Un viaggio di lavoro
Dopo l’esperienza di ricerca nell’archivio di Curitiba della documentazione necessaria alla sua tesi di laurea, Chiara ci ha inviato alcune note affettuose sulla sua permanenza in Brasile, che volentieri pubblichiamo.
L’occasione
Sono iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia dal 1990. Seguo l’indirizzo storico ed ho scelto di approfondire l’epoca contemporanea.
Nell’estate del 1991, affidandomi all’associazione Macondo, sono stata in Brasile, spinta dal desiderio di viaggiare e di conoscere una nazione del Sud del mondo. È stata un’esperienza molto importane e forte, che mi ha scossa e provocata, ma anche legata a questo paese, tanto che pensai subito di fare la tesi di laurea su una argomento che riguardasse il Brasile.
“L’emigrazione della gente della Valbrenta verso il Brasile a partire dal 1877”: questo grosso modo fu il titolo assegnatomi. Avrei dovuto prima leggere i testi che danno un quadro generale dell’emigrazione, poi fare ricerca d’archivio in Italia, area di partenza, ed in Brasile, area di arrivo, per ricostruire la storia particolare che mi interessava.
Tramite Macondo ho trovato ospitalità in una casa di suore a Curitiba, capitale del Paranà, la città dove erano presumibilmente giunti numerosi emigranti, guidati da un sacerdote singolare e coraggioso, il parroco di Oliero, uno dei paesi della Valbrenta.
Ho dedicato alle mie ricerche il mese di luglio. Il lato umano di questa esperienza di studio è stato arricchente al di sopra di ogni mia aspettativa.
Accoglienza
La comunità delle Serve di Maria Riparatrici “Nossa Senhora do Discernimento” di Curitiba è formata da tre suore ed è aperta a tutte le ragazze che vogliono mettere alla prova il desiderio di appartenere a questa famiglia religiosa. Qui mi sono sentita accecata ed accolta nel modo più autentico. Non mi sono state fatte tante feste, ma da subito sono stata considerata come una componente della comunità.
Alcune attenzioni riservatemi mi hanno messo completamente a mio agio: mi sono state date le chiavi della porta perché potessi entrare ed uscire liberamente, mi è stata assegnata una camera soleggiata e con una grande scrivania perché il mio studio fosse meno faticoso e i miei tanti libri trovassero agevolmente un posto.
Spontaneamente ho chiesto alle suore di poter partecipare alla loro vita comunitaria e loro sono state molto felici di questo. Nei primi giorni di lavoro mi sono studiata bene il materiale italiano che avevo per decidere come continuare la ricerca. Per fare questo rimanevo in casa e potevo pregare con le suore al mattino, a mezzogiorno e al vespro.
Dopo qualche giorno ho cominciato ad uscire per andare in Consolato, in Biblioteca o in Archivio, e non mi è stata più possibile questa intensa partecipazione alla vita della comunità, ma lo spirito rimaneva, e si manifestava nelle lunghe chiacchierate che si facevano a tavola o dopo cena. Le suore mi raccontavano la loro giornata, le loro gioie e i loro problemi. Sempre volevano sapere cosa avevo trovato in Consolato o in Archivio, io allora parlavo delle mie ricerche. Poi si passava alle cose più personali, ai nostri rapporti con gli altri, ciascuna di noi manifestava le proprie difficoltà, i dubbi o le scoperte felici, le amicizie ritrovate… Tutto in un clima semplice di confidenza e di ascolto.
L’impatto di Curitiba
Se mi aspettavo, vista la positiva esperienza del 1991, grande accoglienza ed affetto presso suore brasiliane, non pensavo invece di poter ritrovare questo clima nei diversi uffici in cui sono andata: al Consolato italiano, in Curia, nella Biblioteca pubblica del Paranà, nell’Archivio di Stato. Con grande sorpresa all’inizio, e con gioia dopo, anche in questi luoghi ho potuto sperimentare degli incontri autentici.
Per prima cosa la persona che si occupava di me voleva far conoscenza, per questo si presentava e mi spiegava in cosa consisteva il suo lavoro. Poi mi presentavo io. Dovevo raccontare la mia storia dall’inizio e solo dopo aver detto tutto ben bene potevo chiedere ciò di cui avevo bisogno. Tutte le persone a cui mi sono rivolta hanno cercato di agevolarmi e di fornirmi aiuti senza mai farlo pesare e alcune volte ciò che facevano non era neanche previsto dal loro incarico. Mi telefonavano a casa la sera per dirmi che si erano ricordati un nome o un titolo che mi sarebbero potuti servire, cercavano e parlavano loro con persone che forse avrebbero potuto aiutarmi…
Daysi, un incontro prezioso
L’esperienza più intensa l’ho vissuta in Archivio di Stato, dove ho svolto la maggior parte del mio lavoro. Qui Daysi, la responsabile della sezione storica, ha fatto per me l’impossibile. Ha cercato un professore che si era occupato di immigrazione italiana, mi ha portato un libro che, secondo lei, mi sarebbe potuto servire, mi ha fotocopiato delle pagine che si possono solo microfilmare. Per velocizzare il mio lavoro mi leggeva i documenti scritti nel corsivo del secolo scorso. Dopo la mia partenza, ha addirittura cercato per me alcuni documenti che non riuscivo a trovare e me ne ha spedito la copia.
In maniera particolare mi ha commosso l’amore che Daysi aveva per la sua professione e l’attenzione per le persone: mi raccontava della passione che l’aveva spinta a studiare per diventare archivista, mi spiegava tutte le cose che aveva imparato facendo il suo lavoro, mi diceva quanta soddisfazione aveva nel vedere completate le ricerche di chi studiava nel settore di sua competenza.
Mi ha pregato di inviare all’Archivio una copia della mia tesi, dando così al mio lavoro (e a me) la stessa dignità delle ricerche che lì effettuano docenti e ricercatori universitari.
Infine
Alla fine la mia ricerca ha avuto buon esito: ho infatti raccolto molto materiale utile. Ora dovrò dedicarmi alla stesura del testo.
Il Brasile mia ha dato la duplice opportunità di fare un lavoro di buon valore e, ancor di più, di arricchirmi umanamente in maniera eccezionale. Gli incontri che ho fatto mi hanno aiutata a crescere: nella Comunità delle Serve di Maria ci sono stati dialogo franco, scambio e confronto autentici. Il personale dell’Archivio di Stato mi ha fatto sentire che importante era il materiale storico, ma più ancora lo ero io come persona che studiava.
Quest’estate ho proprio ricevuto una grande lezione di vita.