il giornale, accendete il televisore: Carolina di Monaco ha trovato un nuovo amore, il governo ha varato il Dpef, in Cina è nato un bimbo con due teste, Berlusconi ha detto che Prodi è un bugiardo, a Rio hanno ammazzato sei meninos de rua, Valeria Marini presenta il suo nuovo film (dice che adesso si sente una vera attrice), la borsa vola, un balordo ha sparato alla mamma perché non gli dava i soldi per la roba, la Juve conquista la quarta finale, Di Caprio è un alcolizzato, la Baraldini resta in cella, anche Sofri è in cella e lo svegliano ogni ora per paura che si suicidi, Bill Gates è l’uomo più ricco del mondo, il Papa andrà a Gerusalemme, file di sei ore per visitare gli Uffizi, torna il sereno ma c’è nebbia in Valpadana.
Accade tutto. E tutto accade nel medesimo istante. E tutto accade nello stesso luogo: nella nostra camera da pranzo dove troneggia il Sony ventotto pollici.
Ci hanno anche cercato di spiegare come funziona la faccenda della “modernità”: che vuol dire velocità, contemporaneità, simultaneità: che vuol dire sentirsi in ogni luogo di un mondo diventato piccolissimo, e, nello stesso tempo, vivere sulla propria pelle l’esperienza dello spaesamento.
Ma cosa accade veramente? Cosa rimane dopo l’ondata dell’informazione che ci sommerge? Nulla, perché un’altra onda sopraggiunge.

 


 

Ho pensato di tenere un diario. Piccolo però. Un quadernetto otto per quindici, come la moleskine di Hemingway e di Chatwin.
Per salvare qualcosa dalle onde dell’incessante tempesta informativa: un legnetto, una bottiglia, la gamba spaiata di una bambola di plastica. Per ricordare, per tenere a mente, per fare esercizio della memoria – anche quella, la memoria, non sembra avere molto futuro nel nostro oggi. Un diario minimo come antidoto alla passività.
Non sono molto esperto, non ho mai tenuto un diario da ragazzo. Ma ho adottato tre criteri guida. Sarà un diario senza lungaggini; non sono tante le cose importanti, e per ricordarle non c’è bisogno di un milione di parole.
Sarà un diario senza gerarchie – mi permetterò perfino di non parlare dell’Euro – perché fino a prova contraria la morte di Napoleone ha lo stesso peso specifico della morte della sua balia.
Sarà un diario sincero.
Sarà, insomma, un diario perfetto. Con un unico, ineliminabile difetto. Sarà il “mio” diario, non quello di ognuno di voi che avete la pazienza di leggermi. Ma anche a questo c’è rimedio. Quello che vi serve è una bic e un quadernetto.

 


 

Nel 1948 la Democrazia Cristiana di De Gasperi ha vinto le elezioni. Cosa sarebbe successo se avesse vinto Togliatti? Da questo interrogativo – che prescinde dal dato universalmente riconosciuto che la storia non si fa con i se – si è aperto un annoiante dibattito che è straripato su tutte le pagine culturali della stampa nostrana.
Sempre nel 1948, Bonelli e Caleppini partorivano Tex Willer, il celeberrimo ranger nonché capo Navajo con il nome di Aquila della notte, solo da pochi anni insidiato dal tormentato Dylan Dog.
Pochi si sono ricordati dei cinquant’anni di Tex, ed è un peccato. Perché Tex già nel ’48, quando John Waine ammazzava 13 indiani con un colpo solo e i comunisti mangiavano i bambini, “stava in mezzo”. Sceriffo bianco e amico degli indiani. Diffidando assai dalla Caricaaa!!! del Settimo cavalleggeri. Esercitava il dubbio. Sapeva insomma, o almeno intuiva, che i buoni non sono sempre quelli dalla nostra parte…
Lo so che la storia non si fa con i se e con i ma. Ma provate a pensare se nel 1948 le elezioni le avesse vinte Tex Willer.

 


 

Il figlio dell’ex presidente degli Stati Uniti George Bush fa il governatore del Texas. Per ora, perché come ogni buon figliolo ha la speranza, l’aspirazione, l’ossessione di diventare bravo come papà.
Per diventare presidente degli Stati Uniti, o almeno provarci, si possono scegliere diverse strategie. Bush Junior ha deciso di puntare sulla pena di morte. Ogni settimana ne ammazza tre o quattro. Non di persona: è lo stato sovrano del Texas che ordina al boia del carcere di Huntsville di dare corrente o iniettare il veleno. Ma è Bush che ci fa il suo guadagno. Ogni giorno che passa l’indice della sua popolarità cresce.
E di notte? Sembra che non abbia problemi a prendere sonno.

 


 

Riusciremo ad entrare in Europa? Per almeno due anni questo ritornello ci ha perforato i timpani. Da un mesetto siamo passati dall’interrogativo all’esclamativo: entreremo in Europa!
Sissignori che entreremo, e a testa alta!
Nonostante, unico neo su cui tedeschi e olandesi continuano a battere, il nostro mostruoso debito pubblico.
Però, dice Ciampi, la percentuale del debito sul Pil sta scendendo. Lentissimamente, ma scende. E poi, dice sempre Ciampi, lo stato italiano è indebitato con gli italiani (bot, cct e compagnia bella). Per cui, conclude Ciampi, la cosa la sbrighiamo in famiglia.
Tutt’altro discorso per l’Africa. Che non solo non entrerà mai in Europa – e questo sarebbe il meno – ma non ce la farà neppure a vincere la fame.
Ho ritagliato l’articoletto a pagina 23 di Repubblica (mica è una notizia di prima pagina) intitolato: “L’Africa soffocata dal debito estero”.
Nel suo recente tour africano Bill Clinton si è impegnato a condonare un milione e quattrocentomila dollari dall’ammontare dei debiti degli stati africani. La classica goccia nell’oceano, visto che – per fare un esempio – solo il Congo (ex Zaire) ha un debito estero di oltre 12 milioni di dollari, pari al 454 per cento del Pil. Che significa che, per ogni banana che produce, dovrebbe cedere il valore di quattro banane e mezza per pagare il debito.
Ma dove le trova queste altre quattro banane e mezza? E chi fa il prezzo delle banane? E per quale plausibile e comprensibile ragione l’Africa fatta schiava, colonizzata, depredata, occupata dalle multinazionali, spremuta come un limone dovrebbe dei soldi al Primo Mondo?