Oltre il Brasile
Abbiamo voluto in questo anno dare spazio, nella nostra rivista, ad altri paesi oltre il Brasile. Lo abbiamo fatto con l’intento di tenere aperti gli occhi sul mondo, e ravvivare la nostra responsabilità. Questa decisione ha allargato il numero delle collaborazioni ed anche le modalità di informazione e riflessione. Abbiamo comunque sempre cercato non tanto la notizia curiosa, ma la conoscenza pacata di altre culture e la fatica con cui gli uomini tentano ogni giorno, in terre diverse e lontane, di costruire uno spazio ai rapporti, che è poi la dimensione del vivere.
Oggi parte dell’Italia è sommersa nel fango. D’improvviso il lavoro di anni è stato travolto da una coltre di fango. Le popolazioni colpite sono nella desolazione e nell’angoscia. Dai nostri obl” televisivi miriamo il dilagare delle acque, e ci accorgiamo della forza dei nostri fiumi, e scopriamo la fragilità delle nostre costruzioni. E ci accorgiamo della irrazionalità di molte nostre opere, di interventi programmati in passato e che ora la forza delle acque si porta via. Scoppiano le polemiche; si aprono le inchieste; ed i cronisti raccolgono ovunque lamenti e proteste.
L’episodio ci spinge a rientrare nel nostro mondo e pensare alle nostre sciagure. Ci spinge a mettere in secondo ordine altri cataclismi, altre guerre ed a dimenticare il cammino che altri percorrono nell’abbandono. Siamo spinti a ripiegare ancora di più su di noi ed a vedere in quanto succede agli altri un tributo che bisogna pagare alla lotta per la vita. Ma non tutto quanto succede è fatale, è destino. Credo che tale atteggiamento ci privi in maniera evidente del senso del vivere, legato alla presenza ed al confronto non sempre tranquillizzante dell’altro.
Mi viene in mente la vita povera, non misera, degli abitanti di Curuai, un paesucolo del Brasile: le case di legno e di paglia, le suppellettili domestiche quasi inesistenti, la vita all’aperto, una vita essenziale, in cui pure i sentimenti sono essenziali. Uomini e donne che ogni giorno lavorano per vivere, adattandosi al tempo ed ai flussi dell’acqua del grande fiume.
Quando ho visto la coltre di melma sui mobili, i divani, i televisori ho avuto la percezione dell’essenzialità; ho percepito la precarietà degli oggetti che circondano il nostro quotidiano e della loro sovrabbondanza; e poi ho rivisto gesti elementari di uomini con la pala a scavare e ripulire assieme per riscattare uno spazio di esistenza.
Forse l’alluvione sarà un’occasione per ricostruire da capo in modo diverso. O forse ricostruire come prima. Per costruire in modo diverso pu” servire la paura di un’altra esondazione del fiume; ma di più pu” servire la scoperta di quello che è essenziale nella vita, e non lo si pu” misurare, non lo si pu” quantificare.
Nella scoperta dell’essenzialità rimarrà un sovrappiù di risorse: io credo che quelle possano essere le risorse della solidarietà; sono i tempi liberi dell’attenzione, dell’ascolto, della riflessione. Sono i tempi liberi della conversazione, della convivialità; sono i tempi liberi della frugalità che si trasformano in incontro dell’altro.
Ora la scoperta da fare è quella dei sentimenti, è la scoperta della parola. Tale rivelazione deve essere acquisita in un mondo aperto, senza barriere, il mondo degli altri: lotte mai sospese, mai vinte, e non perdute per sempre; sopravvivenze stentate, ma piene di dignità. Volti e colori fragranti di gioia e di voglia di vivere; che non trasformano certo la nostra austerità in vita eremitica, in nuova Tebaide.
L’alternativa a questo nostro modo di vivere non è certo una vita di privazioni, ma una condizione che provochi la nostra intelligenza ed immaginazione. Per questo sono entrate nelle nostre pagine le lotte degli indigeni del Messico e del loro pastore Samuel Ruiz per la libertà, le voci nuove dei vescovi d’Africa per la riscoperta della cultura indigena, ed il Rwanda e l’India.
Il rischio è di non approfondire, di raccontare. Speriamo comunque sempre di stimolare la curiosità della ricerca, della scoperta, e l’operosità solidale.