Perù, un popolo ridotto ad ostaggio

di Masina Ettore

Un giovane che muore è un futuro che non si compie
C’è qualcosa di barbaro nell’utilizzazione di ostaggi, cioè di persone la cui incolumità viene subordinata alla condizione che altri si pieghino a un comportamento imposto dai sequestratori. Qualunque sia la ragione per cui viene compiuta, un’azione del genere deve essere condannata: il sequestro riduce l’uomo a cosa, oggetto, merce di scambio. Perché allora il massacro dei tupamaros di Lima, sequestratori di ostaggi, ha suscitato, in tanti, orrore e dolore? Certamente, in primo luogo, perché essi erano, quasi tutti, molto giovani. Gioventù significa vitalità, sanità, forza fisica, speranze, spazio di vita da percorrere; un giovane che muore è un futuro che non si compie. È un assurdo che contrasta con le leggi della natura. Ma poi, quando la morte di un giovane è violenta, chiama in questione la società: quanto meno, indica il fallimento di un progetto educativo, il quale tocca, appunto, a tutta la comunità. Se poi la morte è, per così dire, irrogata dallo Stato, questo fallimento appare più tragico e vergognoso poiché il concetto stesso di Stato nasce dalla volontà di garantire la vita di ogni cittadino.

Una strage necessaria?
In secondo luogo, il nostro dolore e il nostro orrore nascono dal fatto che si è trattato di una strage non “necessaria”. Ormai sappiamo per certo (ma già, conoscendo i metodi dei militari peruviani, non ne dubitavamo) che la maggior parte dei tupamaros è stata “giustiziata” dopo essersi arresa. Un esercito che compie imprese siffatte può anche vestire una divisa ma è, nella sua essenza più vera, un’associazione per delinquere, un comitato di carnefici. E poiché è del tutto evidente che questo comportamento era comandato dall’alto, “pianificato”, il presidente peruviano Fujimori ­ un golpista, non lo si dimentichi, dunque illegittimamente al potere ­ rivela, per l’ennesima volta, la sua personalità di criminale ­ o di marionetta ­ nella mani dei militari (i quali, poi ­ non è da escludere! ­ per meglio stringergli il collare, potrebbero essere stati gli occulti mandanti di quei giovani, eroici ma politicamente sprovveduti: il che renderebbe ancora più comprensibile perché al commando sia stato dato l’ordine di non fare prigionieri).

La generosità dei terroristi
In terzo luogo, il nostro dolore e il nostro orrore si alimentano dal fatto che quei “terroristi” avevano dimostrato una straordinaria generosità. Fra gli ostaggi di cui s’erano impadroniti c’erano la madre, la sorella e il fratello del dittatore: i guerriglieri dell’MRTA hanno subito liberato le due donne; c’erano l’ex capo della forza antiterrorismo Delta, responsabile di continue violazioni dei diritti umani, e i guerriglieri dell’MRTA non gli hanno torto un capello; lo stesso è avvenuto per il vice­capo della sanguinaria polizia peruviana. E c’erano non pochi altri Vip del crudelissimo regime di Fujimori. Alcuni dei “poveri ostaggi”, insomma, non erano propriamente “innocenti”, ma tutti sono stati trattati con umanità. Quando ormai la tragedia era giunta al suo culmine, un guerrigliero è entrato nella stanza in cui erano alcuni di loro, ha puntato il mitra, poi lo ha abbassato ed è andato a farsi uccidere. Il crimine rimane crimine. Ma chi l’ha attuato ha avuto ben maggiore generosità degli “uomini della Legge”, ben maggiore rispetto della dignità umana di quanto ne abbiano mostrato i militari che hanno abbattuto i nemici come cani rabbiosi.

Condannati alla pazzia
La quarta caratteristica dei fatti di Lima è che uno stato di polizia qual è il Peù di Fujimori lascia ben pochi modi di espressione a chi voglia che il mondo conosca certe realtà. È un dato di fatto che se i tupamaros non avessero compiuto la loro impresa, l’opinione pubblica internazionale ­ la quale, purtroppo, trascura, o non conosce, i puntuali rapporti di Amnesty International ­ non avrebbe saputo neppure quel poco che ha saputo, in questi quattro mesi, sugli orrori del regime carcerario peruviano denunciati dai guerriglieri. Tutte le prigioni del Peù sono infamie di pietre e di sbarre, di uomini e donne ridotti a larve dalla sporcizia, dalla fame, dai continui arbìtri dei carcerieri; ma le prigioni “politiche” sono macchine murarie concepite per fare impazzire i detenuti. Celle prive di finestre che consentano di penetrare a qualche raggio di sole; spesso sotterranee, spesso poco più che loculi claustrofobici; impedimento di leggere e di scrivere, di ascoltare radio; i carcerieri hanno l’ordine di non parlare mai con i prigionieri; il cibo viene consegnato a orari sempre diversi, in maniera che i detenuti perdano la nozione del tempo. Nelle prigioni che sono situate ad alta quota manca ogni riscaldamento. Le “punizioni”, del tutto arbitrarie, sono continue e crudeli. Quasi tutto ciò non bastasse a mostrare la ignobiltà del suo regime, Fujimori, con efferato sadismo, ha deciso, subito dopo il massacro, di celebrare la sua vittoria incrudelendo sui carcerati: ha ordinato la sospensione delle visite dei famigliari, delle ore “d’aria”, della erogazione di corrente elettrica. Significa, fra l’altro, che centinaia di prigionieri per giorni e giorni sono stati (forse lo sono ancora) immersi nella più totale oscurità. Chi sono questi prigionieri? Alcuni sono tupamaros dell’MRTA; altri, spietati militanti di quella follia peru­polpottiana che è Sendero Luminoso; altri ancora sono democratici, impegnati in una opposizione al regime del tutto non­violenta: sindacalisti, leaders di comunità di base… Ma centinaia e centinaia sono persone non soltanto del tutto innocenti ma del tutto estranee a ogni attività politica, arrestate e condannate ad anni e anni di carcere per il semplice fatto di essere consanguinee o amiche di individui “sospetti”; giudicate da militari che portano un cappuccio sul volto, non concedono agli imputati difese legali degne di questo nome, non concedono appelli. “Giustizia”, s’intende, a senso unico: decine di ufficiali, di soldati e di componenti dei “gruppi anti­sovversivi” responsabili di eccidi e di bestiali torture rimangono impuniti. C’era un uomo che si opponeva a tutto questo, anche se nessuno poteva accusarlo di comunismo. Era un alto magistrato civile, si chiamava Carlos Giusti AcuÁ±a e si parlava di lui come del prossimo presidente della Corte Costituzionale. Fujimori lo odiava. Carlos Giusti AcuÁ±a è l’unico ostaggio che è rimasto ucciso durante l’attacco delle teste di cuoio. L’ordine degli avvocati peruviani ha chiesto un’indagine sulla sua morte. Fujimori ha respinto la richiesta.

Le condizioni dei peruviani sono peggiorate
La quinta caratteristica dei fatti di Lima è la seguente: al di là dei quartieri ricchi in cui è situata l’ambasciata giapponese, la capitale è una delle città più povere dell’America Latina: quattro milioni di persone denutrite si accalcano in disperate bidonvilles. Di 25 milioni di peruviani, 18 milioni sopravvivono sotto il livello minimo “vitale”. La maggior parte della popolazione “attiva” campa di quella che una volta era chiamata “economia sommersa” ma che adesso viene definita con molti altri nomi perché è la forma più vistosamente emergente dell’economia peruviana: i poveri che vendono ai poveri (cibi cotti, biglietti delle lotterie, dolciumi, candele per le chiese ecc.). Le malefiche ricette del Fondo Monetario Internazionale (astrazioni che calano sulle classi popolari come colpi di maglio) hanno fatto salire il Prodotto Interno Lordo ma le condizioni dei peruviani sono peggiorate, il vantaggio è andato tutto alle oligarchie locali. Si può dire che i poveri del Peù sono ostaggi (loro sì del tutto innocenti!) del Fondo Monetario e di Fujimori.

Diritti umani: di chi?
Il massacro di Lima pone una domanda bruciante: quand’è che i diritti umani, negati dal neoliberismo, dai dittatori, dai militari, dai latifondisti troveranno attenzione nella pratica dei governi, delle assemblee dell’ONU, della cooperazione internazionale, dei mass­media di tutto il mondo e (ma sì!) del turismo? Sino a che continueremo a ritenere che i terroristi siano da una parte sola, che gli ostaggi da compiangere siano soltanto i VIP se mai gli capita di essere sequestrati, vivremo tranquillamente o almeno passivamente, nella vergogna di una civiltà in cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri e disperati e crudelmente perseguitati. So che alcune comunità di base del Peù pregano con il salmo 94: «Dio che fai giustizia, o Signore, Dio che fai giustizia, mòstrati! Alzati, giudice della Terra, rendi la ricompensa ai superbi. Fino a quando gli empi, Signore, fino a quando gli empi trionferanno? (…) Signore, calpestano il tuo popolo opprimo la tua eredità. Uccidono la vedova e lo straniero, danno la morte agli orfani… (…) Chi sorgerà per me contro i malvagi?…» Ma Dio ­ ci dicono i teologi ­ ha voluto avere bisogno degli uomini. La sua presenza nella storia è affidata a noi. I tupamaros trucidati credevano che il loro coraggio avrebbe aperto le porte delle carceri peruviane. Hanno sbagliato. Ma noi cerchiamo di fare qualcosa per tutti i “Peù” che, come dice Rigoberta Menchù, cominciano alla soglia della nostra casa?