Comunità Ecclesiali di Base: una storia trasparente e in controtendenza

di Cardini Egidio

Due immagini contrapposte

Faccio questa breve riflessione, conservando nel cuore e nell’intelligenza due immagini che ispirano dentro di me due sentimenti contrapposti: da un lato avverto una delusione molto profonda quando vedo e sento una Chiesa istituzionale che ricorre sempre di più agli strumenti dell’infallibilità papale per giustificare l’ingiustificabile e per ribadire in questo modo solo la sua profonda debolezza; dall’altro lato avere conosciuto il modello delle Comunità Ecclesiali di Base (CEBs) mi dispone a credere in un annuncio evangelico che libera ed è liberato dalla tristezza dell’istituzionalità fine a se stessa e dal peso di un’immagine acida e spocchiosa della fede.
Sfruttando al meglio questa esperienza per me significativa, posso dire non tanto di avere capito i meccanismi molto semplici di questo modo nuovo di essere Chiesa, ma di averne ricercato lo spirito, all’interno del quale ciò che conta di più non è il bene della Chiesa in quanto istituzione, bensì il bene delle persone in quanto amate dal Dio di Gesù Cristo. Dentro questa prospettiva si spiega tutto quanto costituisce la Chiesa come comunità di base, vale a dire una Chiesa che ha già superato da sola i problemi di affermazione del proprio ruolo e che vive esclusivamente per trasformare le coscienze ed esaltare la dignità umana alla luce del Vangelo.

Un volto fedele
alle tradizioni popolari

Le CEBs non sono un’altra Chiesa o un’alternativa settaria, bensì la Chiesa stessa che rivela un volto radicalmente rinnovato e fedele alle sue tradizioni popolari, oltre il devozionalismo e a favore di una maturazione di una coscienza collettiva della fede. Questo consente di chiarire alcune idee fondamentali.
Prima di tutto, nelle CEBs viene esaltata la dimensione comunitaria della fede e dell’appartenenza ecclesiale. Nessuno tiene il Vangelo di Gesù Cristo per se stesso e tutti compiono lo sforzo di interpretarne l’annuncio o di assumere impegni secondo le proprie possibilità. In questo modo le responsabilità della base sono valorizzate, perché ogni comunità vive di una luce propria e non confida più soltanto nel ruolo dei ministri ordinati, ma concede a ciascuno, indipendentemente dal grado di formazione e di preminenza sociale, una funzione specifica, dall’animazione biblica all’educazione popolare, dall’animazione liturgica all’impegno sociale e politico.

La storia
è il luogo della fede

Diventa centrale il riferimento alla prassi liberatrice di Gesù Cristo, sia sotto il profilo spirituale che sotto quello sociale. Tutta l’iniziativa delle CEBs mira a rovesciare uno stato di cose che soggioga l’uomo e ne determina una schiavitù concreta. Uno sguardo rapido alle condizioni socio-economiche del continente latino-americano consente di capire immediatamente dove passa il confine tra libertà e schiavitù e pertanto, se la storia è il luogo dove la fede sperimenta la sua credibilità, non è francamente possibile negare una dimensione politica a questo itinerario di liberazione cristiana, nella prospettiva delle CEBs, è anche liberazione dalle strutture sociali ingiuste, è integrale e alimenta la coscienza della sua integralità, laddove consente di fronteggiare miseria e sfruttamento dentro ragioni evangeliche e non dentro un triste pietismo verso la povertà.

CEBs,
oltre l’Istitituzione

Infine le CEBs hanno superato i vincoli tradizionali dell’esclusività del ministero ordinato (vale a dire dei soli religiosi) e della territorialità su base parrocchiale. Sono molto più agili e organizzate secondo schemi meno istituzionali e più aderenti ai bisogni della base. Certamente possiamo ricevere dalla loro storia un doppio messaggio di trasparenza evangelica e di controtendenza, soprattutto quando hanno rappresentato e rappresentano tuttora un segnale di contraddizione e di rottura intorno a tutto ciò che rappresenta in vario modo il potere.
Le CEBs sono intrinsecamente e strutturalmente la negazione del potere e l’opposizione ad un’idea verticale di Chiesa; sono esse stesse il futuro della Chiesa, perché promuovono uno stile di educazione popolare a una fede limpida e cristallina, non accettano passivamente le prevaricazioni dell’istituzione, oltrepassano i confini delle certezze precostituite.

Il volto
di Rosa di Jacara’pe

Per me il cuore di questa Chiesa risiede nel volto dolcissimo e nello spirito roccioso di Rosa, una donna semplice e coraggiosa che ho incontrato a Jacara’pe, nello Stato brasiliano di Espirito Santo, madre dei poveri oltre che dei propri cinque figli, capace di giustificare a tutti, dal primo dei potenti all’ultimo essere umano dimenticato, il significato della propria speranza, senza piegarsi davanti a nessun altro che non fosse Gesù Cristo.
In questo spirito di indipendenza davanti agli uomini e di annullamento di sé davanti a Dio si compie l’itinerario delle CEBs. In questo contrasto tra conflitto e libertà si esprime questa religiosità intensa, cantata anche da Gilberto Gil, uno dei poeti più vivi di questo popolo: “Se io volessi parlare con Dio, devo accettare il dolore, devo mangiare il pane che il diavolo ha impastato, devo incattivire, devo leccare la terra dei palazzi e dei castelli sontuosi del mio sogno e, nonostante un male così grande, devo rallegrare il mio cuore”.