Africa addio, Londra good-bye
Capita molto raramente che giornali o riviste riportino notizie economiche relative all’Africa.
I paesi africani fanno notizia pressoché esclusivamente in occasione di colpi di Stato o scontri tribali, ma dal punto di vista economico l’Africa sembra proprio non avere alcuna sostanza.
Tale emarginazione viene scontata anche rispetto ad altre realtà pur comprese tra i Paesi in Via di Sviluppo. Si pensi, per esempio, ai paesi latinoamericani le cui cronache economiche (in positivo o in negativo) sono spesso in evidenza.
Questo stato di cose risponde indubbiamente ad un dato di fatto. L’Africa, e certe zone in modo particolare, vanno ben oltre il terzo mondo. Sono forse un quinto, sesto mondo…
Alla fine della colonizzazione politica, in molti casi non è corrisposta l’indipendenza economica.
Gomma, cacao, caffè…
L’unica branca dell’economia africana che in qualche modo fa notizia si riferisce al mercato delle materie prime prodotte localmente (gomma, cacao, caffè…) con un particolare: la produzione e, ancor di più, il commercio non sono certo in mano ad operatori locali, ma a multinazionali che incamerano nella pressoché totalità gli effettivi redditi. é significativo come le quotazioni di tali prodotti non abbiano mai riferimenti locali, ma le borse di Londra, Chicago…
L’Africa si trova quindi ad avere (e le ragioni sono sicuramente diverse) un’economia molto povera, nemmeno di sussistenza.
I parametri usati di solito per misurare lo sviluppo (Prodotto Interno Lordo procapite, tassi di inflazione, rapporto PIL/debito estero) sono molto preoccupanti. Ma ancora più preoccupanti sono altri misuratori dello stato di un’economia, che sempre più cominciano ad essere almeno messi assieme agli indici di natura più strettamente economica appena richiamati. Tali misuratori sono: il grado di scolarizzazione, la speranza di vita media, l’apporto di alimenti disponibili procapite, il numero di persone che possono godere di acqua potabile, le strutture sanitarie disponibili.
Ciò che lascia veramente perplessi, è l’atteggiamento tenuto di fronte a queste situazioni da parte degli organismi internazionali (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale in modo particolare).
Comunque sia la situazione reale (si abbia di fronte il Brasile o il Senegal), gli ingredienti della ricetta sono sempre gli stessi: svalutazione della moneta, riduzione delle spese sociali, abbattimento dell’inflazione, contenimento dei salari, privatizzazioni e tutto il resto facente parte del repertorio della scuola liberal-monetarista. Tali politiche economiche, pur avendo “nominalmente” l’obiettivo di far intraprendere agli Stati che le adottano la strada dello sviluppo, si risolvono nella realtà a ridurre tali Stati in condizioni economico-sociali sempre più precarie. Altro sarebbe perseguire progetti di “autosviluppo” che abbiano come obiettivo (oltre a determinate performances di natura strettamente economica) anche il raggiungimento di determinati standard di natura sociale. Progetti perlomeno condivisi con le popolazioni locali.
Ma ciò andrebbe senza dubbio a scontrarsi con un altro tipo di logiche e di interessi…