Il caboclo o dell’arte di vivere a Curuai

di Sena Edilberto

Amazzonia
Curuai e il Lago Grande, nel mezzo della Amazzonia brasiliana, sono una regione ancora non completamente invasa dagli emigranti delle altre parti del Pianeta. È vero che ci abita un figlio di italiani, ma già civilizzato… Il popolo locale è sangue quasi puro degli Indios Curuais, arrivati nella regione alla fine del secolo XVI. È un popolo “cabloco” (cabloco indica una razza meticcia, incrocio tra bianchi e indios; in alcuni casi è usato come sinonimo di gente semplice), per questo disarmato, allegro, carente, lavoratore, ma spesso ingenuo come un bambino.

Incrocio di culture
L’arrivo di diversi macondini qui, è stata un’esperienza interessante: quest’incrocio di culture differenti, una urbanizzata, del primo mondo, che porta acqua minerale, con paura della malaria, dei piranha e dei coccodrilli, l’altra radicata, che beve acqua non filtrata, che mangia pesce con farina di mandioca, usa la canoa con la stessa abilità con cui un bianco guida la sua Fiat nelle strade di Milano. I bambini di Curuai sono il miglior termometro di questa mescolanza culturale.

Il caboclo è curioso
L’arrivo del bianco, lingua differente, già causa impatto. Ma non provoca allarme. Il “caboclo” è curioso, ma è diffidente, al primo incontro. Nel 1994 arrivarono al Lago Grande vari gruppi di italiani e uno di olandesi. Ogni gruppo con la sua peculiarità. Alcuni hanno lasciato “saudade” nei bambini, altri sono ricordati di più dagli adulti, altri, ancora, sono passati inosservati. Il caboclo è affettuoso, ma aspetta il primo passo da parte del visitatore. Se tu arrivi con la barca e hai bisogno di qualcosa, c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarti. Non capisce la lingua, ma capisce i gesti e gli appelli SOS.

L’allegria della terra
Se qualcuno esprime uno sguardo amico, di interesse, le persone si avvicinano subito, vogliono comunicare. Hanno molta curiosità di sapere come è il loro paese, le loro abitudini, come sono le cose di là. Qui di bambini ce ne sono tanti come sono le formiche, è un segnale culturale. Qui i figli sono un regalo di Dio. Non c’è la preoccupazione del futuro, quel che interessa è che sono l’allegria della famiglia e per questo possono esserci otto-dieci figli, senza preoccupazione. Infatti, i bambini sono l’allegria della terra, nonostante siano, anche, fonte di preoccupazione a causa della salute e dell’educazione.

Inconscio e pregiudizio
La presenza di molti stranieri nel villaggio ha risvegliato la curiosità delle persone. Arrivavano e chiedevano: chi sono? Cosa sono venuti a fare? Cosa cercano? Hanno portato molti soldi? Ci sono quelli che diffidano degli stranieri. In fondo, in passato, la loro presenza è sempre stata sinonimo di invasori – portoghesi, inglesi, americani. Questa immagine è rimasta scolpita nell’inconscio di molti, quella di chi viene solo a cercare la nostra ricchezza. Però l’atteggiamento amichevole, umile, di interesse ad ascoltare e a comunicare, abbatte queste barriere del caboclo. Se il visitante arriva con aria di superiorità, disprezzo, con aria da primo mondo, allora conferma la diffidenza del caboclo. Il visitatore, in Lago Grande, avrà la possibilità di conoscere una cultura peculiare, con caratteristiche ancestrali, ricca di gesti umani, non ancora completamente violentata dall’invasione dei mass media, nonostante si cominci a sentirne gli effetti. Per arrivare a questo incontro con la cultura diversa, il visitatore dovrà spogliarsi dei pregiudizi, smettere di paragonare i due mondi, prendendo il suo esempio. In un incontro così, entrambi ci guadagnano, perché questa è la dinamica dell’incontro liberatore. Se il visitatore ha la ricchezza della tecnologia, della civilizzazione e del potere economico, il caboclo ha la ricchezza del sapersi godere la vita, ridere e piangere, lottare e sambare, la sensualità tropicale e il rispetto per il sacro, come dire, una certa arte di vivere.