Senza timore di essere felice
Incontro ravvicinato con Lula,
leader del PT (Partito dei Lavoratori) brasiliano
“Sem medo de ser feliz”
“Sem medo de ser feliz” è stato per anni, in Brasile, uno slogan efficace, in politica come nel sindacato, nei movimenti popolari, nelle comunità di base, tra gli indios, i negri, i favelados, i contadini, i braccianti, gli operai. Esprimeva – oltre che una trovata di marketing elettorale del PT – un sentimento di ottimismo diffuso tra la gente, uscita alla fine degli ottanta da vent’anni di feroce dittatura militare.
Mentre nel mondo cadevano i muri e subito ne venivano innalzati degli altri ed in Italia dominava il “rampantismo” politico e culturale, in Brasile si tentava di proporre un nuovo modello di società e di governo, che ereditava gli aspetti migliori delle teorie socialiste adattandoli ad un contesto latino, ricco di umanità e di calore, in un paese dove le ingiustizie sociali e la violenza erano e sono tragiche costanti della vita quotidiana.
Nacque, crebbe e si impose all’attenzione generale il PT (Partido dos Trabalhadores) e l’uomo che più di tutti ha rappresentato il simbolo di questa stagione politica è Luis Inàcio da Silva: Lula.
Il romanzo di una vita
È stato due volte candidato alle elezioni presidenziali e per due volte è stato sconfitto dall’onnipotenza dei mass media, in particolare della famigerata Rede Globo, che nell’89 ha “fabbricato” dal nulla il fantoccio Collor de Melo e nel ’94 ha “inventato” un piano di risanamento economico per sponsorizzare l’attuale presidente, Fernando Henrique Cardoso.
Lula non è un personaggio qualunque, ma uno degli esempi più affascinanti di come sia possibile coniugare impegno politico ed onestà, carisma e simpatia. È una figura ormai leggendaria negli ambienti popolari brasiliani, una specie di incrocio tra Fidel Castro (di cui ricorda la leadership e la capacità comunicativa) ed Alex Langer (per l’umanità e la visione politica).
La sua storia è un romanzo: cinquantenne, nordestino (originario cioè della regione più povera del paese), emigrò a sette anni a San Paolo con la famiglia alla ricerca di lavoro e dignità, dopo un viaggio di molti giorni sui famosi pau de arara (letteralmente, trespolo di pappagallo, dal tipo di camion che trasportava i contadini, stipandoli come bestie). Arrivato nella metropoli paulista, scoprì che il padre aveva un’altra donna, dalla quale aveva avuto cinque figli. La “famiglia” crebbe fino a venti componenti e Lula dovette cercare un lavoro per sopravvivere. Fece di tutto un po’ e con il tempo divenne tornitore meccanico. Ci perse anche il mignolo, tranciato in officina in un momento di distrazione.
Negli anni settanta fu perseguitato dal regime militare e rimase a lungo in clandestinità. Con altri compagni diede vita nel ’79 alla CUT (Centrale Unica dei Lavoratori), che oggi è diventato il maggior sindacato dell’America Latina, con quasi dieci milioni di iscritti. Nell’80 fondò il PT, di cui è sempre stato il capo carismatico arrivando, come detto, a sfiorare per due volte l’elezione a – come ama ricordare – “primo tornitore meccanico Presidente della Repubblica”.
Dice anche, sottovoce, che il PT rappresenta, insieme al sandinismo, la migliore esperienza di sinistra della storia recente. I suoi modi non raffinati e la straripante umanità ne fanno un mito per molti e uno spauracchio per pochi (un sapo barbudo, un rospo barbuto da ingoiare, è stato definito spesso). Le sue straordinarie capacità politiche di articolazione, di mediazione e di intuizione, gli hanno permesso di acquisire la dimensione di statista, riconoscimento che non gli negano nemmeno i suoi avversari politici e le oligarchie militari ed economiche brasiliane.
Lula e il Brasile
“Dopo quasi tre anni di governo – ci racconta Lula – il presidente Cardoso non ha concretizzato niente che giustifichi la fama di democratico riformista che si è saputo creare in campagna elettorale. Per la gente non è cambiato nulla, in quanto tutte le manovre intraprese ubbidiscono alla “ricetta” imposta dal Fondo Monetario Internazionale: privatizzazione delle imprese statali più sane, venti miliardi di dollari spesi per il pagamento degli interessi del debito estero, installazione di un sistema militare di controllo radar dell’Amazzonia, un cambio artificiale che aggancia il real al dollaro provocando un aumento dei prezzi insostenibile. Sono convinto che anche questa volta, come con Collor, il tempo si incaricherà di definire chi è realmente Cardoso”.
Lula e la caduta d’interesse
e sensibilità per la solidarietà
“Si può dire che l’Amazzonia, gli indios, i bambini di strada, sono passati di “moda”, hanno perso la capacità di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Come avviene con tutte le mode, prima o poi ci si stanca. Non è questo l’approccio corretto per risolvere i problemi, perché non può, non deve esistere la “moda” delle ingiustizie sociali. Queste potranno diventare “moda” solo quando saranno state risolte. I problemi di cui parliamo sono tuttora presenti e gravi, anche se non se ne parla più. È necessario intervenire con maggiore serietà, evitando di “pompare” i leaders popolari, gonfiati artificialmente, in nome della spettacolarizzazione della comunicazione.
“Quanti capi indigeni o sindacali sono stati scorrazzati per mezzo mondo e rovinati da forme di solidarietà emotiva e dal fiume di denaro dato senza criterio? Basta con la superficialità e la corruzione! Ciò che ci serve è una cooperazione più dimessa ma più profonda, più ideologicamente definita e solida, che lavora per rimuovere le cause delle ingiustizie. Ci sono troppe organizzazione, nel primo come nel terzo mondo, che fanno le stesse cose, contendendosi lo stesso denaro e sprecando la maggior parte delle energie a bisticciare tra loro”.
Lula e le alternative al
modello neoliberista imperante
“Ad una prima analisi, sembrerebbe che ci siano effettivamente molti motivi di scoramento: non dirlo proprio a me, che ho perso due elezioni di seguito, scippato dalla vittoria a pochi giorni dal voto… D’altra parte, il modello capitalista e le leggi del mercato globale, con tutte le trasformazioni tecnologiche di questi anni, non hanno migliorato per nulla le condizioni delle classi sociali più emarginate.
“Ogni giorno che passa i poveri sono sempre più esclusi dall’organizzazione produttiva e dalla distribuzione delle ricchezze del pianeta. Le spietate leggi del libero mercato stanno colpendo anche la classe media di molti paesi, che è stata coinvolta da una forte recessione che genera l’aumento selvaggio della disoccupazione. È un mondo strutturato per gli interessi delle élites. Le imprese si preoccupano solo del lucro immediato e facile, spesso frutto di speculazioni finanziarie.
“Tocca a noi, ai partiti di sinistra, ai sindacati, alle chiese di base, ai movimenti popolari, alle cooperative, elaborare modelli alternativi di governo. È fondamentale unire le forze a livello internazionale per definire finalmente una proposta comune. Non è possibile che l’umanità continui ad essere divisa tra quelli che non dormono perché hanno fame e quelli che non dormono perché hanno paura di quelli che hanno fame”.
Lula e il razzismo
“Tutto nasce dal preconcetto e dalla paura che il diverso, l’inferiore socialmente, possa minacciare il proprio benessere. Sembra che l’Europa stia ricostruendo il muro dell’intolleranza. Perché per i movimenti del capitale non ci sono frontiere, mentre per i poveri sì? Chi è in realtà che crea le condizioni per stimolare l’aumento dell’immigrazione dal terzo mondo? I governi locali e le grandi imprese europee, alla ricerca di nuovi mercati da occupare e di manodopera a basso costo. Si presenta alla gente il primo mondo come un paradiso, ricco di opportunità di lavoro e di ricchezza, esattamente come avviene all’interno del Brasile, dove milioni di persone lasciano le campagne ogni anno per ingolfare le metropoli, illudendosi di rifarsi una vita.
“Voi europei avete il diritto di difendere le vostre conquiste economiche, ma anche gli immigrati hanno il diritto di lottare per costruirsi un futuro migliore. Questo ordine internazionale è ingiusto: è ingiusta la politica, è ingiusto il debito estero, è ingiusta la distribuzione delle risorse.
“Le grandi potenze hanno speso trenta miliardi di dollari nella Guerra del Golfo. E la Francia, con gli esperimenti nucleari? E intanto continua l’embargo contro Cuba, Iraq e tanti altri paesi. Ma che razza di politica è questa? Non è una battaglia tra uguali: chi paga il prezzo dell’imbargo sono i bambini, che muoiono di diarrea. Sicuramente è necessario regolamentare anche l’immigrazione, ma non con leggi che autorizzano ad espellere indiscriminatamente gli immigrati. Ai poveri tocca sempre e solo rispettare la legge, mentre ai ricchi rimangono sempre tutti i privilegi”.
Il motivetto “Sem medo de ser feliz” della campagna elettorale terminava con il musicale e beneaugurante “Lula-là” (dove “là” voleva dire entrare “dentro” il Palácio do Planalto, il Quirinale brasiliano). Lula è rimasto di “qua”, ma continua come prima a non aver paura di essere felice…