Divagazioni su una straordinaria e inesauribile ricchezza del Brasile: la sua musica popolare
L’onestà mi impone di precisarvi subito che non sono (anche se spero di diventarlo un giorno) un profondo conoscitore de visu del Brasile d’oggi, come lo sono molti amici macondini che scrivono per Madrugada. Mi trovo tuttavia a possedere, per misteriose vie traverse di cui vi dirò tra breve, una conoscenza non superficiale della Mìúsica Popular Brasileira, correntemente designata con la sigla MPB. Mi reputo un uomo fortunato per aver avuto l’opportunità (o il privilegio?) di accedere, in fondo senza grande sforzo e spesa eccessiva, in questo universo tanto affascinante e coinvolgente; sento perciò il bisogno, quando mi imbatto in persone sensibili e ricettive, di provare a renderle partecipi della fruizione di tale tesoro, e provo una gioia indicibile ogniqualvolta riesco a procurare alla MPB un nuovo appassionato: è come se avessi reso ad un amico un grosso favore ricevuto a suo tempo. Insomma avrete capito che non mi faccio pregare troppo per parlare della mia diletta musica brasiliana: sono un po’ come quell’orbo canterino della tradizione popolare, di cui si diceva che per farlo cantare ci volesse un soldo e per farlo poi smettere ce ne volessero due!
La musica è sempre stata la grande passione della mia vita. Mi sono rammaricato a lungo di non esser diventato un musicista di professione, ma poi ho capito che era meglio così, giacché non sempre è un destino felice quello di una passione che diventa fonte primaria di sostentamento, mestiere, routine. Ho sempre amato ogni tipo di musica capace di coinvolgermi emotivamente, senza preoccuparmi più di tanto delle etichette care agli specialisti: musica classica, leggera, folclorica, jazzistica, sperimentale o d’avanguardia, ecc. Tuttavia, per ragioni che sono rimaste per me un mistero, la musica dell’America Latina, quella che va dal Messico giù giù fino all’Argentina, ha sempre esercitato su di me un’attrazione tutta speciale, in particolar modo la musica del Brasile.
Il mio primo incontro con tale musica si verificò nell’immediato dopoguerra (ero allora adolescente), quando arrivarono in Italia dall’America, fra tante altre cose, anche numerosi film e cartoni animati aventi appunto per sfondo il Brasile o altri fascinosi paesi del Sudamerica: mi riferisco, ad esempio, ai lungometraggi disneyani Saludos Amigos e I tre caballeros, o a film come Avventura al Brasile (sic), con gli esilaranti Bob Hope e Bing Crosby, per non parlare di quelli interpretati dall’irresistibile Carmen Miranda (Una notte a Rio, Copacabana…). Ricordo in particolare il fortissimo, sconvolgente impatto emotivo provocato nel mio animo di fanciullo da brani come Aquarela do Brasil e Na Baixa do Sapateiro di Ary Barroso, Tico-tico no fubá di Zequinha de Abreu e Apanhei-te, cavaquinho di Ernesto Nazareth, inseriti nelle colonne sonore di tali film. A dire il vero, ignoravo allora sia i titoli esatti che i nomi e la nazionalità degli autori di queste pagine meravigliose (li conoscerò solo molto tempo dopo), ma la cosa non aveva allora per me grande importanza: ero convinto che quella fosse musica uguale o simile alla musica del paradiso (assai più dei canti che si cantavano in chiesa) e tanto mi bastava! Ricordo anche che una volta ebbi l’ardire di manifestare questa mia convinzione a quel sant’uomo del parroco (che se non è andato lui in paradiso non so chi altri ci sia mai salito), beccandomi immantinente una severa reprimenda, perché in quei tempi ormai lontani anche i preti più indulgenti e bonari si mostravano inflessibili, quando si toccavano certi argomenti.
Qualche anno dopo, tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, vi fu un periodo di grande voga, anche qui in Italia, per la musica sudamericana: gli amanti di tali ritmi seducenti, fra i quali non poteva mancare lo scrivente, vissero un’autentica età dell’oro, grazie alla radio, ai dischi (i vecchi e cari, anche se così rumorosi dischi a 78 giri) e alle innumerevoli orchestrine specializzate nell’esecuzione, più o meno “filologica”, di brani strumentali o canzoni a ritmo di samba, baião, maxixe, tango, guaracha, beguine, rumba, mambo e via discorrendo.
Pur fra tanta copia di musiche gratissime alle mie orecchie, fui sedotto, anzi letteralmente stregato da alcuni pezzi per cavaquinho (una piccola chitarra a 4 corde dal suono dolcissimo), composti e incisi dallo stesso autore, il brasiliano Waldir Azevedo: persino i titoli di tali brani, appresi dalle etichette dei dischi – Delicado, Brasileirinho, Carioquinha, Vê se gostas, Pedacinhos do céu – avevano per me un fascino magicamente evocativo; posso ben dire che il primo di essi (che fu usato per anni come sigla di una seguitissima trasmissione radiofonica pomeridiana, Ballate con noi, ed anche utilizzato nella colonna sonora del bel film Terza liceo di Luciano Emmer, del 1954) ha accompagnato gli anni più belli della mia gioventù.
Più tardi, col sopraggiungere dell’età adulta e la conseguente assunzioni di maggiori impegni nei diversi campi della vita, il mio interesse per la musica sudamericana (nel frattempo commercializzatasi alquanto e scaduta qui da noi a livello di banali stereotipi) si affievolì fino ad entrare in una sorta di letargo. Passarono così gli anni e con essi non pochi lustri, finché un bel giorno arrivò, inaspettato e improvviso, il risveglio, propiziato dal fatto di rivedere dopo tanto tempo, e questa volta in televisione assieme ai miei due bambini, quegli stessi cartoni animati di Disney che tanto mi avevano musicalmente affascinato quando avevo suppergiù l’età del mio primogenito. Particolare curioso: come me, anche i miei figli furono conquistati più dalle smaglianti colonne sonore di questi lungometraggi che dai personaggi stessi, pur così divertenti agli occhi dei bambini: Paperino, José Carioca, Panchito e compagnia! Fu per me un’emozione intensissima, accompagnata dal desiderio incontenibile non solo di riprendere il filo interrotto delle esperienze giovanili, ma anche di approfondirle, di allargarne questa volta gli orizzonti fin dove era possibile.
Infatti mi apparve subito chiaro che musicisti del calibro dei citati Barroso, Abreu, Nazareth, Azevedo e pochi altri a me allora noti, non potevano aver composto solo i brani che conoscevo, né era ragionevole pensare che fossero sorti dal nulla, senza cioè un retroterra culturale particolarmente ricco che ne avesse favorito la nascita e la maturazione a quei livelli espressivi. Ero come divorato da una sete di conoscenza che razionalmente mi appariva inspiegabile quanto eccessiva, ma che sentivo di dover placare in qualche modo. Solo che la cosa si presentava tutt’altro che facile da realizzare, giacché non tardai a constatare che era praticamente quasi impossibile reperire in Europa materiale documentario (incisioni originali, spartiti, biografie dei musicisti, discografie, studi sui vari generi musicali e quant’altro) relativo alla musica brasiliana che mi interessava maggiormente, vale a dire quella anteriore agli anni Sessanta, che i brasiliani (come verrò a sapere in seguito) hanno battezzato, con piena coscienza del suo oggettivo valore, da época de ouro. Non restava altro da fare che cercare questo materiale nel luogo d’origine, ma in quel momento mi era impossibile programmare un soggiorno, per forza di cose non brevissimo, in Brasile.
Iniziai dunque la mia personale récherche per corrispondenza e, contemporaneamente, per mettermi in condizione di comprendere e apprezzare i testi delle canzoni nonché le fonti bibliografiche sulla MPB, cominciai a studiare seriamente il portoghese-brasiliano con una simpatica gaìúcha, conosciuta all’Università dove insegno. Gertri, questo era il suo nome, fu per me un’ottima maestra, non solo perché le piaceva insegnare la sua lignua, della cui armoniosa bellezza andava giustamente fiera, ma anche per il fatto di aver trovato in Italia una persona che apprezzava tanto la musica e la cultura del suo paese. Sfortunatamente le lezioni cessarono prima del previsto, perché Gertri decise un giorno all’improvviso, come amano fare i brasiliani, di tornarsene a casa. Nel salutarmi mi disse che sarebbe morta di saudade se fosse rimasta ancora lontana dal suo adorato paìs tropical abenìçoado por Deus e bonito por natureza, come recitano le belle parole di una famosa canzone di Jorge Ben. Comunque avevo già raggiunto una discreta autonomia, cosicché potei proseguire proficuamente da solo lo studio della lingua, che ora sono per lo meno in grado di leggere e capire abbastanza bene.
Più difficile è stato avviare e condurre a buon fine la ricerca di materiale per corrispondenza, cui ho accennato prima, e questo per la semplice ragione che sono piuttosto rari i brasiliani che rispondono alle lettere che ricevono, anche quando si tratta di lettere d’affari, contenenti cioè proposte d’acquisto di merce che vendono o dovrebbero presumibilmente essere ben disposti a vendere: mi riferisco, ad esempio, a negozi di dischi o articoli musicali, case editrici, librerie, biblioteche pubbliche, musei. Ho verificato (all’inizio con sorpresa mista a disappunto, lo confesso) che su dieci lettere spedite a diversi destinatari solo una o due ottenevano una risposta, talvolta dopo mesi e mesi di attesa!
Tutto questo, tuttavia, non mi ha minimamente scoraggiato e, alla fine, la mia determinazione è stata premiata: ho potuto trovare un certo numero di seri e onestissimi corrispondenti, in qualche caso diventati, col tempo, ottimi amici, i quali mi hanno procurato e spedito, un po’ per volta, una quantità di materiale di qualità ben superiore ad ogni più rosea aspettativa, consentendomi così di mettere assieme in qualche anno una biblio-discoteca di MPB la quale, pur senza ambizioni di completezza, è sicuramente sceltissima e ben rappresentativa. Essa costituisce ai miei occhi un’acquisizione di valore culturale infinitamente superiore al denaro speso per entrarne in possesso, un tesouro di musica e poesia di bellezza incomparabile, nel quale sono profuse le migliori qualità umane e artistiche dell’alma brasileira più autentica: non è peccato che esso sia noto qui da noi solo a pochissimi, mentre i più ne ignorano financo l’esistenza?
Ecco, dunque, la motivazione di fondo di queste note: favorire un primo incontro tra la MPB d’annata e gli amici di Macondo, proprio nello spirito dell’associazione.