Scorrendo le pagine di Madrugada

di Comitato di Redazione

Caro lettore e cara lettrice,
questa piccola colonna al mercurio che abbiamo introdotto in capo agli articoli del numero venticinque, potrebbe essere solo un corto circuito, o la strisciata incosciente di parole scritte ammodo. Potrebbe essere l’analisi viscerale di un filo di lana che non c’è, alla ricerca di un percorso che neppure Dedalo riesce più a trovare, se non con le ali della speranza.
O forse solo un sommario pubblicitario, o il sentiero fosforescente di una lumaca (invasione birichina tra le carte di un grande poeta) che indica un percorso involontario, costruito alla fine quando sono già passati gli esploratori con il machete a tagliare gli arbusti che ostruivano il passaggio. O il termometro che scopre i punti caldi di uno zibaldone, o solo l’acqua calda. Mi inoltro e chi può mi tenga d’occhio.
Con alcune tracce di riflessione sul “luogo che non c’è” (l’Utopia), apre il numero Giuseppe Stoppiglia nello scompartimento del treno che corre da Milano a Vicenza, ascoltando un soldatino di Belluno, che sente musica, ma pensa al futuro.
Il futuro sarà omologato, clonato, chiediamo alle pagine di Mario Bertin, o ci sarà ancora spazio per i colori ed i pensieri e le danze ed il pianto dei popoli che parlano lingue diverse, e filano la canapa e navigano sui computer, a fronte di una globalizzazione che avanza inarrestabile coi codici dell’economia?
Scoprire la superficie glabra della propria presenza e sentirla affascinante come i velieri che percorrono rotte inesplorate, ed accorgersi che la diversità diventa estasi e non luogo di terrore, danza e non corteo funebre, estuario della vita e non porto di scorie; svegliarsi amareggiato da un sogno impossibile e trovare la punta acuta dell’ironia che scardina i forzieri del buon senso: questa è la tela uscita dal pettine agile di Michela ed il sonno trepido di Diego nell’angolo “In cerca d’ali”.
Sfila i petali della margherita “volontariato ed involontariato” Ennio, che fa il contrappunto al facile moralismo dell’accoglienza, e del buonismo, per invitarci a riflettere su difficoltà e prospettive nel rapporto con l’altro; di cui non senti l’alito quando è lontano; ma ti impaurisce l’enigma quando è vicino, a fronte, come forse suggerisce il buon Francesco, che ci ha inviato un simpatico “Personalmente. Storie brevi in forma di annuncio” libro da lui scritto e pubblicato dalla Baldini&Castoldi, cui noi della redazione non abbiamo ancora risposto (i silenzi della stampa).
Una breve escursione tra gli Alagados di Salvador di Bahia con Mariangela; grida di dolore dal Nord del Brasile, ma insieme volontà di cambiare con Adriano, Thelma e Fernanda; quattro chiacchiere cogli amici Valdecir e Denisia di Lagartixa che hanno appreso qualche parola di italiano e la canzone “Vecchio scarpone”; conclude una nostra vecchia conoscenza, Arnaldo De Vidi, di rientro dal Brasile, che mostra quanto la razionalità occidentale a volte banalizzi e blocchi la voglia di lottare e di vivere. Ed una poesia: Pasqua 1997. Della cronaca sui dintorni di Macondo si può dire solo che l’aggiornamento non è il suo forte.
Scompare la lumaca dietro l’angolo, dopo aver sorpassato il coniglio, e rimane lo smeriglio della sua bava. Non lasciatevi confondere dai suoi riflessi.

Pasqua 1997
Come fu la morte di Gesù?
Forse il fiore dell’ibisco dipinse la via crucis in sangue?
Allo sfilarsi della tunica senza cuciture
egli mostrò il Suo corpo bruno come mietitore
o bianco come candido agnello di primavera?
Inchiodato al legno, pendeva quale frutto maturo?
Forse i bulbi degli occhi, gonfi, volevano germogliare.
E la preghiera della Madre sanguinava come radice tagliata.
Forse il Suo grido finale radunò armenti di nubi;
la notte venne con monete d’argento a sequestrare il sole.
Forse la punta della lancia tagliò nel fianco
una ferita rossa di melograno maturo.
Forse.

Di certo so che il grido
il grido che lacerò il velo del tempio
continua nel pianto disperato
delle madri sul tumulo dei figli uccisi.
Non v’è orecchio che non l’abbia udito.
E non v’è occhio che non abbia visto
il sangue nella popolata via crucis
della regione africana dei Grandi Laghi,
o i bianchi fiori di polvere dell’eroina della Colombia,
o i frutti d’acciaio dell’industria bellica del primomondo,
o l’appuntita lancia della crocifissione
nei revolver dei giustizieri dei meninos de rua del Brasile,
nelle penne dei legislatori e dei banchieri dell’FMI,
nell’aggressiva pubblicità televisiva
che trafigge l’umana nostra dignità.
Non v’è mano che non abbia toccato
corpi feriti da trincee in Bosnia
e occhi come bulbi di dolore
degli immigrati clandestini.

Di certo io so che Lui non chiede ai miei occhi
di diventare fiori al Suo sepolcro.
Ma chiede alle mie mani
di toglierlo da tutte le croci.
Chiede che a me non basti nulla
che sia di meno dell’amore.
Allora i miei piedi potranno danzare nell’aria
incontro al Risorto.
Arnaldo De Vidi