Una verità non ancora ristabilita
La necessità morale di non tacere
“Mi sento schiacciato dalle dimensioni del male che vedo dilagare per la Terra, devastare persone e continenti, soffocarli in un’ingiustizia che, alla fine, è stupida irrazionalità, suicidio degli stessi mandanti”. È una sera di “comunità” riunita intorno ad un teologo di grande intelligenza e grande fede; e un amico si lascia andare a questo sfogo. Dice perfino di essere disperato, ma io so bene che non è vero, o è cosa momentanea: lui è persona che lavora, e molto, testardamente, animando gruppi che riflettono sui problemi planetari e cercano di esprimere non soltanto a parole ma in atti positivi la propria obiezione di coscienza alla violenza del sistema in cui viviamo.
Disperazione, dunque, no: ma accade – e forse l’inverno con la mestizia delle sue grigie mattine e dei suoi lunghi crepuscoli propizia questi sentimenti – che le nostre speranze, la nostra stessa necessità morale di non tacere, di non rimanere inerti si lamentino talvolta (e anzi spesso) come bambini malati. Ci soverchiano il peso della nostra inadeguatezza e quella che ci pare solitudine o comunque esiguità della cerchia di chi pensa e sente come noi. Molti, fra quelli che osiamo dirci cristiani, vorremmo poterci lasciare andare, sull’onda delle new ages, a rasserenanti visioni interiori, a scrutare dentro di noi, cercando la pace dell’anima e l’armonia del Creato, piuttosto che guardare agli orizzonti tormentosi dell’umanità; ci incanta improvvisamente il sorriso estatico del Buddha, così diverso dal volto contratto del Crocifisso e dalla luce del Risorto, che si presenta portando ancora, come suo segno distintivo e probatorio, le stimmate della passione.
E tuttavia non riusciamo ad annullare neppure per un istante le grida di dolore che ci raggiungono; e di questa impossibilità, che ci è stata data da chissà quale sorte o volere, acutamente soffriamo.
Le Abuelas de la Plaza del Mayo
L’asperità del nostro cammino ha però, di quando in quando, luoghi in cui possiamo contemplare il sorriso più meraviglioso e straordinario che sia dato vedere: quello di persone che, artigliate e lacerate da terribili tragedie, non si sono lasciate rinchiudere nel buio di un dolore individuale, privato, ed anzi hanno trasformato i loro affetti straziati in una forza interiore che consente loro di lottare insieme, in una prospettiva che pare interminabile, a favore della giustizia, della verità e della dignità dell’uomo.
Ho passato alcune ore, nei giorni scorsi, con due Abuelas de la Plaza del Mayo, le eroiche nonne che cercano ancora i nipoti finiti nelle mani dei carnefici delle loro figlie. Dapprima cercavano dei bambini, con un tuffo al cuore ogni volta che vedevano un piccino che gli sembrava somigliare a loro stesse o alla madre desaparecida. Oggi cercano ragazzi fra i 18 e i 22 anni: tanto tempo è passato, i nipoti-ombra sono cresciuti, loro continuano a guardarsi intorno, a chiedere, a investigare. Delle 230 creature partorite sul pavimento di luride celle o in infermerie situate accanto alle camere di tortura dalle quali arrivava l’urlo di altre donne, in ospedali militari in cui le gestanti venivano portate con il volto coperto da un cappuccio e le manette ai polsi, le nonne ne hanno rintracciato 8, morte; ma anche 31 vive, che hanno strappato alle famiglie dei predatori e, con l’aiuto di straordinari psicologi, reinserito nella pienezza della propria identità e amorosamente recuperate agli affetti della loro vera famiglia, mentre la sorte di altre 6 si discute in questo momento in tribunale.
Le nonne, naturalmente, non sono spietate, non esigono da proprietarie: 13 dei loro nipoti li hanno lasciati alle famiglie adottive risultate in buona fede e che li amavano essendone riamati; ma si sono sedute accanto a loro e hanno mostrato loro le fotografie della loro giovane madre che era così bella e coraggiosa e li aveva desiderati con tanto amore; e adesso forse è sepolta in qualche cimitero clandestino o forse è stata gettata nell’Oceano; e, nel dolore che li faceva “veri” li hanno arricchiti di nuovi affetti.
Le nonne sono convinte (come gli psicologi che le aiutano) che anche quelli che hanno trovato un’altra famiglia hanno “diritto alla propria storia”: molti problemi nati dalla terribile esperienza della tortura in gravidanza e delle perdita della madre sin dalle prime ore di vita, soltanto così possono essere sanati.
Sole anche oggi
Le Abuelas, come le Madres, hanno sperimentato all’epoca della dittatura una profonda, angosciosa solitudine: non soltanto i vecchi amici di un tempo ma persino i parenti facevano il vuoto intorno a loro, per paura o per quel dannato buon senso borghese per cui se accade qualcosa a qualcuno “qualche motivo deve pur esserci”, e non ha importanza che sia una feroce dittatura a governare.
Polizia e magistratura si prostituirono ai magistrati. I giornalisti che osarono dire qualcosa scomparvero o furono imprigionati. I vescovi distolsero gli occhi e soltanto oggi balbettano qualche richiesta di perdono.
Non ebbe (e non ha) occhi né orecchi, tanto meno voce, l’influente comunità ebraica, pur colpita in alcuni suoi giovani. Intorno alle Abuelas e alle Madres, l’Argentina strinse una morsa di ghiaccio; e alcune di esse ebbero, per mano dei militari, la stessa sorte delle figlie e dei figli. Abuelas e Madres sono sole anche oggi, in patria, accusate da molti (e dallo stesso governo) di impedire una pacificazione del Paese, quasi che una vera pace possa nascere da una giustizia violata: dalla mancanza di ogni sanzione per chi ha seviziato e massacrato 30 mila persone, da un dolore che in nessun modo è stato compreso e confortato dalla collettività, da una verità non ancora ristabilita.
Un passato che deve essere
risarcito per diventare futuro
Queste accuse, quel “buon senso”, il sistema di ferro e di terrore instaurato dalla Giunta militare apparvero e appaiono alle Abuelas una grande macchina di violenza alla quale era ed è impossibile pensare di porre ostacoli. Tuttavia esse continuano da vent’anni la loro lotta e missione. Penso che questo avvenga perché esse sentono profondissimamente il bisogno di ritrovare il nipote che fu loro rapito, non soltanto per fedeltà alle figlie o alle nuore, non soltanto alla creatura che le perpetua, ma anche per avere finalmente la pace interiore che deriva dal raggiungimento, nell’amore, della propria autenticità. Cercano, insieme con il nipote o la nipote, una parte ancora segreta e dolente di loro stesse, un passato che deve essere risarcito per diventare futuro.
Il mio amico “disperato” ed io e molti altri miei amici ed amiche sentiamo che è anche da questa necessità di trovare noi stessi (e da esempi come quello delle Abuelas) che nasce in noi la necessità dell’impegno. Le vecchie signore argentine (alcune non poi tanto vecchie, la dittatura è cosa di ieri) esprimono una forza che dobbiamo imparare perché tutti abbiamo bisogno, come loro, di completare la nostra identità in un disegno d’amore.