La lotta per la terra in Brasile

di Di Felice Massimo

Luogo comune
L’importanza del ruolo ricoperto dal sistema di produzione agricolo nei cosiddetti paesi del “Terzo Mondo” va ricercata in alcuni particolari aspetti organizzativi di tale settore, che ne fanno uno degli elementi principali per l’economia dei suddetti paesi.
Pur avendo conosciuto negli ultimi decenni ampi processi di urbanizzazione, i paesi a basso reddito, a causa delle loro condizioni climatiche ed ambientali, sono a tutt’oggi fortemente legati al settore primario. Va riconosciuto comunque che, in molti casi, l’immagine di tali paesi come quella di nazioni esclusivamente produttrici ed esportatrici di materie e prodotti agricoli, risulta arcaica e priva di fondamento. Infatti, in tali paesi, accanto all’espansione di ampi e moderni settori industriali si è assistito, soprattutto negli ultimi trent’anni, alla diffusione del settore secondario e di quello terziario, entrambi legati ad ampi fenomeni di urbanizzazione e quindi ad una progressiva diminuzione della popolazione agricola. Tale dato, tuttavia, non sembra contraddire la sottolineata rilevanza per le economie di tali paesi del settore primario e ciò per una serie di motivi. In primo luogo da tale settore dipende la produzione dei generi alimentari e in particolare di quelli indispensabili alla dieta delle popolazioni. Infatti le scelte riguardanti la coltivazione e l’utilizzazione del suolo si rivelano di determinante importanza per l’alimentazione della popolazione. Inoltre, dal livello di concentrazione della proprietà terriera e dai modelli produttivi agricoli dipende la possibilità di permanenza delle popolazioni contadine nelle campagne e quindi l’avvento o meno dei flussi migratori verso le città, fenomeno che ha ampiamente interessato in questo secolo i paesi in via di sviluppo. Oltre a ciò, infine, va notato come l’espulsione delle popolazioni rurali dalle zone agricole comporta, spesso, la perdita definitiva del patrimonio culturale e dell’insieme dei valori legati a tali identità.

L’origine del conflitto
Il Brasile è oggi, secondo i dati dell’O.N.U., uno degli stati al mondo con il più alto indice di concentrazione della proprietà terriera e costituisce, senza dubbio, un chiaro esempio di come l’organizzazione produttiva del sistema agricolo si ripercuota e influenzi i più vari settori del sistema sociale. L’attuale situazione del sistema agricolo brasiliano, caratterizzato da violente forme di conflittualità sociale, sembra avere origini antiche e porre le sue radici nella instaurazione del sistema coloniale, all’inizio dell’epoca moderna. Osservando lo sviluppo storico della società brasiliana è possibile notare come i conflitti per la conquista della terra e la concentrazione della proprietà terriera costituiscano due costanti che hanno profondamente caratterizzato l’evoluzione del paese latino-americano.
Per tale motivo è certamente utile, ai fini di una maggior comprensione delle attuali caratteristiche dei conflitti che interessano le campagne brasiliane, coglierne il legame con il passato, dal momento che l’odierna realtà sembra essere il frutto di una determinata evoluzione storica e non la semplice espressione di una contrapposizione congiunturale.

I conflitti per la terra
nella storia sociale del Brasile

La struttura agricola latifondiaria venne instaurata in Brasile dai portoghesi, che in un primo momento si interessarono alla produzione del Pau Brasil, un legname molto pregiato la cui commercializzazione costrinse le popolazioni indigene ad abbandonare le coste, ormai nelle mani dei bianchi, per fuggire verso l’interno. I principali problemi che i colonizzatori dovettero affrontare furono, da un lato la grande estensione di terra del paese che richiedeva, per poter essere sfruttata, un elevato numero di colonizzatori e, dall’altro, il bisogno di ingenti finanziamenti, che la corona portoghese non possedeva, per l’organizzazione della produzione.
Le prime forme di conflitti per la conquista della terra in Brasile furono proprio quelle attuate dai “conquistadores” contro le popolazioni indigene; queste ultime si trovarono a dover difendere i loro territori dalla avanzata dei portoghesi i quali, organizzati in spedizioni chiamate “bandeira” si inoltravano nella foresta per catturare i nativi ed utilizzarli come schiavi nelle piantagioni. Lo scontro fu uno dei più cruenti della storia del continente e portò allo sterminio di molte etnie e ad una separazione territoriale caratterizzata dalla presenza dei portoghesi sulle coste e nel centro e dalla concentrazione delle popolazioni indigene nell’interno. Le caratteristiche culturali di queste ultime, il loro carattere nomade e la loro combattività le rendeva poco idonee al lavoro nelle piantagioni determinando, da parte dei colonizzatori, la necessità di ricorrere alla manodopera proveniente dalle loro colonie africane. Soprattutto con l’inizio della coltivazione dello zucchero, a partire dal XVII secolo, cominciò il traffico degli schiavi utilizzati per lo più nelle piantagioni.
Nacque così l’engenho dello zucchero, la prima struttura produttiva coloniale del paese, costituita come una società chiusa all’interno della quale vivevano e lavoravano i neri africani.

I quilombos
Con l’espansione della produzione di tale merce sorsero sulla costa le prime città, nelle quali vivevano i proprietari terrieri e i bianchi legati al commercio con la madre patria. Le condizioni di vita e di lavoro degli afro-brasiliani furono le cause delle lotte di liberazione attuate dalla popolazione di colore. Tale conflittualità si protrasse per diversi secoli e si configurò come una delle prime forme di lotta per la conquista della terra. Gli schiavi che riuscivano a fuggire dalle piantagioni si rifugiavano all’interno della foresta dove instauravano delle piccole comunità chiuse, basate sull’agricoltura di sussistenza chiamate quilombos (termine di origine africana con il quale si indicavano le capanne costruite dagli schiavi liberti rifugiati nella foresta).
L’espandersi del latifondo e il suo avanzare verso l’interno generava numerosi conflitti tra gli abitanti dei quilombos e l’esercito portoghese che, in molti casi, organizzava delle vere e proprie spedizioni per distruggere i villaggi dei neri fuggiti.
In seguito alla produzione dello zucchero sorsero numerose altre coltivazioni, in particolare il cotone del Nordest, il tabacco e il riso e l’allevamento del bestiame nel Sud e nel Nordest e il cacao nell’Amazzonia.
A partire dal XIX secolo, mentre il Nord rimase caratterizzato dalla produzione del cotone e l’Est da quella dello zucchero, nel Sud si svilupperà la produzione del caffè del quale il Brasile divenne, in breve tempo, il primo esportatore al mondo.
L’indipendenza, ottenuta nel 1822, non mutò le condizioni di vita nelle campagne, né ridusse l’espansione del latifondo. Al contrario, la legge della terra, emanata nel 1850, regolarizzando la proprietà del suolo attraverso la compravendita, proibì la sua semplice detenzione e incrementò la diffusione della grande proprietà.

Fine della schiavitù
L’abolizione del traffico degli schiavi, effettuata su pressione del governo inglese, fece da preludio alla fine della schiavitù, decretata alla fine del 1888, che alterò la condizione dei lavoratori rurali.
Ciò che caratterizzò tale secolo fu la dittatura di una determinata classe, quella dei latifondisti, sulle altre; la fazenda, non potendo più utilizzare la manodopera schiava, si serviva, soprattutto nel Nordest, degli arrendatari, i quali avevano con il proprietario un rapporto di dipendenza, fondato su relazioni di tipo paternalistico e su forme di clientelismo che modificarono profondamente le relazioni di lavoro nelle campagne. Ciò che si venne a creare, infatti, fu una sorta di dipendenza tra il proprietario terriero e i suoi contadini in quanto il guadagno del primo era strettamente collegato al numero dei secondi. La scoperta di minerali preziosi nel Sud del paese in seguito portò all’immigrazione di molti europei, attirati dalla possibilità di facili guadagni, determinando un ulteriore incremento della popolazione contadina senza terra.
Fu in questo contesto che si diffuse il bandetismo, una particolare forma di lotta legata a figure e personaggi carismatici. Uno di questi fu Antonio Conselheiro il quale radunò posseiros, bovari ed altri contadini espulsi dalle loro terre, ed iniziò a peregrinare nel deserto seguito, inoltre, da neri liberti, indios, pistoleiros.
Cearense, figlio di una potente famiglia della regione, denunciò i soprusi dei grandi proprietari e rivendicò i diritti dei contadini scontrandosi spesso anche con la Chiesa. Dopo aver varie volte affrontato l’esercito si rifugiò con i suoi seguaci nel deserto baiano, a Juazeiro, in una fazenda abbandonata chiamata Canudos. qui costituì una grande comunità di circa 30.000 persone che viveva dei prodotti dell’agricoltura dividendo comunitariamente la proprietà della terra. Il movimento, come altri analoghi, venne soppresso e tutti i membri della comunità vennero uccisi; la causa di tale repressione va ricercata nella necessità avvertita dalle autorità di reprimere un progetto di società alternativo, elaborato dai contadini, che aboliva il concetto di proprietà scardinando, in questo modo, le basi della società latifondista.
Ma la più grande rivolta contadina fu quella che originò la guerra del Contestado (1912-1916) combattuta tra gli stati del Paranà e di S. Caterina e sorta in seguito all’espulsione dei contadini lungo l’area della ferrovia in costruzione per congiungere S. Paulo e Rio Grande do Sul. I conflitti si acutizzarono in seguito ad una riunione, realizzata nella regione di Curitibanos, organizzata da José Maria, un monaco che aveva la fama di essere santo e guaritore, il quale aveva più volte accusato la repubblica di essersi macchiata di gravi delitti ai danni dei contadini. Anche questo movimento venne disperso, ma alla fine del 1913, nella località di Taguaraìçu, venne fondata una “città santa” i cui membri aspettavano il ritorno del monaco, ucciso durante la repressione. Numerose furono le città che sorsero ripetendo l’esperienza del monaco José Maria, caratterizzate, come la prima, dalla comunione dei beni e dalla proprietà collettiva della terra.

Latifondo e produzione capitalista
Con l’avvento della dittatura militare, nel 1964, la struttura agricola del paese mutò considerevolmente e con essa anche le principali caratteristiche della classe contadina.
Prendendo le distanze dal pensiero di Celso Furtado e dal suo modello dualista, J. De Sousa Martins, uno dei sociologi che da diverso tempo si occupano della questione agraria, trova nella singolare unione tra il sistema latifondista e il modo di produzione capitalista, venutasi a creare nel paese in seguito alla politica agricola adottata dal regime militare, la principale causa della concentrazione della proprietà terriera e dei meccanismi di espulsione che caratterizzano ancora oggi le campagne brasiliane. Al contrario di quanto avvenuto in Europa, dove i processi di industrializzazione hanno inevitabilmente portato ad una utilizzazione razionale del suolo e quindi alla fine del sistema latifondiario, nel paese latino-americano, secondo il sociologo brasiliano, la storia avrebbe seguito un altro corso, ed il modo di produzione capitalista non si sarebbe sviluppato sul disfacimento del mondo agricolo, ma sarebbe cresciuto in un rapporto di simbiosi con questo. L’origine di tale singolare relazione deve essere ricercata, secondo J. De Sousa Martins, nella politica attuata dal governo militare, protesa ad incentivare la produzione agricola su larga scala delle aree del Nord e del Nordest del paese mediante l’elargizione di incentivi fiscali che consistevano nella riduzione del 50% delle tasse sulla rendita immobiliare. A beneficiare di tali privilegi furono le imprese che si impiantarono nella regione amazzonica, nelle aree del Maranhao e del Tocatins, ossia della zona denominata “Amazzonia legale”. Come è facilmente deducibile, tali agevolazioni ebbero l’effetto di incrementare ulteriormente l’espansione del latifondo, sia di quello produttivo che di quello legato all’allevamento del bestiame, determinando un ampio incremento della proprietà terriera, tanto che tra il 1970 e il 1980, oltre un milione e mezzo di persone abbandonarono la propria attività di produttori autonomi, mentre i lavoratori rurali, tramutati in dipendenti, furono più di un milione e seicentomila. Ciò determinò un’ampia differenziazione della classe contadina.
In molte regioni, come nel Centro-ovest, nel Nord o in alcune aree del Nordest, la politica degli incentivi fiscali, stimolando l’espulsione dei piccoli agricoltori, sradicò contemporaneamente i grandi latifondisti tradizionali depositari del potere locale; in questo modo l’impresa agro-industriale moderna sostituì il vecchio latifondista determinando l’attuale situazione agricola del paese.

Una mappa della proprietà agricola
Secondo i dati dell’I.N.C.R.A. (Istituto Nazionale di Colonizzazione e di Riforma Agraria), la struttura agricola del Brasile risulta divisibile in 4 principali tipi di proprietà:
i mini fondi, piccoli appezzamenti di terreno che producono principalmente generi alimentari per la sussistenza dei contadini. Secondo i dati del ministero dell’agricoltura brasiliano, i mini fondi, pur costituendo il 67,5% dei tipi di proprietà, occupano il 9,5% delle aree coltivabili;
le imprese rurali costituite in gran parte da proprietà di medie dimensioni le quali producono per lo più merci per il mercato interno;
i latifondi per sfruttamento, spazi caratterizzati da un’economia monoculturale legata prevalentemente alla produzione di merci per l’esportazione come il caffè, la soia, lo zucchero ecc. In altri termini queste ultime sono le proprietà appartenenti al settore agro-industriale, chiamato anche agro-business, in maggior parte appartenenti alle grandi multinazionali straniere. La loro caratteristica principale è costituita da un alto livello di tecnologizzazione del lavoro il cui effetto immediato è uno scarso impiego della manodopera attiva nel settore;
i latifondi per estensione sono costituiti dai grandi terreni incolti, utilizzati per lo più per l’allevamento del bestiame o lasciati semplicemente improduttivi. Si rilevano 275 latifondi classificati per estensione che occupano da soli un’area di circa 37 milioni di ettari, con una media di circa 135.640 ettari per proprietà. Il latifondo, occupando l’8,5% di tutti i tipi coltivabili, costituisce il 29% delle terre coltivabili.. Allo stesso modo i venti latifondi più grandi occupano da soli un’area di 17 milioni di ettari e contemporaneamente circa il 45% delle terre nelle mani dei latifondisti risulta essere completamente abbandonato, pur essendo coltivabile, e ammonta a circa 160 milioni di ettari.

Modernizzazione dell’agricoltura e divisione
All’origine degli attuali conflitti per la conquista della terra vi è, come osservato fino ad ora, la concentrazione della proprietà fondiaria e l’avanzare del latifondo che, guadagnando terra, costringe la popolazione contadina, soprattutto i posseiros che vivono di agricoltura di sussistenza, ad emigrare in città a causa della scarsità del terreno. Ciò che è avvenuto in Brasile negli ultimi decenni trova numerose analogie con quanto avvenuto in numerosi altri paesi dell’America Latina e del Terzo Mondo in generale e va relazionato ai tentativi di modernizzazione dell’agricoltura attuati in tali paesi in seguito alle esigenze di “super produttività” dei prodotti destinati all’esportazione.
In queste nazioni la modernizzazione dell’agricoltura è avvenuta dividendo il settore agricolo del paese in due settori completamente separati tra loro. Il primo caratterizzato dall’impiego di alta tecnologia e dalla produzione di prodotti destinati all’esportazione (cash props); il secondo legato a tecniche agricole arcaiche e alla produzione per la sussistenza. La prevalenza del primo modello ha originato in molti paesi del Sud del mondo un’altissima concentrazione della proprietà terriera, limitando il suolo destinato alla coltivazione per la sussistenza e determinando la conseguente espulsione dei contadini verso le città. Un esempio di tale contrapposizione produttiva, capace di generare fenomeni di conflittualità sociale, è dato da quanto accaduto in Brasile a partire dagli anni settanta con la produzione della soia. Il governo brasiliano decise di incoraggiare la coltivazione del prodotto poiché cresceva la domanda mondiale e perché la sua raccolta per motivi climatici avveniva in un periodo intermedio fra i due raccolti statunitensi.

Soia contro riso e fagioli
Approfittando di tale situazione i proprietari terrieri abbandonarono le loro coltivazioni per dedicarsi alla soia. Questo tipo di piantagione si prestava molto bene alla meccanizzazione, tanto che nella totalità dei casi, i trattori sostituirono i braccianti agricoli e, data la necessità di personale specializzato e di capitale per le attrezzature, soltanto grandi multinazionali iniziarono la produzione acquistando vaste fazendas. L’avvento della nuova coltivazione ebbe un impatto ambientale e sociale di ampie proporzioni. Infatti, accanto all’incremento della concentrazione della proprietà terriera, si verificò il cambiamento delle colture fino a quel momento principali: diminuirono fortemente le coltivazioni di riso, frumento e fagioli, ossia di tutti quei prodotti destinati alla dieta alimentare della popolazione. Tale fenomeno ebbe come effetto quello di far lievitare i loro prezzi sul mercato. A partire da quel momento, il Brasile incrementò le sue importazioni di generi alimentari e molti contadini, avendo perso la loro terra o essendo stati licenziati, in quanto non era più necessaria la loro manodopera, emigrarono in città o, in altri casi, si organizzarono per riconquistare la terra.
Per produrre la soia a prezzi competitivi fu necessario introdurre i macchinari che, come visto, determinarono ampie e drammatiche trasformazioni nelle campagne. Tale fenomeno è ancora in atto e costituisce una delle principali cause della diffusione dei conflitti per la conquista della terra. Quest’ultima, in molti casi, sembra essere, a causa del suo carattere, una vera e propria lotta per la sopravvivenza; infatti, mentre per i proprietari terrieri essa costituisce un atto di difesa del proprio tenore di vita e della propria ricchezza, per i contadini è spesso uno strumento attraverso il quale ottenere il diritto ai propri bisogni primari. Soprattutto nelle campagne del Nordest, dove la popolazione contadina è caratterizzata da una specifica identità culturale che ha radici indigene e afro-brasiliane, le forme di lotta sembrano limitarsi alla conquista del fazzoletto di terra, nel quale piantare il riso e i fagioli per la propria sussistenza, e raramente assumono un carattere politico-razionale nel senso di una rivendicazione che tenga conto degli interessi generali della classe contadina. Alcuni studiosi della realtà agricola brasiliana sostengono, a riguardo, che sia possibile distinguere, in base ai principali soggetti in conflitto, due tipi di lotte diverse: quella per la riforma agraria e quella per la conquista della terra. La prima consisterebbe in una interpretazione della seconda elaborata dai partiti di sinistra, secondo schemi di riferimento e analisi interpretative razionali, la seconda, al contrario, sarebbe quella effettuata dai contadini stessi, capace di mettere in discussione non solo l’utilizzazione del suolo ma finanche il concetto stesso di proprietà.

La distribuzione del reddito nelle campagne
Secondo i dati dell’I.N.C.R.A. in Brasile attualmente sono circa 23 milioni i lavoratori rurali senza terra costretti spesso ad emigrare in città. Di questi circa 7 milioni lavorano come salariati, mentre altri 6 milioni sono lavoratori senza alcun diritto di proprietà. In termini di salario la realtà contadina sembra essere caratterizzata da retribuzioni esigue: esistono, infatti, 1.300.000 lavoratori del campo, i quali non ricevono nessun tipo di salario e 5.200.000 che ricevono una remunerazione mensile di 80 dollari (salario minimo). Il livello di concentrazione della ricchezza nelle campagne brasiliane, secondo il CEPAL, è tra i più alti del mondo. Tra il 1970 e il 1980 la partecipazione al totale della ricchezza agricola del 50% della popolazione più povera, economicamente attiva, cadde dal 22,2% al 17,6% del totale e, allo stesso tempo, la partecipazione del 10% dei più ricchi aumentò dal 36,3% al 47,9%.

Conflitti e invasioni
L’invasione di una proprietà e la conseguente occupazione del terreno avviene quasi sempre durante la notte o nelle prime ore del mattino; i contadini senza terra, armati con i loro stessi arnesi di lavoro e forniti di poche armi da fuoco, tagliano il recinto di filo spinato ed entrano silenziosamente nel campo. In seguito a ciò gli eserciti privati dei proprietari terrieri tentano di reprimere gli occupanti provocando numerosi feriti e spesso diversi morti.
I conflitti riguardano principalmente i posseiros, ossia quei contadini espulsi dalle loro terre e trasferiti in una zona demaniale. Nella maggior parte dei casi questi non hanno alcun documento che comprovi il loro diritto alla proprietà del suolo occupato, per tale motivo i latifondisti riescono facilmente ad espellerli attraverso la presentazione di falsi documenti di proprietà o mediante il ricorso alla forza.
Insieme alla concentrazione della proprietà e alle varie forme di lotta, l’altra costante che caratterizza le campagne brasiliane è la violenza. Nel 1991, secondo anno del governo neo-liberale di Collor De Mello, in tutto il paese ci sono stati 383 conflitti per la conquista della terra, che hanno coinvolto 242.196 persone, e hanno causato 54 assassinati. Ma ciò che sembra contraddistinguere la realtà del campo al riguardo, oltre che il numero degli uccisi è un clima di paura, fatto di minacce, di attentati che hanno l’effetto di creare una vera pedagogia del terrore, utilizzata per colpire le organizzazioni dei lavoratori rurali e scoraggiare la nascita di nuove forme di lotta. Secondo i dati della C.P.T. esistono tutt’oggi casi di lavoro in condizioni di schiavitù; sono state denunciate, infatti, 27 fazendas nelle quali i contadini venivano pagati con tipi di monete valide solo al loro interno e sorvegliati da uomini armati che impedivano loro di fuggire.

Organizzazioni contadine e…
Le organizzazioni principali che accompagnano la lotta dei contadini brasiliani sono: la Commissione Pastorale della Terra e il Movimento dei lavoratori rurali Senza Terra. Esistono altri gruppi più piccoli ma questi non hanno una organizzazione capillare, come i primi, e risultano, quindi, poco diffusi sul territorio.
La C.P.T. è un organismo ecumenico legato alle Chiese cristiane, sorto per volontà della Conferenza Episcopale brasiliana (CNBB) nel 1976 con l’obiettivo di “unire, aiutare e dinamizzare” tutte le entità, i gruppi e le persone che lavorano per la causa dei lavoratori rurali senza terra e dei lavoratori rurali in generale. È presente in tutti gli stati del Brasile e svolge un’insostituibile attività di informazione sulla realtà sociale e agricola di ogni stato sensibilizzando l’opinione pubblica e soccorrendo in ogni evenienza i lavoratori.
Il Movimento dei Lavoratori rurali Senza Terra (M.S.T.) si definisce come un movimento di massa organizzato, con una strategia di lotta specifica anche all’interno del sindacato rurale. Si pone come obiettivo l’organizzazione di una “ampia riforma agraria di massa”. Nacque alla fine degli anni settanta in seguito alle occupazioni avvenute nello stato di Rio Grande do Sul e si caratterizza per la sua autonomia nei confronti dei partiti, delle confessioni religiose e delle tendenze politiche. I suoi obiettivi principali sono: l’occupazione delle terre, l’attuazione di una vera riforma agraria e la costruzione di una società socialista.
Anche i latifondisti si riconoscono in varie organizzazioni sorte con il fine di difendere le loro proprietà minacciate dalle invasioni dei contadini. Tra queste la più famosa è stata, senza dubbio, l’U.D.R. (Unione Democratica Ruralista) la quale, secondo i documenti di vari organismi internazionali si è macchiata di numerosi assassini. Tra le sue vittime numerosi sono stati i membri ed i sacerdoti della C.P.T., gli agenti di pastorale legati alla lotta per la terra, sindacalisti, militanti del M.S.T. e molti contadini.